Revoca della patente, dopo la Consulta sul provvedimento prefettizio decide il giudice amministrativo
A seguito della sentenza n. 22/2018 della Corte costituzionale, che ha di fatto attribuito alla Prefettura un potere discrezionale e non più vincolato con riguardo alla revoca della patente, la situazione giuridica soggettiva del destinatario del provvedimento deve essere qualificata come interesse legittimo, «atteso che il rapporto fra il soggetto interessato ed il bene della vita cui aspira, cioè il titolo abilitativo alla guida, non è diretto, bensì mediato dall'esercizio del potere discrezionale della Pubblica Amministrazione». Conseguentemente, la giurisdizione, in ordine alle controversie inerenti il corretto esercizio di un tale potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, appartiene al giudice amministrativo. Ad affermarlo è la Corte d'appello di Milano nella sentenza n. 525/2020.
La questione - La vicenda prende le mosse dalla condanna definitiva di un uomo per la fattispecie in tema di stupefacenti di lieve entità, di cui all'articolo 73 comma 5 del Dpr n. 309/1990 (testo unico in materia di stupefacenti), a seguito della quale il Prefetto adottava il provvedimento di revoca della patente, ex articolo 120 comma 2 del Dlgs 285/1992 (Nuovo codice della strada). Il destinatario del provvedimento ricorreva dinanzi al Tribunale civile per contestare il provvedimento prefettizio, il quale veniva confermato dal giudice civile.
Tuttavia, nelle more della controversia, era intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 22/2018, che dichiarava l'illegittimità costituzionale del suddetto articolo 120 comma 2 proprio con riguardo alle ipotesi di condanna per reati di cui agli articoli 73 e 74 delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti, laddove si prevede che il Prefetto "provvede" anziché "può provvedere" alla revoca della patente. La Consulta ha così censurato la disposizione automatica della revoca del titolo di guida, non più giustificabile anche alla luce delle differenti fattispecie di reato presenti nell'articolo 73 del Dpr n. 309/1990, condannando l'automatismo della revoca e aprendo ad una valutazione facoltativa del Prefetto, il quale dovrà valutare se il condannato possegga o meno i requisiti per mantenere il titolo di guida. La questione passava così in Corte d'appello, dinanzi alla quale il destinatario del provvedimento di revoca reiterava le sue ragioni, mentre il prefettura invocava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo.
La giurisdizione - I giudici d'appello analizzano la questione alla luce della sentenza della Consulta e optano per il difetto di giurisdizione, in quanto il quadro di riferimento appare mutato proprio in virtù di quanto stabilito dai Giudici delle leggi. La Corte spiega, infatti, che «l'attribuzione delle controversie in materia di revoca della patente alla giurisdizione ordinaria era fondata, prima della suddetta sentenza della Corte Costituzionale, sulla formulazione letterale dell'art. 120 cit., ai sensi del quale, come ritenuto dalla giurisprudenza pacifica, il provvedimento doveva essere qualificato come di natura vincolata». La Consulta, adesso, nel dichiarare l'illegittimità del suddetto articolo ha eliminato dall'ordinamento proprio la statuizione, su cui si fondava il carattere vincolato del provvedimento e la conseguente attribuzione delle controversie al giudice ordinario. Nella formulazione dell'articolo risultante dalla sentenza, infatti, si prevede ora che «la Pubblica Amministrazione abbia la facoltà di provvedere alla revoca, la quale pertanto costituisce esercizio di un potere discrezionale, con conseguente attribuzione al giudice amministrativo delle relative controversie», sussistendo una situazione giuridica soggettiva del destinatario del provvedimento qualificabile come interesse legittimo.
Corte d'appello di Milano - Sezione I civile - Sentenza 13 febbraio 2020 n. 525