Civile

Se l’appalto è certificato contestazione possibile solo davanti al giudice

Il contratto ritenuto simulato non può essere riqualificato unilateralmente dall’Agenzia

di Giampiero Falasca

L’agenzia delle Entrate non può riqualificare unilateralmente un contratto di appalto certificato secondo le procedure previste dalla legge Biagi: se ritiene che tale contratto simuli un negozio di somministrazione irregolare di mano d’opera, l’Ente – al pari di tutti gli altri terzi interessati - deve seguire la specifica procedura di contestazione prevista dall’articolo 80 del Dlgs 276/2003, chiedendo al Giudice del lavoro competente di accertare l’erroneità del provvedimento di certificazione.

L’ottava sezione della Corte di giustizia tributaria di II grado dell’Emilia Romagna (sentenza 1115/2022 del 3 ottobre scorso, presidente Aiello, relatore Morlini) rafforza con questi principi la portata e l’efficacia del provvedimento di certificazione dei contratti d’appalto, introdotto dalla legge Biagi per agevolare la regolarità contrattuale e ridurre il contenzioso sulla qualificazione di alcuni rapporti.

La vicenda nasce da un avviso di accertamento emesso dalle Entrate di Modena sul presupposto della riqualificazione di alcuni contratti di appalto in un negozio di somministrazione di manodopera (con le conseguenti riprese a tassazione per Irap e Iva).

La società destinataria dell’avviso ha impugnato l’atto davanti alla Commissione tributaria, eccependo che l’Agenzia non poteva autonomamente riqualificare il contratto certificato, ma avrebbe dovuto impugnare lo stesso davanti al giudice del lavoro con la procedura prevista dall’articolo 80 del Dlgs 276/2003.

La Corte di giustizia ritiene fondata questa eccezione, dando continuità a una pronuncia emanata in un caso analogo della stessa Ctr (sentenza 639/2019 della Sezione XIV). La sentenza fa leva sul testo letterale dell’articolo 80, nella parte in cui stabilisce che nei confronti dell’atto di certificazione, le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l’atto stesso è destinato a produrre effetti, possono proporre ricorso davanti al giudice del lavoro; solo in caso di accoglimento del ricorso vengono meno gli effetti del provvedimento di certificazione.

La Corte, pur assenza di precedenti giurisprudenziali (salvo quello citato), ritiene che rientrino nella nozione di “terzi” verso cui l’atto di certificazione spiega efficacia tutte le pubbliche amministrazioni e gli enti impositori, e quindi anche l’amministrazione finanziaria. Di conseguenza, anche le Entrate hanno l’onere di impugnare la certificazione davanti al giudice del lavoro; se si seguisse una lettura diversa, ritenendo possibile per l’Amministrazione intervenire direttamente sulla qualificazione certificata dalla legge Biagi, si svuoterebbero di significato la certificazione stessa e gli effetti che la stessa dispiega verso i terzi.

La Corte esclude anche che si possa riqualificare l’appalto facendo leva sull’inesatta esecuzione del contratto certificato, in quanto tale opzione viene preclusa dal comma 1 dell’articolo 80, nella parte in cui rinvia al giudice del lavoro l’impugnazione del provvedimento di certificazione non solo quando derivi dalla «erronea qualificazione del contratto», ma anche quando sia motivata con la «difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione».

La sentenza esclude, infine, che la necessità di impugnare il contratto sia superabile facendo leva sull’articolo 2, comma 3, del Dlgs 546/1992, che prevede il generale potere della Corte tributaria di risolvere incidentalmente le questioni da cui dipende la decisione sulla controversia tributaria: tale norma non ha carattere processuale e, in ogni caso, la legge Biagi si configura come normativa successiva e speciale rispetto ad essa.

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