Rinegoziazione mutui oggetto di procedura esecutiva, obblighi della banca e diritti del debitore
Partiamo dalla ratio della norma, che, eccezionalmente, si propone, come dice il testo stesso, di fronteggiare i più gravi casi di crisi economica dei consumatori, casi più gravi che sono evidentemente stati individuati nella perdita della prima abitazione, bene, lo ricordiamo, che gode di una speciale tutela anche a livello comunitario
Riguardo la questione relativa alla sospensione delle procedure esecutive immobiliari con la conseguente chiusura delle stesse a seguito della rinegoziazione del mutuo, introdotta dall'articolo 41 bis del Dl 124/2019, come poi modificato dall'articolo 40 ter del Dl 41/2021, abbiamo già affrontato la questione del nuovo sostanziale obbligo a contrarre del creditore che la norma " al fine di fronteggiare in via eccezionale, temporanea e non ripetibile i più gravi casi di crisi economica dei consumatori" (art 40 ter comma 1), ha introdotto nel nostro ordinamento in deroga al principio dell'autonomia privata (si legga al riguardo ilcommento: Rinegoziazione dei mutui oggetto di procedura esecutiva: nuovi interessanti provvedimenti di sospensione del pignoramento)
Vale la pena, in questa sede, anche alla luce degli ultimi sviluppi giurisprudenziali e dell'ampio dibattito dottrinario che la norma e le sue possibili conseguenze sta generando, riprendere l'argomento per approfondirlo e per dare allo stesso una nuova possibile lettura e prospettiva, finalizzate a risolvere le tante questioni pendenti davanti ai tribunali che hanno concesso e stanno concedendo le legittime sospensioni a chi ne abbia i presupposti e ne abbia fatto rituale richiesta processuale.
Partiamo dalla ratio della norma, che, eccezionalmente, si propone, come dice il testo stesso, di fronteggiare i più gravi casi di crisi economica dei consumatori , casi più gravi che sono evidentemente stati individuati nella perdita della prima abitazione, bene, lo ricordiamo, che gode di una speciale tutela anche a livello comunitario.
Eccezionalmente quindi il legislatore, al ricorrere di determinati presupposti rigidamente predeterminati, quelli previsti oggi dal comma 2 dell'art. 40 ter ossia:
a) l'essere il debitore un consumatore,
b) che il creditore sia una banca, una società per la cartolarizzazione dei crediti o un intermediario finanziario autorizzato
c) l'ipoteca di primo grado del creditore deve gravare sull'abitazione principale ed il debitore deve aver rimborsato almeno il 5% della quota capitale
d) che sia pendente un pignoramento sul bene che sia stato notificato entro il 21 marzo 2021
e) che l'istanza di rinegoziazione, presentabile una sola volta, sia presentata entro il 31 dicembre 2022
f) che il credito complessivo calcolato ai sensi dell'art. 2855 cc non superi i 250.000 euro
g) che l'importo della rinegoziazione sia pari a quello d'asta ridotto del 25% se l'immobile è già all'asta, e quello di stima se la prima asta non si è ancora tenuta, mentre nel caso in cui il debito residuo sia inferiore al prezzo base d'asta ridotto del 25% va offerto in rinegoziazione l'intero importo del debito residuo comprensivo di spese di pignoramento e di interessi (interessi contrattuali per le due annate anteriori al pignoramento e per quella in corso al momento del pignoramento e interessi legali per le annate successive)
h) il nuovo mutuo (in realtà come diremo a breve non si tratta di un vero e proprio nuovo mutuo ma di una rateizzazione del debito come quantificato dalla lett. g del comma 2) a seguito della rinegoziazione non ha dunque voluto consentire al debitore di s alvare la propria prima abitazione pignorata attraverso la possibilità (rectius diritto in presenza di tutti i presupposti e del cd merito creditizio) di ottenere la rinegoziazione del mutuo oppure il finanziamento della stessa somma da parte di un terzo che rientri nelle categorie di cui alla lett. B con beneficio dell'esdebitazione del residuo non pagato (nel caso di rifinanziamento, chi scrive ritiene che, il diritto di cui parla il comma 2 dell'art 40 ter sia relativo alla sola esdebitazione da parte del creditore procedente od intervenuto e non alla concessione del finanziamento stesso da parte di un terzo che non è in alcun modo obbligato a concederlo e può essere al massimo sollecitato e solleticato - dalla garanzia a prima richiesta che è fornita dallo Stato o, meglio, dal Fondo di garanzia per la prima casa come correttamente osserva DOLMETTA nell'articolo Rinegoziazione e valutazione del merito del credito: a proposito dell'art. 40 ter «decreto sostegni», in www.ilcaso.it, 14 novembre 2021).
