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Risoluzione del leasing finanziario e fallimento dell'utilizzatore: quid iuris?

In caso di contratto di leasing finanziario risolto per inadempimento dell'utilizzatore prima della declaratoria del fallimento di quest'ultimo il concedente è tenuto a proporre apposita domanda di insinuazione al passivo e, ove invochi l'applicazione dell'eventuale clausola penale stipulata a suo favore, ha l'onere di offrire al giudice delegato la possibilità di apprezzare se detta penale sia equa ovvero manifestamente eccessiva

di Rossana Mininno


Con l'espressione leasing finanziario (o locazione finanziaria) si intende il contratto con cui il concedente (locatore o lessor) si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell'utilizzatore (conduttore o lessee), che ne assume tutti i relativi rischi, bene, nel contempo, concesso in godimento all'utilizzatore per un determinato periodo di tempo e verso il pagamento di un determinato corrispettivo.

A favore dell'utilizzatore è previsto il c.d. riscatto, ovvero il diritto, esercitabile alla scadenza del contratto, di acquistare la proprietà del bene a un prezzo prestabilito (prezzo di riscatto), con conseguente obbligo, per il caso di mancato esercizio di detto diritto, di restituire il bene al concedente.

Nella prassi si distinguono, nell'ambito della locazione finanziaria, due figure contrattuali atipiche (aventi ciascuna una propria connotazione con riferimento allo scopo pratico perseguito dalle parti): il leasing operativo di godimento e il leasing finanziario traslativo.
Quest'ultimo è definito dai Giudici di legittimità - testualmente - «tradizionale» (Cass. civ., Sez. Un., 7 gennaio 1993, n. 65).

Una prima differenza tra le dette tipologie attiene alla natura del bene oggetto dell'operazione: nel leasing operativo si tratta - di regola - di beni a elevata standardizzazione, che esauriscono la propria utilità economica in un certo periodo di tempo, che normalmente coincide con la durata del contratto.

Trattasi, cioè, di beni dei quali è ragionevolmente prevedibile il verificarsi, alla scadenza del contratto, della totale obsolescenza in termini di superamento tecnologico o di esaurimento delle potenzialità di sfruttamento economico di cui il bene è capace nel periodo di durata del contratto.

Tale figura di leasing è connotata da una marcata imprenditorialità, avendo nella normalità dei casi come oggetto beni e impianti strumentali all'esercizio dell'impresa dell'utilizzatore.

Diversamente, il leasing finanziario ha come oggetto - di regola - beni (indifferentemente, mobili o immobili) che conservano, nel corso del contratto, le proprie potenzialità di sfruttamento e hanno, alla scadenza, un valore residuo apprezzabile, normalmente superiore all'importo convenuto per l'opzione di acquisto.

L'esposta differente caratterizzazione incide sulla misura dei canoni periodici.
Nel leasing di godimento, essendoci coincidenza temporale tra il periodo di consumazione tecnica ed economica del bene e quello di durata del contratto, i canoni non contengono alcuna porzione di prezzo, ma sono ragguagliati al valore di utilizzazione del bene per la durata della vita tecnico-economica dello stesso e determinati dai contraenti in misura e con modalità tali da risultare - progressivamente e costantemente - equivalenti al valore di consumazione tecnica ed economica del bene stesso.

Nel leasing finanziario, invece, caratterizzato, ontologicamente, dalla prevalenza della funzione di finanziamento dell'acquisto rispetto a quella - meramente strumentale - di godimento, non essendo la durata del contratto commisurata alla vita economica del bene, ma stabilita in funzione del previsto effetto traslativo, l'importo globale dei canoni dovuti corrisponde all'importo del finanziamento.

L'interesse perseguito dal concedente è, con riferimento a entrambe le tipologie, il medesimo: realizzare un impegno remunerativo del capitale finanziario.

Quanto all'utilizzatore, l'interesse sotteso all'operazione differisce: nel leasing operativo, l'interesse perseguito è quello di ottenere, nell'immediato, la disponibilità del bene, con conseguente acquisizione del valore di consumazione tecnica ed economica del medesimo, senza esborso di capitali rilevanti; nel leasing traslativo, invece, l'interesse dell'utilizzatore consiste, essenzialmente, nel conseguimento della proprietà del bene, benché l'acquisto sia differito nel tempo, con la possibilità dell'immediata disponibilità del bene stesso.

