Senza danno all'erario, l'errata applicazione del reverse charge è ravvedibile con il pagamento delle sanzioni in misura fissa
Nel caso di specie, la società istante, residente in Lussemburgo ed identificata in Italia ai sensi dell'articolo 35-ter del d.P.R. n. 633 del 1972, rappresentava di aver emesso fatture dalla propria partita IVA lussemburghese in regime di inversione contabile, per cessioni di beni imponibili in Italia nei confronti di cessionari erroneamente ritenuti soggetti passivi non residenti nel territorio dello Stato operanti in Italia mediante stabili organizzazioni, destinatarie degli obblighi IVA sulle cessioni domestiche in luogo del fornitore non stabilito.
Con la recente Risposta ad Interpello del 28 aprile 2021, n. 301, l'Agenzia delle Entrate si è pronunciata sul corretto trattamento sanzionatorio applicabile in caso di operazioni erroneamente effettuate in regime di reverse charge, confermando la possibilità per il contribuente di regolarizzare la propria posizione mediante ravvedimento operoso, con il versamento della sola sanzione amministrativa fissa di 250 euro, come previsto dall'art. 6, comma 9-bis.2 del d.lgs. n. 471 del 1997, e senza la necessità di regolarizzare materialmente l'operazione emettendo le apposite note di variazione.
Nel caso di specie, la società istante, residente in Lussemburgo ed identificata in Italia ai sensi dell'articolo 35-ter del d.P.R. n. 633 del 1972, rappresentava di aver emesso fatture dalla propria partita IVA lussemburghese in regime di inversione contabile, per cessioni di beni imponibili in Italia nei confronti di cessionari erroneamente ritenuti soggetti passivi non residenti nel territorio dello Stato operanti in Italia mediante stabili organizzazioni, destinatarie degli obblighi IVA sulle cessioni domestiche in luogo del fornitore non stabilito.
Data tale situazione di fatto, venutasi a creare per le imprecise informazioni fornite dalle cessionarie, la società istante domandava chiarimenti in ordine al regime sanzionatorio applicabile e, in particolare, circa la possibilità di regolarizzare la propria posizione fiscale attraverso l'istituto del ravvedimento operoso di cui all'art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997, tenuto conto del fatto che "l'errore commesso, a suo avviso, non ha cagionato danno all'erario, essendo l'IVA stata assolta dai cessionari mediante il meccanismo del reverse charge, ed escluso qualsiasi contesto di frode".
Come infatti ben noto, l'art. 17, comma 2 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede che, nel caso di cessioni di beni o di prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell'Unione europea nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, gli obblighi di fatturazione e di registrazione sono adempiuti dal cessionario o committente. Tuttavia, il successivo comma 3 del medesimo art. 17 dispone che, nel caso in cui gli obblighi o i diritti derivanti dall'applicazione delle norme in materia di IVA siano previsti a carico ovvero a favore di soggetti non residenti e senza stabile organizzazione nel territorio dello Stato, i medesimi sono adempiuti o esercitati, nei modi ordinari, dagli stessi soggetti direttamente, se identificati ai sensi dell'art. 35-ter, ovvero tramite un loro rappresentante residente nel territorio dello Stato. Pertanto, in base a tale disposizione, la società istante, per le cessioni domestiche di beni destinati a soggetti non stabiliti in Italia, avrebbe dovuto emettere fattura intestata alla propria partita IVA italiana e secondo le regole ordinarie, anziché in regime di inversione contabile.
Tanto premesso, l'Agenzia delle Entrate ha comunque accolto la soluzione prospettata dall'Istante, ritenendo applicabile al caso di specie non la sanzione ordinaria prevista dall'art. 6 comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 per la violazione degli obblighi inerenti alla fatturazione in misura proporzionale all'imposta non correttamente documentata, bensì quella speciale prevista dal successivo comma 9-bis.2 secondo cui, qualora in assenza dei requisiti prescritti per l'applicazione dell'inversione contabile l'imposta sia stata erroneamente assolta dal cessionario o committente, il cedente o il prestatore non è tenuto all'assolvimento dell'imposta, ma è punito con la sanzione pecuniaria in misura fissa compresa fra 250 euro e 10.000 euro.
In particolare, l'amministrazione finanziaria, richiamando quanto già affermato nella Circolare dell'11 maggio 2017, n. 16, ha ricordato che il comma 9-bis.2 "disciplina l'ipotesi [...] in cui l'IVA doveva essere assolta in via ordinaria, ma è stata, in modo irregolare, assolta con il meccanismo dell'inversione contabile dal cessionario o committente. [...]. Il cessionario o committente ha il diritto alla detrazione dell'imposta assolta irregolarmente con l'inversione contabile, mentre il cedente o prestatore – seppur debitore dell'imposta - non è obbligato all'assolvimento della stessa, ma è punito con la sanzione in misura fissa stabilita da un minimo di 250 euro a un massimo di 10.000 euro. Del pagamento di tale sanzione è responsabile, in via solidale, il cessionario o committente", fermo restando "l'inapplicabilità della sanzione in misura fissa, con conseguente applicazione delle regole ordinarie di cui al citato comma 1, nei casi in cui la condotta sia determinata da un intento di evasione o di frode per il quale vi sia prova di consapevolezza da parte del cedente o prestatore".
La posizione assunta dall'Agenzia delle Entrate, laddove ritiene applicabile l'art. 6, comma 9-bis.2, appare senz'altro condivisibile, prevedendo una risposta sanzionatoria che pare commisurata all'effettiva (lieve) gravità della condotta del contribuente nel caso rappresentato.
