Riforma Cartabia, il Tribunale di Milano si pronuncia sulla domanda congiunta di separazione consensuale e divorzio
I giudici meneghini decideranno trascorsi i termini previsti dall'articolo 3 della legge 898/1970
Il Tribunale Milano con una recente sentenza di pochi giorni fa che sta facendo molto discutere, si è pronunciato sulla richiesta di divorzio introdotta dalle parti con il ricorso introduttivo di separazione consensuale (Tribunale Milano Sez. IX, sentenza 5 maggio 2023, n. 3542 – Pres. Rel. Cattaneo).
L'intervento della Riforma Cartabia
Come è noto, al fine di accelerare il periodo previsto dalla legge per giungere al divorzio, la Riforma Cartabia ha disciplinato l'eventualità di una simultanea proposizione di giudizio di separazione giudiziale e di divorzio contenzioso, all'interno dell'articolo 473-bis.49, comma 1, Cpc prevedendo che nello stesso ricorso che introduce il procedimento di separazione personale, le parti possano presentare anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio con le relative domande accessorie. La norma fa riferimento dunque, alla separazione giudiziale e non a quella consensuale. E'usuale nella prassi che in pendenza di separazione giudiziale, nel corso della quale si pronuncia una sentenza parziale di separazione, si proponga domanda di divorzio dopo che sia intervenuto il passaggio in giudicato della decisione sulla separazione. Non solo. Occorre precisare che con la Riforma Cartabia, le parti conservano la facoltà di proporre domande anche non indicate negli atti introduttivi quando riguardano i figli minori, ma anche nuove domande di contributo economico in favore proprio (oltre che dei figli, anche maggiorenni). Tale possibilità, è subordinata dall'articolo 473-bis.19 c.p.c., al verificarsi di nuove circostanze o di nuovi accertamenti istruttori, che possono trovare giustificazione nella sentenza di separazione.
Tale possibilità è stata indicata dal legislatore, al di là della possibile accelerazione delle tempistiche (tutta da verificare), tenendo conto, da un lato, della possibile sovrapponibilità delle domande consequenziali che vengono proposte nei due giudizi - si pensi ad esempio, all'affidamento dei figli e al contributo del loro mantenimento oppure all'assegnazione della casa familiare – e dall'altro, dell'affinità degli accertamenti istruttori che normalmente si svolgono per la determinazione dell'assegno di mantenimento per il coniuge in sede di separazione e di assegno di divorzio per l'ex coniuge.
Il rapporto pregiudiziale tra separazione e divorzio
Detto questo, rimane da sottolineare che tra i due procedimenti, tra separazione e divorzio vi è un rapporto di pregiudizialità perchè è appunto, pregiudiziale alla pronuncia di divorzio il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale. Il divorzio potrà essere pronunciato soltanto dopo che già sia stata pronunciata, nel medesimo giudizio, la sentenza parziale di separazione, tenendo conto di quanto adesso stabilisce l'articolo 3, comma 1, n. 2, lettera b), della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'articolo 27, comma 1, lettera a), Dlgs 10 ottobre 2022, n. 149, che dispone che per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dalla data dell'udienza di comparizione dei coniugi nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile.
Qualora tali presupposti non dovessero essere sussistenti, la domanda di divorzio e le domande accessorie dovranno essere dichiarate improcedibili.
La decisione del tribunale di Milano
Il Tribunale meneghino precisa: "Con il ricorso introduttivo, secondo quanto prevede l'art. 473-bis.49 c.p.c., le parti hanno chiesto anche la cessazione degli effetti civili del matrimonio e hanno formulato le condizioni connesse a tale pronuncia, non essendo tale domanda ancora procedibile prima che sia decorso il termine indicato all'art. 3, n. 2, lett. b), della legge n. 898/70 e successive modificazioni, la causa deve essere rimessa sul ruolo del Giudice Relatore affinché questi trascorsi sei mesi dalla data della comparizione dei coniugi e, quindi, ai sensi dell'art. 127 ter, 5° comma, c.p.c., dalla data di scadenza del termine assegnato per il deposito dì note scritte - provveda ad acquisire, sempre con la modalità dello scambio di note scritte, la dichiarazione delle parti di non volersi riconciliare secondo quanto prevede l'art. 2 della legge n. 898/70."
Ai sensi del comma 2 dell'articolo 473-bis.49, c.p.c., se il giudizio di separazione e quello di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio sono proposti tra le stesse parti davanti a giudici diversi, si applicherà l'articolo 40 c.p.c. e, pertanto, il giudice fisserà con ordinanza alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria davanti al giudice preventivamente adito, vale a dire quello della separazione. In presenza di figli minori, la rimessione avverrà, invece, in favore del giudice del luogo in cui il minore ha la residenza abituale.
Se, invece, i procedimenti di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio sono proposti tra le stesse parti davanti allo stesso giudice, posto il richiamo all'articolo 274 c.p.c. contenuto all'articolo 473-bis.49, 3 comma, c.p.c., la decisione di procedere alla riunione dei procedimenti connessi è rimessa al giudice, tenendo conto dell'utilità della riunione, anche con riguardo alle fasi processuali dei due distinti giudizi. D'altro canto, la sentenza di separazione è da vedere, in questa ottica, come una sentenza non definitiva: pertanto, applicando il combinato disposto degli articoli 278 e 279 c.p.c. spetta al collegio che ha pronunciato la separazione con sentenza non definitiva, disporre con ordinanza la prosecuzione del processo, fissando l'udienza di comparizione per la trattazione della domanda di divorzio. Stando così le cose, tutte le domande devono farsi negli atti introduttivi. Per quanto riguarda il giudizio di divorzio, sembrerebbe però che le allegazioni e gli adempimenti probatori prescritti, possano validamente essere affidati alle memorie integrative da depositare prima dell'udienza di comparizione fissata per il giudizio di divorzio. Memorie previste, con speciale riferimento al rito unificato, dall'articolo 473-bis.17 c.p.c., che inserisce delle modifiche rispetto a quanto previsto per il processo civile di cognizione, dall' articolo 171- ter c.p.c. per le memorie integrative.
A tale proposito, il Collegio meneghino con la sentenza del 5 maggio 2023, ha ritenuto opportuno precisare che la modifica unilaterale di tali condizioni sarà ritenuta ammissibile solo in presenza della allegazione di fatti nuovi ai sensi dell'articolo 473-bis.19, 2°comma, c.p.c. In tale ipotesi, se le parti non raggiungessero un nuovo accordo che consenta loro di depositare nuove condizioni congiunte, il Tribunale rigetterà la domanda congiunta di cessazione degli effetti civili del matrimonio difettando il requisito della indicazione congiunta delle condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici di cui all'articolo 473-bis.51, 2° comma, c.p.c.
Il Tribunale meneghino ha operato una forzatura? Alla luce delle norme introdotte con la Riforma Cartabia sembra di sì. Ma alla luce del principio dell'economia processuale, certamente no.