Sanzioni da 10mila a 50mila euro per ritorsioni sul lavoratore
Scatta la presunzione relativa di ritorsività:si inverte l’onere della prova
Uno strumento fondamentale previsto dal Dlgs 24/2023 per garantire la tutela del whistleblower è il divieto di ritorsione, ossia il divieto di mettere in atto qualsiasi comportamento (attivo o omissivo) anche solo tentato o minacciato in conseguenza della segnalazione, che possa provocare direttamente o indirettamente un danno ingiusto al segnalante.
A titolo esemplificativo il decreto delinea una lista di ipotesi che costituiscono una «ritorsione», tra cui il licenziamento o la sospensione del segnalante; il mutamento di mansioni o del luogo di lavoro; la riduzione dello stipendio; la modifica dell’orario di lavoro; l’adozione di misure disciplinari; la sottoposizione ad accertamenti medici; l’intimidazione, la discriminazione o qualsiasi altro trattamento sfavorevole messo in atto in ragione della segnalazione.
Per garantire un’efficace protezione dalle ipotesi di ritorsione il decreto contempla una serie di strumenti di sostegno a tutela del segnalante, tra cui è prevista la possibilità per il whistleblower di rivolgersi a enti del Terzo settore accreditati presso l’Anac e destinati a fornire forme di supporto, tra cui assistenza e consulenza gratuita sulle modalità di segnalazione e sulla protezione dalle ritorsioni nonché sulle modalità di accesso al patrocinio a spese dello Stato.
In caso di ritorsioni commesse nel contesto lavorativo l’Anac assume altresì un ruolo di garante della salvaguardia del segnalante, dal momento che è tenuta ad informare della condotta ritorsiva l’Ispettorato nazionale del Lavoro per l’adozione dei provvedimenti necessari e procede altresì all’applicazione diretta di ingenti sanzioni amministrative che, in caso di accertamento delle condotte ritorsive, variano da 10mila a 50mila euro.
Sul piano delle tutele giudiziarie è inoltre prevista la possibilità per il whistleblower di agire in giudizio al fine di ottenere tutte le misure, anche provvisorie, necessarie ad assicurare la propria tutela, compresi l’ordine di cessazione della condotta ritorsiva, la dichiarazione di nullità degli atti adottati in violazione del divieto di ritorsione, la reintegrazione nel posto di lavoro e da ultimo il risarcimento del danno.
In questo quadro, l’elemento che certamente rappresenta una importante novità dal punto di vista legislativo (sebbene già enunciato dalla giurisprudenza giuslavoristica anche recente) e che potrà tradursi in una misura estremamente efficace a salvaguardia del soggetto segnalante è rappresentato dalla cosiddetta presunzione relativa di ritorsività, in virtù della quale la condotta denunciata sarà considerata automaticamente una conseguenza diretta della segnalazione determinando, a tutela della vittima della ritorsione, una inversione dell’onere della prova. In altri termini, l’obbligo di dimostrare che la condotta denunciata dal whistleblower sia estranea alla segnalazione sarà a carico di colui che ha messo in atto tale condotta: dimostrazione che potrà risultare in alcuni casi particolarmente gravosa e dovrà essere molto specifica, rigorosa e basata su riscontri obiettivi, per scongiurare che il comportamento aziendale possa essere ritenuto un atto di ritorsione.