D'altronde, l'obiettivo di differenziare la risposta sanzionatoria in considerazione della diversa gravità della condotta del contribuente è principio cui si è ispirato il legislatore tributario nell'introduzione dei commi da 9-bis.1 a 9-bis.3 nell'art. 6 del d.lgs. n. 471 del 1997, ad opera del d.lgs. n. 158 del 2015 ( 1). Mediante tale riforma, infatti, il legislatore ha inteso rendere il sistema sanzionatorio previsto per le violazioni da irregolare applicazione del reverse charge maggiormente coerente e proporzionale rispetto al concreto disvalore dell'irregolarità commessa dal contribuente e, al contempo, garantire il rispetto del principio della neutralità dell'imposta sul valore aggiunto. Ne deriva che in ipotesi come quella del caso di specie, ove l'IVA è stata versata, seppur erroneamente, dal cessionario, sarà correttamente applicata la sanzione in misura fissa e fatto salvo il diritto alla detrazione del medesimo, poiché nessun danno è stato procurato all'Erario.
Del resto, non sembra nemmeno superfluo evidenziare che, in un caso come quello descritto nella risposta ad interpello n. 301, l'applicazione di una sanzione più onerosa rispetto a quella fissa sarebbe apparsa del tutto sproporzionata se solo si considera che l'errore in cui è incorso il cedente è frutto delle imprecise informazioni a questo fornite dalle cessionarie. Ebbene, non ravvisandosi una colpa in tale errore, potrebbe addirittura ritenersi ragionevole invocare la causa di non punibilità di cui all'art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997. Tale disposizione, infatti, prevede che "se la violazione è conseguenza di errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da colpa".
Come noto, sul punto l'Amministrazione finanziaria ritiene che tale disposizione "esclude la responsabilità quando l'errore non è determinato da colpa. Il fattore discriminante è quindi costituito dalla causa dell'errore medesimo. Se esso dipende da imprudenza, negligenza o imperizia, non rileva ai fini dell'esclusione della responsabilità, ma se il trasgressore ha osservato la normale diligenza nella ricostruzione della realtà, l'errore in cui è incorso esclude la colpa richiesta dal precedente art. 5. Per contro - si ribadisce - l'errore evitabile con l'uso dell'ordinaria diligenza, quella cioè che si può ragionevolmente pretendere dal soggetto agente, non influisce sulla punibilità" (circolare 10 luglio 1998, n. 180).
Pertanto, anche volendo ammettersi che, in un caso come quello in rassegna, l'erronea applicazione del regime del reverse charge debba essere sanzionata, ritenere applicabile la sanzione ordinaria di cui al comma 1 dell'art. 6 paleserebbe un'evidente sproporzione nella risposta sanzionatoria rispetto alla gravità della condotta posta in essere dal contribuente, evidentemente influenzata da un errore, senza colpa, sul fatto.
Ma oltre a tali ragioni, la linea interpretativa fatta propria dalla prassi amministrativa appare interessante laddove si consideri che nella circolare n. 16 del 2017 citata, cui si rinvia nel testo della risposta ad interpello, l'Agenzia delle Entrate aveva ritenuto l'ambito applicativo del comma 9-bis.2 circoscritto "solo al caso di irregolare assolvimento dell'imposta relativa a cessioni di beni o a prestazioni di servizi di cui alle disposizioni menzionate nel primo periodo del comma 9-bis "in assenza dei requisiti prescritti per l'applicazione dell'inversione contabile"", ossia alle sole "ipotesi in cui l'imposta è stata erroneamente assolta dal cessionario/committente con il meccanismo dell'inversione contabile… per operazioni riconducibili alle ipotesi di reverse charge ma per le quali non ricorrevano tutte le condizioni per la sua applicazione". Ritenendo, al contrario, esclusi da tale ambito applicativo i casi in cui il meccanismo dell'inversione contabile fosse stato adoperato per "ipotesi palesemente estranee a detto regime", per cui tornano applicabili le ordinarie sanzioni previste dal comma 1 e 8 dell'art. 6 cit.
L'ultimo approdo della prassi amministrativa amplia quindi le fattispecie in cui può trovare applicazione la sanzione in misura fissa, sino a ricomprendere anche quelle in cui non vi sia un'incertezza in merito all'applicazione del reverse charge, ma si commetta l'irregolarità a causa di imprecise informazioni fornite dal cessionario.
Anche in questo senso, la posizione dell'Agenzia deve essere accolta con favore, in quanto, correttamente, si ancora all'assenza dell'intento fraudolento nella condotta del contribuente e al mancato danno arrecato all'erario in conseguenza di tale condotta, anziché alla valutazione, maggiormente discrezionale, circa la sussistenza di un'oggettiva incertezza sull'applicazione del regime di reverse charge (2 ).
note
(1) Nel sistema ante riforma, invece, se l'imposta risultava assolta, ancorché irregolarmente, dal cessionario/committente o dal cedente/prestatore, fermo restando il diritto di detrazione, la sanzione risultava pari al 3 per cento dell'imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258,00 euro.
(2) La dottrina ha, a più riprese, sostenuto che la precisazione fornita dalla circolare n. 16 cit. potesse essere foriera di incertezza e tale da far insorgere controversie tra l'Amministrazione finanziaria ed i contribuenti. Sul punto, si veda, tra gli altri, G. Liberatore, "Reverse charge con sanzioni più soft, ma anche più discrezionali" in "L'IVA" n. 7 del 2017.
*di Martina Bettarini e Valentina di Marco Giordano|Merolle – Studio Legale Tributario