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Sanzioni pecuniarie più pesanti per il ritardo nell’attuare le sentenze Ue

Nuove modalità di calcolo per garantire un effetto dissuasivo del sistema sanzionatorio disposto dall’Unione europea nei casi in cui gli Stati membri non rispettino il diritto Ue e spingerli, sotto il peso di sanzioni elevate, alla tempestiva attuazione delle sentenze di Lussemburgo

di Marina Castellaneta

Nuove modalità di calcolo per garantire un effetto dissuasivo del sistema sanzionatorio disposto dall’Unione europea nei casi in cui gli Stati membri non rispettino il diritto Ue e spingerli, sotto il peso di sanzioni elevate, alla tempestiva attuazione delle sentenze di Lussemburgo. È la Commissione europea a metterlo in campo con la Comunicazione del 22 dicembre sulle sanzioni pecuniarie nei procedimenti d’infrazione, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea di ieri (serie C 2).

Un restyling che porta a un importante cambiamento nel calcolo dell’importo delle sanzioni previste dall’articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea nei casi in cui uno Stato membro non adotti le misure necessarie ad eseguire una sentenza della Corte o non comunichi le misure di attuazione. Bruxelles, con il nuovo testo, accantona il parametro sinora utilizzato del peso istituzionale dello Stato membro interessato, per il criterio basato sul prodotto interno lordo in rapporto alla popolazione. Nel caso di attivazione dell’articolo 260 del Trattato, la Commissione può proporre una sanzione e la Corte di giustizia può infliggerla imponendo un pagamento costituito da una somma forfettaria e da una penalità giornaliera, per spingere lo Stato a rispettare le sentenze nel più breve tempo possibile. Dal 1996 al 2021 la Commissione ha adottato diverse comunicazioni e, con quella approvata nel 2022, rimette mano all’impianto, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di Lussemburgo e introducendo il parametro della capacità finanziaria dello Stato in sostituzione del peso istituzionale.

Per le sanzioni, tre sono i criteri fondamentali: gravità dell’infrazione, durata, e necessità di garantire l’efficacia dissuasiva della sanzione pecuniaria per evitare recidive. È quest’ultimo aspetto ad aver spinto la Commissione a un cambiamento per garantire che siano fissati importi sufficientemente elevati da essere dissuasivi e assicurare il pieno rispetto del diritto Ue. E questo a vantaggio dei cittadini europei che potrebbero essere privati, nei casi di ritardo nell’attuazione o di mancata esecuzione, dei diritti e dei benefici della legislazione Ue.

La penalità che gli Stati membri sono tenuti a pagare per ogni giorno di ritardo dalla sentenza della Corte con la quale è accertata l’infrazione, si calcola moltiplicando un importo forfettario per un coefficiente di gravità e di durata; il risultato è moltiplicato per un fattore fisso specificato per ogni Stato membro (“fattore n”, con funzione dissuasiva) che riflette la capacità finanziaria dello Stato membro interessato. I coefficienti moltiplicatori si applicano poi all’importo forfettario fisso. In base a quanto stabilito nell’allegato I, l’importo forfettario di base uniforme per il calcolo della penalità è di 3.000 euro (in lieve diminuzione rispetto al passato) e quello per l’importo giornaliero per quantificare la somma forfettaria è fissato a 1.000 euro. Per quanto riguarda il fattore “n”, l’Italia passa da 2,91 a 3,41. Il fattore è stato determinato tenendo conto del prodotto interno lordo e della popolazione nel 2020 (la Germania ha un fattore di 6,16 e la Francia di 4,45). Un cambiamento che porta, per garantire un effetto dissuasivo concreto, a importi più elevati per gli Stati più “forti” rispetto a Paesi come Malta, che ha un fattore di 0,3. Per quanto riguarda la somma forfettaria di riferimento è di 2.800.000 euro sulla quale sono poi calcolate quelle minime riferite a ciascun Paese. Anche in questo caso ci sarà un innalzamento delle sanzioni: se nel 2021, per l’Italia la somma forfettaria minima era di 7.596.000 euro, con la nuova tabella passa a 9.548.000 euro.

I nuovi criteri saranno applicati a tutti i ricorsi avviati dalla Commissione nei confronti di uno Stato membro in base all’articolo 260 del Trattato dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Ue e, quindi, dal 5 gennaio 2023.

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