Ora, posto che lo scopo della norma è quello di salvare la prima abitazione, ogni volta che ciò sia possibile, e non certo dilatare ulteriormente i tempi del processo esecutivo immobiliare, attraverso una nuova forma di sospensione (quella semestrale prevista dal comma 7 dell'art 40 ter), che non sia finalizzata a definire il pignoramento immobiliare attraverso la rinegoziazione, è chiaro che scopo dell'interprete è quello di consentire alla norma di raggiungere gli scopi che il legislatore si era prefisso, e una corretta interpretazione ha il dovere di inquadrare la novità normativa nell'ambito dei principi dell'ordinamento giuridico, consentendo di individuare i principi applicabili al nuovo caso, che consentano il raggiungimento degli eccezionali scopi prefissati dal legislatore stesso; ogni altra interpretazione, che si discosti dagli obiettivi eccezionali perseguiti dalla norma, finirebbe con l'avere una sostanziale conseguenza abrogativa sulla norma e quindi sui suoi scopi che ne risulterebbero totalmente disattesi, rendendo la norma medesima del tutto inutile (anzi dannosa nel momento in cui la stessa, non solo non risolva il problema della grave crisi economica, ma finisca con il procurare una ulteriore dilatazione dei tempi processuali, dilatazione che, sappiamo bene, il legislatore sta da anni combattendo con svariati interventi sul processo anche esecutivo).
Una possibile interpretazione della norma, finalizzata a consentire alla stessa il raggiungimento dei suoi obiettivi e che quindi possiamo definire conforme ai principi dell'ordinamento che le hanno dato origine, si ritiene possa essere quella che pone a carico del creditore (in presenza dei presupposti previsti e della corretta valutazione del merito creditizio) un obbligo non solo a contrattare ma addirittura a contrarre, obbligo a contrarre che non è nuovo nemmeno nella normativa bancaria (si legga al riguardo ALESSANDRO NIGRO "attività bancaria e vincoli a contrattare delle banche" in Il Foro Italiano Vol. 108, No. 10 OTTOBRE 1985), oltre che nella legislazione economica in generale (si veda ad esempio l'art 5 Legge 787/1978 sul risanamento finanziario delle imprese industriali laddove è stato previsto il consolidamento dei crediti a breve termine vantati da aziende di credito ed il rinvio dei pagamenti delle rate in scadenza dei prestiti a medio e lungo termine, norma interpretata da una parte della giurisprudenza nel senso di un vero e proprio obbligo di consolidamento a carico dell'istituto di credito a fronte del relativo diritto da parte delle aziende debitrici, sempre in ALESSANDRO NIGRO "attività bancaria e vincoli a contrattare delle banche" Il Foro Italiano Vol. 108, No. 10).
Il problema dell'obbligo a contrarre è che il legislatore, pur avendo ampiamente vincolato il debitore ed il creditore al rispetto di una serie di rigidissimi presupposti, ha lasciato al creditore "una valutazione del merito di credito nel rispetto di quanto previsto nella disciplina di vigilanza prudenziale ad esso applicabile, all'esito della quale può accettare la richiesta di rinegoziazione o di finanziamento ….e previa verifica con esito positivo del merito creditizio del debitore ovvero, nei casi regolati dal comma 3, del destinatario del finanziamento" (art 40 ter comma 5).
