Responsabilità

Invalidità da sinistro, per i lavoratori risarcimento al lordo delle ritenute non fiscali

La Cassazione, sentenza n. 11320 depositata oggi, ha chiarito che dal calcolo vanno escluse le tasse ma non le altre ritenute obbligatorie

di Francesco Machina Grifeo

La Terza sezione civile, sentenza n. 11320 depositata oggi, fornisce un importante chiarimento sull’interpretazione dell’articolo 137, co. 1, del Codice delle assicurazioni private (Dlgs 7 settembre 2005, n. 209). L’articolo scrive la Cassazione, affermando un principio di diritto, “deve essere interpretato nel senso che, nella liquidazione del danno da invalidità permanente, deve aversi riguardo, per la determinazione del pregiudizio patrimoniale subito dal danneggiato lavoratore dipendente, agli emolumenti che a questo spettano in concreto al lordo delle ritenute diverse da quelle fiscali, che vanno invece escluse dal reddito considerato”.

È stato così accolto il quarto motivo di ricorso presentato da un Istituto assicurativo che aveva lamentato la determinazione del danno patrimoniale futuro sulla base del reddito lordo.

Per il Collegio, infatti, l’attuale formulazione dell’art. 137 cod. ass. non giustifica la ricostruzione accolta dalla Corte di merito, in quanto una interpretazione costituzionalmente orientata deve porre a base del calcolo il reddito al netto delle ritenute fiscali, sia per il lavoratore dipendente che per quello autonomo. Nonostante la precedente formulazione della norma fosse meno equivoca, il Collegio non ritiene che quella vigente “sia tale da doversi ritenere insuperabilmente ostativa a dare continuità a quell’indirizzo, non ravvisandosi né nel testo né nella relazione illustrativa alcun elemento che evidenzi una consapevole e intenzionale volontà di discostarsene”.

Per addivenire a tale approdo, la Corte ricorda che il risarcimento, in base al principio dell’integralità (sancito dall’art. 1223 c.c.), per un verso, deve compensare il danneggiato integralmente del danno subito, per l’altro vieta che con il risarcimento egli ottenga più di quanto abbia effettivamente perduto. In pratica, il risarcimento del danno da perdita o riduzione della capacità di guadagno deve porre il danneggiato nella stessa condizione patrimoniale in cui si sarebbe trovato se non vi fosse stato il fatto illecito: per il lavoratore danneggiato dovrebbe essere patrimonialmente indifferente lavorare e percepire la paga, ovvero non lavorare a causa della procurata incapacità e percepire il risarcimento.

Per questo motivo, ricorda la sentenza, dottrina e giurisprudenza prevalenti hanno sempre ritenuto che il reddito da porre a base della liquidazione del danno da riduzione della capacità di guadagno debba essere il reddito netto, e non il reddito lordo. Infatti, se il lavoratore non avesse patito il danno, avrebbe percepito la retribuzione ma avrebbe dovuto pagare le tasse: e siccome il risarcimento non può trasformarsi in un arricchimento per il danneggiato, esso deve essere pari al reddito che la vittima avrebbe percepito, al netto delle tasse. Diversamente, in conseguenza del sinistro la vittima percepirebbe somme superiori a quelle che avrebbe ottenuto se il danno non si fosse verificato, e per di più senza vantaggi per l’erario.

Altro ragionamento, prosegue la Corte, va fatto per le ritenute non fiscali. Per queste ultime una ragione che giustifichi sul piano logico la ricomprensione nella base di calcolo “può ravvisarsi proprio nell’esigenza di compensare il danneggiato dei vantaggi perduti a causa del mancato versamento dei contributi assicurativi e previdenziali”. In tal caso, argomenta la Cassazione, “il danno esiste ed è ricollegabile al fatto che la perdita di quanto il lavoratore avrebbe accantonato rileva ai fini del suo trattamento previdenziale conseguente al pensionamento anticipato o alle diverse condizioni pensionistiche conseguibili in ragione della lesione della capacità lavorativa”.

“Si vuol dire, cioè - prosegue la decisione - che il danno alla persona … deve essere ricostruito in termini di perdita di ciò che si sarebbe conseguito lavorando in mancanza della inabilità o invalidità sofferte e, dunque, di una perdita o di un mancato guadagno”. E allora l’espressione «al lordo… delle ritenute di legge», ben si presta a essere intesa come relativa a quelle ritenute la cui mancata applicazione costituisce una perdita e/o un mancato guadagno. Implicando la considerazione solo di ciò che il lavoratore soffre come perdita o mancato guadagno e non di ciò che non integra né l’uno né l’altro, come le ritenute fiscali.

In quest’ottica, conclude la Cassazione, lo stesso riferimento per il reddito da lavoro autonomo al «reddito netto» va sempre spiegato in senso analogo, come relativo cioè al reddito comprensivo di quelle eventuali detrazioni la cui mancata verificazione integri danno per il lavoratore e non certo delle imposte, il cui prelievo non è danno ai sensi dell’art. 1223 c.c..

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