Quanto al relativo inquadramento giuridico, la locazione finanziaria - pur avendo costituito, per lungo tempo e nonostante la consistente diffusione nella pratica commerciale, un contratto atipico - è stata oggetto di un intervento di tipizzazione ad opera della legge 4 agosto 2017, n. 124, la quale ha dedicato alla fattispecie in esame i commi 136-140 dell'articolo 1.

Il comma 136 fornisce la definizione di locazione finanziaria, mentre i commi successivi approntano la relativa disciplina: individuano le ipotesi in cui è configurabile un grave inadempimento dell'utilizzatore (comma 137); disciplinano gli effetti e le conseguenze della risoluzione del contratto per grave inadempimento dell'utilizzatore (comma 138) e descrivono la procedura che deve essere seguita dal concedente per la vendita o ricollocazione del bene (comma 139) al fine precipuo di evitare che, a seguito dell'inadempimento dell'utilizzatore, l'equilibrio contrattuale risulti alterato in suo danno, con indebito arricchimento del concedente; il comma 140, infine, contiene disposizioni di coordinamento della nuova disciplina con alcune norme che richiamano tale fattispecie contrattuale.

Con la sentenza n. 2061, pubblicata in data 28 gennaio 2021, le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione - su sollecitazione della Terza Sezione civile (cfr. ordinanza interlocutoria n. 5022 del 25 febbraio 2020) - si sono pronunciate su «due questioni di massima di particolare importanza, entrambe gravitanti intorno alla perdurante applicabilità dell'art. 1526 c.c. ai contratti di leasing risolti prima dell'entrata in vigore della legge n. 124 del 2017 e riassumibili, in sintesi, nella possibilità, o meno, di predicare l'applicazione analogica di una norma sopravvenuta rispetto alla fattispecie concreta che dovrebbe disciplinare».

Le questioni rimesse attengono, sostanzialmente, all'individuazione della norma disciplinante gli effetti della risoluzione per inadempimento del contratto di leasing finanziario non soggetto ratione temporis alla legge n. 124 del 2017, nonché all'applicabilità - questione, questa, oggetto del contrasto giurisprudenziale segnalato dalla Terza Sezione civile - al contratto di leasing traslativo risolto in epoca antecedente al fallimento dell'utilizzatore dell'articolo 1526 del codice civile o dell'articolo 72 quater del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.

Come osservato dai Supremi Giudici, l'articolo 1 della legge n. 124 del 2017, «superando, quindi, la logica della regolamentazione specifica e settoriale, ha fornito una tipizzazione legale del contratto di leasing finanziario in termini di fattispecie generale e unitaria (facendo convergere in un unico tipo il leasing di godimento e quello traslativo: segnatamente in tal senso il comma 136), mutuandone morfologia e funzione da un radicato substrato economico-sociale, così da plasmare in disciplina positiva l'esperienza lungamente maturata nel contesto regolatorio dell'autonomia privata, alimentato, costantemente, anche dall'attività ermeneutica della giurisprudenza».

La disciplina introdotta dalla legge n. 124 del 2017 «non ha, però, carattere retroattivo, essendo essa priva degli indici che consentono di riconoscerle efficacia regolativa per il passato, non avendo in tal senso disposto lo stesso legislatore, né proponendosi la novella di operare una interpretazione autentica di un assetto legale precedente»: in realtà, «essa interviene, in modo innovativo, a colmare una lacuna ordinamentale circa la disciplina del contratto di locazione finanziaria cui soltanto il formante giurisprudenziale aveva posto rimedio attraverso l'integrazione analogica».

In altri termini, la legge n. 124 del 2017 spiega la propria efficacia «pro-futuro, senza che il legislatore si sia, però, preoccupato di dettare una disciplina intertemporale, avuto riguardo ai rapporti contrattuali in corso di svolgimento al momento della sua entrata in vigore».

Con riferimento a tali rapporti il Supremo Collegio ha individuato il «discrimine tra il "prima" e il "dopo" ai fini dell'applicazione della novella» nella collocazione temporale dell'evento avente effetti risolutivi: «l'applicazione della nuova legge è consentita, nei confronti di contratto di leasing finanziario concluso antecedentemente alla sua entrata in vigore […] allorché, ancora in corso di rapporto, non si siano ancora verificati i presupposti (legali o convenzionali) della risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore: ossia non si sia verificato, prima dell'entrata in vigore di detta legge, il fatto generatore degli effetti giuridici derivanti dalla applicazione del diritto previgente».