Trattasi del c.d. "merito creditizio", rimesso alla valutazione del creditore, che funge in qualche modo da ostacolo all'obbligo a contrarre in quanto, mentre è chiaro l'inadempimento del creditore quando questi si rifiuti del tutto di contrattare, è più complesso stabilire se quella valutazione sia stata fatta correttamente dal medesimo (senza contare quei creditori che ritengono e affermano, erroneamente si ritiene, di non avere le competenze per svolgere tale attività di valutazione del merito creditizio), ed in tale attività valutativa dovrebbe intervenire il giudice per stabilire se il creditore ha eventualmente rifiutato di concludere la rinegoziazione con una valutazione legittima, o meno, pronunciando nel caso una sentenza costitutiva sulla falsariga dell'art 2932 cc , sentenza che si sostituisca alla volontà di contrarre non espressa.
Ma il merito creditizio – il rilievo appare perfino ovvio – in questa peculiare fattispecie non può essere interpretato alla stregua di un qualsiasi finanziamento, bensì deve essere inteso alla luce della ratio nella norma (ispirata al sostegno di debitori che hanno avuto pignorata la casa di abitazione) e tenuto conto della garanzia statale che assisterà il nuovo finanziamento, rinegoziato o in surroga (come rileva con interpretazione cui ci si sente di aderire DIDONE, Note minime sull'art. 40 ter del decreto sostegni: prime applicazioni di una nuova esdebitazione, in Crisi e risanamento, 21 ottobre 2021).
Una seconda possibile interpretazione normativa, che tenga dunque conto della sua ratio, dei suoi scopi appena visti, e non ne vanifichi gli effetti, deve partire, a parere di chi scrive, da una analisi dei principi che hanno generato la norma stessa e dell'evoluzione che quei principi hanno avuto negli ultimi anni nel nostro ordinamento, vediamo in che senso.
La rinegoziazione, ad analizzarla attentamente, è figlia degli stessi principi che hanno dato origine alla disciplina sul sovraindebitamento e sull'esdebitazione, di cui alla legge 3 del 2012 e successive modifiche.
Si prenda, ad esempio, l'art 40 ter lett. G) n. 3 che prevede: "nel caso in cui il debito residuo sia inferiore al valore dell'immobile anche con la riduzione del 25% va offerto l'intero importo del debito residuo comprensivo di spese di pignoramento e di interessi", requisito modificato rispetto all'art 41 bis e perfettamente in linea con l'art 7 l 3/2012 (legge sul sovraindebitamento), in cui al creditore ipotecario va riconosciuto almeno quanto prenderebbe dalla liquidazione del bene, a dimostrazione, appunto, della comunanza di principi con il sovraindebitamento, oltre che con il principio del diritto al consolidamento dei debiti, alla rateizzazione ed, in ultimo, al principio di continuità aziendale, che costituisce la prima espressione (che trova le sue origini nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi) del principio, che si è evoluto fino ai nostri giorni, con l'allargamento, prima alle aziende medio piccole nel fallimentare, e poi ai privati, con la L. 3/2012 (dove la continuità aziendale si è evoluta nel principio della c.d. seconda chance che ne costituisce il logico sviluppo in ambito, questa volta, personale e non aziendale, laddove la continuità aziendale, che favorisce in ultimo proprio i creditori, trova il suo omologo, tra i privati nel sovraindebitamento, nell'evitare la morte sociale del debitore che, continuando, invece, a guadagnare e spendere, senza doversi patrimonialmente "spogliare" per sfuggire ai creditori, finisce con l'evitare di ricorrere al mercato nero del lavoro e del credito a tutto beneficio dello Stato creditore, quanto a imposizione fiscale, e dei creditori privati stessi che, come noto, hanno maggiori benefici da un debitore vivo che continui a guadagnare e pagare, sebbene in misura minore e rateizzata, che da un debitore "morto" completamente fuori dal mercato legale regolamentato).
