Sanzione interdittiva 231 solo in caso di reiterazione
Sanzione interdittiva solo in caso di profitto di rilevante entità o di reiterazione dei reati. La Cassazione penale, sentenza 38115 del 2019, richiama a una corretta applicazione delle condizioni previste dal decreto 231 del 2001 per potere infliggere in via anticipate misure a carico delle società per reati commessi dai dipendenti. La pronuncia ha così accolto il ricorso presentato dalla difesa di una società in nome collettivo, attiva nel settore della sanità, punita con una sanzione interdittiva, per il vantaggio tratto da una serie di falsi e truffe commessi ai danni di una Asl attraverso la vendita e riparazione di protesi acustiche, i cui costi venivano messi a carico del Servizio sanitario nazionale.
Di fronte a un’impugnazione molto ampia, che coinvolgeva sia la posizione delle persone fisiche (i vari manager, dipendenti e collaboratori della società sanzionati dai giudici di merito) sia quella della snc, la Corte di cassazione ha accolto, sia pure parzialmente, solo le motivazioni relative a quest’ultima. Ha cioè ritenuto che la misura interdittiva, che si accompagnava a una sanzione di natura pecuniaria, fosse stata applicata illegittimamente perchè non in linea con le condizioni poste dal decreto 231.
Condizioni che fanno riferimento all’ottenimento di profitto di rilevante entità da parte dell’ente oppure alla ripetizione degli illeciti. Caso quest’ultimo che si verifica solo quando la società, già condannata definitivamente almeno una volta per un illecito dipendente da reato, ne commette un altro nei 5 anni successivi.
La Cassazione ricorda poi, sempre sul versante della responsabilità amministrativa degli enti, che il reato contestato alla persona fisica deve sempre coincidere con quello che fa da presupposto per la contestazione alla persona giuridica. La separazione delle posizioni giuridiche di alcuni degli imputati del reato presupposto, per la scelta di utilizzare riti alternativi, non ha effetti sulla contestazione a carico degli enti e neppure riduce il perimetro della cognizione da parte del giudice che dovrà invece sempre procedere alla verifica dell’esistenza del reato presupposto «alla stregua dell’integrale contestazione dell’illecito formulata nei confronti dell’ente, accertando la sussistenza o meno delle altre condotte poste in essere dai coimputati nell’interesse o a vantaggio dell’ente».