Pertanto, la legge n. 124 del 2017 non si applica ai contratti di leasing finanziario «in cui si siano già verificati, prima della sua entrata in vigore, i presupposti della risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore».

Nell'ipotesi in cui, successivamente alla risoluzione del contratto, sia intervenuta la declaratoria del fallimento dell'utilizzatore non è «predicabile», secondo le Sezioni Unite, un'applicazione analogica della disciplina dettata dall'articolo 72 quater del regio decreto n. 267 del 1942, trattandosi di «norma, di natura eccezionale, a valenza e portata endoconcorsuale», la quale presuppone, al fine della produzione dello scioglimento «per volontà del curatore e quale conseguenza del fallimento», che al momento dell'aperura del concorso il contratto sia ancora valido ed efficace.

In caso di contratto di leasing finanziario risolto, per inadempimento dell'utilizzatore, prima del fallimento di quest'ultimo la disposizione «idonea a colmare la alcuna ordinamentale» è individuabile in «quella generale codicistica dell'art. 1526 c.c.».

Per i contratti di leasing traslativo, che non siano soggetti ratione temporis alla legge n. 124 del 2017 «resta, dunque, valida la soluzione adottata dal diritto vivente di individuare, per analogia legis, nella disposizione dell'art. 1526 c.c. la disciplina della risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore», trattandosi di «norma parametro di regolamentazione del leasing traslativo, quale traducente il regolamento pattizio social-tipico».

Il primo comma dell'articolo 1526 del codice civile, come osservato dai Giudici di legittimità, «comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l'uso, ma non include il risarcimento del danno spettante al concedente».

La posta risarcitoria «può, però, essere oggetto di determinazione anticipata attraverso una clausola penale ai sensi dell'art. 1382 c.c.»: al ricorrere di tale evenienza «il concedente che aspiri a diventare creditore concorrente ha l'onere di formulare una domanda di insinuazione al passivo» nel contesto della quale, ove invochi l'applicazione dell'eventuale clausola penale stipulata a suo favore, «offra al giudice delegato la possibilità di apprezzare se detta penale sia equa ovvero manifestamente eccessiva».

A tal fine «è chiaro onere dell'istante quello di indicare la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in mancanza, di allegare alla sua domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene medesimo al momento del deposito della stessa».

Conclusivamente, le Sezioni Unite hanno enunciato i seguenti principi di diritto:
«La legge n. 124 del 2017 (art. 1, commi 136-140) non ha effetti retroattivi e trova, quindi, applicazione per i contratti di leasing finanziario in cui i presupposti della risoluzione per l'inadempimento dell'utilizzatore (previsti dal comma 137) non si siano ancora verificati al momento della sua entrata in vigore; sicché, per i contratti risolti in precedenza e rispetto ai quali sia intervenuto il fallimento dell'utilizzatore soltanto successivamente alla risoluzione contrattuale, rimane valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, dovendo per quest'ultimo social-tipo negoziale applicarsi, in via analogica, la disciplina di cui all'art. 1526 c.c. e non quella dettata dall'art. 72-quater l.f., rispetto alla quale non possono ravvisarsi, nella specie, le condizioni per il ricorso all'analogia legis, né essendo altrimenti consentito giungere in via interpretativa ad una applicazione retroattiva della legge n. 124 del 2017.»


«In base alla disciplina dettata dall'art. 1526 c.c., in caso di fallimento dell'utilizzatore, il concedente che aspiri a diventare creditore concorrente ha l'onere di formulare una completa domanda di insinuazione al passivo, ex art. 93 l.f., in seno alla quale, invocando ai fini del risarcimento del danno l'applicazione dell'eventuale clausola penale stipulata in suo favore, dovrà offrire al giudice delegato la possibilità di apprezzare se detta penale sia equa ovvero manifestamente eccessiva, a tal riguardo avendo l'onere di indicare la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in mancanza, di allegare alla sua domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene medesimo al momento del deposito della stessa.»

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