La rinegoziazione (a differenza del rifinanziamento da parte di un terzo), a ben vedere, non costituisce un contratto di mutuo o comunque una nuova concessione di credito, e, non dovendo il creditore concludere un contratto che preveda un esborso, si ritiene che in un'ottica diversa vadano riconsiderati sia la valutazione del merito creditizio che lo stesso obbligo a contrarre:
1) quanto al merito creditizio perché, in mancanza di un esborso, la valutazione stessa è molto più semplice, in quanto il creditore, che normalmente prima di concedere un finanziamento deve valutare, una molteplicità di elementi (tra cui si citano, a titolo esemplificativo e non esaustivo: il rischio svalutazione credito, il rischio banca circa l'operazione, il merito creditizio dei richiedenti, i profili di coerenza rispetto alla normativa di Banca d'Italia, l'antiriciclaggio, l'assenza di profili di rischio penali e/o civili, i riflessi di conto economico), laddove debba solo rateizzare un importo già concesso (dallo stesso o da altri se, come sovente accade, si tratta di una società che ha acquistato il credito derivante dal mutuo originario), deve fare una valutazione ben più semplificata del merito stesso (ne sono totalmente o parzialmente esclusi, tra gli elementi citati prima, il rischio svalutazione credito, il rischio banca circa l'operazione, i profili di coerenza rispetto alla normativa di Banca d'Italia, l'antiriciclaggio, l'assenza di profili di rischio penali e/o civili, restandone inclusi del tutto, esclusivamente, il merito creditizio dei richiedenti e i riflessi di conto economico), tanto che appaiono errate e pretestuose le motivazioni delle società di recupero crediti che, invitate alla rinegoziazione, per sottrarsene, adducono la scusa di non svolgere l'attività di concessione del credito tra le proprie istituzionali (ma di concessione del credito propriamente intesa abbiamo visto non trattarsi) e di non avere la struttura organizzativa e le competenze per valutare il merito creditizio (e non ne hanno, se intendiamo tutti gli elementi richiesti a chi deve effettivamente effettuare un esborso, mentre ne hanno in abbondanza se si tratta della loro, pressoché quotidiana, attività di valutare a quale dei propri debitori sia opportuno concedere quella che abbiamo visto essere una semplice rateizzazione, accompagnata, spesso, da uno stralcio di parte del debito)
2) quanto all'obbligo a contrarre, sebbene sia innegabile che, sempre, a una sorta di obbligo a contrarre deve sottostare il creditore che subisca una rinegoziazione forzata, va rilevato che ben diverso è l'obbligo a contrarre di chi dovesse concedere, contro la propria volontà, una somma di denaro, rispetto a chi sia esclusivamente titolare di un credito (a prescindere se quel credito nasca da una concessione fatta in passato o dall'averlo acquistato da terzi) in sofferenza (e quindi resta da vedere se e quanta parte ne recupererà oltre che quando ciò avverrà) e venga costretto, per i principi, che abbiamo visto sopra, che regolano il diritto (o l'utilità) al consolidamento dei debiti, alla rateizzazione, alla cd seconda chance ed in definitiva al sovraindebitamento con relativa esdebitazione.
In questo caso il creditore sarebbe "semplicemente" tenuto ad accettare un taglio ed una rateizzazione (che spesso, lo ricordiamo, potrebbero comunque rivelarsi più convenienti, nei tempi e negli importi, della stessa liquidazione attraverso le aste), ad un taglio con rateizzazione, anche contro la propria volontà, non diversamente da quanto subirebbe con l'omologa di un piano del consumatore da parte del giudice, o solo alla rateizzazione, indipendentemente dal proprio consenso, come avviene ad esempio a fronte di una conversione del pignoramento ex art. 495 c.p.c. (istituto molto più vecchio del sovraindebitamento ma che, negli ultimi anni di riforme, tese a risolvere le problematiche del credito attraverso il più ampio utilizzo della rateizzazione, è stata due volte ampliata, da 24 mesi originari, prima a 36 ed in ultimo a 48 mesi, a conferma del permearsi di tali principi nel nostro ordinamento), di certo si tratta di un obbligo, ma più che di un vero e proprio obbligo a contrarre, si tratta di un obbligo ad accettare di modificare le condizioni contrattuali originarie (o quelle generatesi dalla risoluzione del contratto stesso).
