Civile

Sinistri, lucro cessante da risarcire integralmente e non in base alla percentuale di invalidità

Per la Cassazione, sentenza n. 28071 di oggi, vanno liquidate tutte le retribuzioni perse fino alla pensione

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di Francesco Machina Grifeo

Il danno patrimoniale da lucro cessante per chi ha perso un lavoro a tempo indeterminato a causa di un sinistro stradale, deve essere parametrato all'intero delle retribuzioni che la vittima avrebbe percepito e non rapportato alla percentuale di invalidità. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 28071 depositata oggi, accogliendo sotto questo profilo il ricorso contro una Compagnia di Assicurazioni di un ciclista investito da un auto in corsa.

La Corte di Appello di Venezia aveva condannato i convenuti - oltre all'Istituto assicurativo, il conducente ed il proprietario - a pagare al ricorrente circa 320mila euro per i "danni patrimoniali e non", e 30mila euro per il danno patrimoniale da lucro cessante. Contro questa decisione il ricorrente ha sostenuto che la Corte di appello aveva errato nel liquidare in suo favore il danno patrimoniale nella misura di un terzo, "cioè nella misura pari alla menomazione della sua capacità lavorativa accertata dal consulente tecnico di ufficio".

Una doglianza condivisa dalla Cassazione che ricorda come la vittima avesse perduto il proprio impiego a tempo indeterminato in conseguenza dell'incidente, "in quanto, a causa dei relativi postumi, ha superato il periodo di comporto ed è stato licenziato, senza che risulti che sia riuscito a reperire un'altra occupazione". Dunque, prosegue la decisione, "il danno patrimoniale relativo alla sua perdita reddituale avrebbe dovuto essere liquidato sulla base dell'importo (eventualmente capitalizzato) delle retribuzioni che avrebbe conseguito in virtù del suo preesistente rapporto di lavoro, se non fosse stato licenziato a causa delle lesioni riportate nel sinistro, fino alla data della pensione, oltre che degli assegni familiari, della perduta possibilità di progressione in carriera e del danno pensionistico".

"Di conseguenza – prosegue la decisione -, la percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica conseguente all'incidente, riconosciuta dal consulente tecnico di ufficio nella misura del 33% (che peraltro, sommata alla precedente invalidità dell'attore, risulterebbe avere determinato una invalidità complessiva del 75%), non poteva avere in concreto alcun rilievo ai fini della liquidazione del danno patrimoniale".

Riconoscendogli soltanto il 33%, e non il 100%, delle retribuzioni e degli altri importi persi, la Corte territoriale ha violato l'art. 1223 c.c., in quanto non ha riconosciuto al danneggiato "l'intero pregiudizio subito in concreto, pregiudizio che, nella specie, consiste nella perdita dei redditi (in parte futuri) derivanti dal rapporto di lavoro dipendente di cui era titolare, venuto meno in conseguenza del fatto illecito del convenuto".

Né, conclude la decisione, potrebbe sostenersi che il danneggiato avrebbe dovuto dimostrare che non era possibile per lui reperire un'altra attività lavorativa. "Avrebbe infatti dovuto essere il danneggiante a dimostrare, eventualmente, che il danneggiato aveva trovato un nuovo impiego, secondo i principi generalmente affermati da questa corte in tema di danno da licenziamento".

Non gli è stato invece accordato il rimborso dei contributi volontari perché superiore all'incremento del trattamento pensionistico che potrà presumibilmente percepire in virtù dei versamenti fatti. Tale versamento "non può quindi ritenersi idoneo a ridurre il danno corrispondente al trattamento pensionistico perduto a causa del licenziamento; di conseguenza il rimborso di essi (in aggiunta all'importo dell'integrale trattamento perduto, senza maggiorazioni) è stato legittimamente escluso, dato che il suo riconoscimento avrebbe comportato una evidente duplicazione di poste risarcitorie".

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