Responsabilità

Se manca il consenso informato cure illegittime e danni da risarcire

L’omissione può ledere il diritto alla salute e quello all’autodeterminazione

ADOBESTOCK

di Filippo Martini

La struttura sanitaria e il medico hanno il dovere di informare il paziente circa la natura dell’intervento che intendono proporre ed eseguire, i suoi rischi, la portata dei possibili e probabili risultati conseguibili nonché delle implicazioni che si potrebbero verificare. Infatti, perché l’intervento praticato sul paziente si possa ritenere lecito e svolto nel suo pieno e consapevole interesse occorre acquisire il suo «consenso informato»: l’obbligo del consenso informato, in altre parole, costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario.

Lo ha stabilito, da ultimo, la Corte di cassazione nell’ordinanza 18283 depositata lo scorso 25 giugno nel caso proposto da una paziente di un medico oculista per le conseguenze di una terapia farmacologica: questa aveva avuto effetti sulle funzioni renali e la paziente lamentava di non essere stata preventivamente informata dei possibili rischi.L’obbligo di acquisire il consenso informato dal paziente diventa ancora più cruciale nel momento in cui - come nell’epoca attuale - si propongono ai pazienti trattamenti sanitari non ancora consolidati.

I danni e le responsabilità
La Cassazione rammenta che la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente circa i trattamenti sanitari che intende praticargli può causare due diversi tipi di danni:
1)
un danno alla salute, da risarcire quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti;
2)
e un danno da lesione dell’autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale (e, in quest’ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute.

Il tema dell’obbligo per il medico di ottenere, preventivamente all’esecuzione del trattamento sanitario, un valido e pieno consenso da parte del paziente è stato anche affrontato dalla Corte costituzionale che, nella sentenza 438/2008, lo ha definito come espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico che si configura quale vero e proprio diritto della persona. Tra le varie obbligazioni spettanti al medico e alla struttura sanitaria, infatti, vi è anche quella relativa all’informazione finalizzata all’acquisizione del consenso informato da parte del paziente a sottoporsi al trattamento proposto dal medico e la violazione di tale obbligazione comporta responsabilità contrattuale in capo alla struttura sanitaria. Il medico ne risponderà per responsabilità contrattuale o extracontrattuale a seconda che l’operatore abbia stipulato col paziente un contratto di servizi sanitari, o che operi strutturato nell’ospedale. Di conseguenza, in caso di contestazione da parte del paziente e quindi di sua allegazione dell’inadempimento all’obbligo informativo, graverà sull’ospedale (o sul medico che risponde a titolo di responsabilità contrattuale) l’onere di dimostrare di averlo validamente e compiutamente informato e di avere il paziente espresso un consenso consapevole.

Se l’omissione dell’acquisizione del consenso informato risulta provata, scatta per i sanitari e per le aziende l’obbligo di risarcire il danno non patrimoniale legato alla lesione di un bene assoluto e protetto dalla legge, e che rientra nella sfera del danno morale soggettivo, la cui liquidazione è normalmente rimessa all’apprezzamento equitativo del magistrato.

Le norme e la giurisprudenza
L’istituto del consenso informato è oggi regolato dalla legge 219/2017, che ha recepito gran parte dell’impianto elaborato dalla giurisprudenza negli anni e che, all’articolo 1, prevede che ogni persona «ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi».

Il paziente, inoltre, «può rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l’eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico».

Una volta inquadrato l’istituto dell’obbligo posto a carico del medico, la magistratura ha ritenuto opportuno precisare (prima che lo facesse il legislatore) che per essere validamente espresso il consenso deve essere personale, specifico ed esplicito, nonché reale ed effettivo, non essendo consentito il consenso presunto, né valido ed esaustivo quello contenuto in un modulo del tutto generico, da cui non sia possibile desumere con certezza che il paziente lo abbia consapevolmente prestato. La responsabilità sussiste persino nell’ipotesi di esito inalterante del trattamento, vale a dire quando non sia conseguito alcun miglioramento e quindi sia emersa la sostanziale inutilità dello stesso, con tutte le conseguenze di carattere fisico (sofferenze, rischi e spese sostenute) e psicologico (timore per la persistenza della malattia e per la prospettiva di subire un nuovo intervento).

I precedenti
1. Diritto all’autodeterminazione
In caso di omessa informazione su un intervento che ha causato un pregiudizio alla salute, ma senza che sia stata dimostrata la responsabilità del medico, sarà risarcibile il diritto violato all’autodeterminazione, se il paziente allega e prova che, una volta in possesso dell’informazione, avrebbe rifiutato l’intervento. Il rifiuto del consenso alla pratica terapeutica rileva sul piano della causalità giuridica in base all’articolo 1223 del Codice civile, cioè della relazione tra evento lesivo del diritto all’autodeterminazione e pregiudizio che ne deriva.
Cassazione, 17322 del 19 agosto 2020

2. Danno non patrimoniale
L’omessa informazione è di rado premessa causale della lesione del diritto alla salute: accade, ad esempio, se l’insuccesso della prestazione medica derivi dalla mancata acquisizione di informazioni rilevanti circa la salute del paziente che, se possedute, avrebbero orientato altrimenti le decisioni terapeutiche. Dà invece luogo a un danno non patrimoniale autonomamente risarcibile, per l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 del Codice civile, se il danno sia collegato causalmente all’omessa informazione e varchi la soglia della gravità dell’offesa.
Cassazione, 7385 del 16 marzo 2021

3. Il concorso nella lesione
La giurisprudenza della Cassazione configura il diritto all’autodeterminazione quale diritto autonomo e distinto rispetto al diritto alla salute e richiede un giudizio controfattuale su quale sarebbe stata la scelta del paziente se fosse stato correttamente informato. Infatti, se avesse prestato senza riserve il consenso, il danno sarebbe da imputare solo all’errore medico, mentre, se avesse negato il consenso, il danno biologico sarebbe riferibile alla violazione dell’obbligo informativo, che concorrerebbe con l’errore medico nel produrre la lesione.
Cassazione, 8163 del 23 marzo 2021

4. Due tipi di danno
La violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava l’onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze, e un danno da lesione dell’autodeterminazione in se stesso, che sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, diverso dalla lesione del diritto alla salute.
Cassazione, 12593 del 12 maggio 2021

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