Potremmo parlare di un obbligo a contrarre "attenuato", ma preferiamo restare nell'ambito dell'obbligo ad accettare la rateizzazione ed il consolidamento, obblighi, che sappiamo essere, ampiamente soggetti ai poteri del giudice che, quindi, si ritiene, in sede di merito all'opposizione all'esecuzione (dopo che il giudice in sede cautelare avrà sospeso, ricorrendone il fumus ed il periculum, il titolo esecutivo che la rinegoziazione cancellerebbe), potrà sostituirsi al creditore in quella valutazione prudenziale del merito del credito, che abbiamo visto semplificata, e concedere la rinegoziazione (taglio/rateizzazione), non diversamente da quando concede l'omologa di un piano del consumatore o approva una conversione, in qualche modo, contestata.
Se istituti di tale portata sono già previsti dal nostro ordinamento, per altro con norme strutturali e illimitate nel tempo, non si vede perché tale efficacia non possa essere riconosciuta ad una normativa chiaramente eccezionale e irripetibile e dai moltissimi requisiti di accesso!
D'altronde, se la rinegoziazione fosse del tutto volontaria e soggetta alla mera discrezionalità del creditore (senza alcun controllo giudiziale sul suo esito finale), la norma non avrebbe alcun senso e non aggiungerebbe nulla (se non sei mesi di sospensione che dilaterebbero ulteriormente ed inutilmente il pignoramento, come sopra rilevato) a quello che già può, liberamente, avvenire in qualunque esecuzione forzata, anche per debiti che non riguardano la prima abitazione, ma la seconda o terza, immobili commerciali o industriali, e per debiti, anche molto superiori ai 250.000 euro, di cui sia stato pagato meno del 5 o 10%...
In tal modo il legislatore si sarebbe solo "divertito" a creare tutta una serie di presupposti e limiti per concedere, a difesa della importantissima prima abitazione della classe media (e infatti ne sono esclusi gli importi rilevanti oltre i 250.000 euro), nulla più di quello che già è ampiamente possibile, sempre e comunque, in qualunque esecuzione immobiliare (rinegoziare, stralciare o rateizzare il debito).
Non essendo tutto ciò logico né possibile, con un'interpretazione sostanzialmente abrogativa della norma, non resta che prendere atto della chiara volontà normativa e metterla in pratica, attraverso i principi e gli strumenti offerti dall'ordinamento giuridico e processuale secondo un interpretazione teleologica della norma.
Compito che spetta all'interprete e che si è tentato di svolgere in questa breve disamina, non rispondendo peraltro, va chiarito per inciso, una ipotetica tutela meramente risarcitoria alla ratio della norma diretta a tutelare un diritto, quale è quello alla prima casa, riconosciuto sia a livello Costituzionale che Comunitario.
Non si ignori, inoltre, che la Giurisprudenza più recente si è mostrata disponibile, oltre le più comuni aspettative, ad intervenire- "a gamba tesa"- nel regolare gli interessi dei contraenti, alla luce del principio, anch'esso di nuova matrice, della rinegoziazione del contratto squilibrato in occasione della pandemia da Covid- 2019.
Sebbene in quella sede si verteva in tema di contratti di locazione e sopravvenienze contrattuali, non si può non notare come i Giudici abbiano utilizzato principi già esistenti per rispondere ad una domanda di giustizia nuova, pur in assenza di norme esplicite, eccezionali e irripetibili.
A tal proposito, illuminanti paiono, anche ai nostri fini, le parole della Suprema Corte che, in quell'occasione, in appendice alla Relazione n. 56/2020 dell' 8 luglio 2020, tenuto conto della centralità del principio di buona fede (integrativa) nell'esecuzione del contratto, lasciando poco spazio a dubbi, osservavano:
"Qualora le due parti siano disponibili, s'incontrano e concludono; qualora una delle due si neghi, è il giudice a decidere".
*a cura dell'Avv. Edgardo Diomede d'Ambrosio Borselli, Partner 24ORE
Andrea Alberto Moramarco
RivisteVittorio Buonaguidi
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