Penale

Scatta il tentativo di estorsione se chi minaccia è membro di una famiglia nota come clan

immagine non disponibile

di Paola Rossi

Scatta la condanna per il tentativo del reato di estorsione se a sostegno di una richiesta di denaro un membro di una famiglia nota per agire come clan e per utilizzare metodi mafiosi minaccia un male ingiusto alla vittima della pretesa. La Corte di cassazione con la sentenza n. 23075/2018 di ieri ha respinto il ricorso dell'imputato che sosteneva che la brevità della chiacchierata con la vittima della minaccia e la “spontaneità” con cui era entrato nella sua macchina dimostravano l'assenza di coercizione.

La minaccia - La Cassazione spiega che per il tentativo estorsivo è sufficiente la potenzialità della minaccia a incutere paura, al di là se la vittima in quella prima circostanza si sia effettivamente intimidita E l’appartenenza dell’imputato a una famiglia nota per praticare estorsioni ai danni degli esercenti commerciali, condita dalla minaccia di incendiare il locale del malcapitato, è sufficiente a porre nello stato di vittima chi ne è consapevole e riceve l'ordine 'mafioso'.

La coercizione - L’imputato inoltre, sosteneva che non fosse stata provata la natura di clan della propria famiglia e ancor meno di farne parte lui stesso. Ma i giudici fanno notare che invece la vittima della richiesta illecita riteneva sussistenti i due dati di fatto e che ciò è di per sé sufficiente a far scattare lo stato di coercizione. Accettare di salire a bordo dell’auto dell’autore delle minacce - al contrario di quanto sostenuto nel ricorso - conferma l’idoneità del comportamento dell’imputato a coartare la volontà di chi ha dichiarato di avere accettato l’invito al fine di «togliersi quella che per lui era una spina nel fianco»


Corte di Cassazione – Sezione II – Sentenza 23 maggio 2018 n. 23075

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©