Famiglia

Separazioni, colpa a chi lascia la casa se non prova i motivi

Per evitare l’addebito va dimostrata la pregressa intollerabilità della convivenza

di Selene Pascasi

Per scongiurare l’addebito della separazione, è chi si allontana dalla casa familiare a dover provare che aveva un buon motivo per andarsene. Lo puntualizza la Corte di cassazione con l’ordinanza 1785 del 28 gennaio 2021.

È la moglie a muovere il caso. Il Tribunale e la Corte d’appello - lamenta proponendo ricorso - le avevano addebitato la responsabilità della separazione per abbandono del tetto coniugale respingendo tutte le domande economiche. Una decisione - contesta la ricorrente - contraria al principio per cui chi chiede l’addebito deve provare il rapporto causale tra la violazione dei doveri coniugali sanciti dall’articolo 143 del Codice civile, inclusi quello di coabitazione e di fedeltà, e l’intollerabilità della convivenza. Prova che, invece, il marito non aveva fornito. E comunque - evidenzia la moglie con il secondo motivo d’impugnazione - nonostante si fosse allontanata, aveva sempre mantenuto i rapporti con i figli minori, lasciando loro il recapito telefonico, per cui la sua condotta, per nulla irreversibile, neanche si poteva qualificare come un vero e proprio allontanamento.

I giudici di legittimità, però, bocciano il ricorso. Il volontario abbandono del domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, affermano, costituendo una violazione del dovere di convivenza, è di per sé motivo sufficiente a giustificare l’addebito, a meno che non risulti provato che sia dipeso dal comportamento dell’altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la convivenza era già intollerabile.

Lo ha ricordato la Cassazione, da ultimo, con l’ordinanza 648/2020. Nell’occasione, pur dando atto dell’abbandono del tetto domestico da parte della moglie, la Corte valutò diverse circostanze: la prolungata assenza di rapporti intimi tra i coniugi, gli accesi contrasti con la famiglia di origine della moglie, la sua esclusione dalla gestione delle entrate, l’occultamento dell’avvenuto pensionamento del marito e il ritardo con cui questi si era messo alla sua ricerca.

Nel caso deciso dalla Cassazione con l’ordinanza 1785/2021, però, non erano emersi fattori particolari, né la ricorrente aveva dato prove che potessero liberarla dall’addebito. Del resto, la distribuzione dell’onere probatorio in sede di separazione vuole che chi chiede l’addebito dimostri l’allontamento e che l’altro coniuge - per poterlo evitare - provi che è dipeso da una pregressa intollerabilità della convivenza. Perché scatti l’addebito, in sintesi, deve essere accertata non solo la violazione dei doveri matrimoniali ma anche lo stretto legame causa-effetto tra violazione e intollerabilità della prosecuzione della convivenza (Cassazione 2059/2012).

Circa, poi, il rilievo per cui l’allontamento non sarebbe stato irreversibile - visti i costanti contatti telefonici con i figli - si tratta, secondo la Cassazione, di un elemento non decisivo per una diversa pronuncia sull’addebito della crisi coniugale.

Per queste ragioni la Corte di cassazione conferma la sentenza cristallizzando la responsabilità della donna per il fallimento del matrimonio.

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