Civile

Crac bancari, gli organi di controllo non esonerano gli amministratori

La Cassazione, ordinanze nn. 11569 e 11570, ha confermato la condanna di due componenti del consiglio di amministrazione della Banca Pop. Vicenza

di Francesco Machina Grifeo

La Cassazione con due diverse ordinanze depositate oggi (nn. 11569 e 11570) ha respinto i ricorsi di amministratori e manager apicali della Banca Popolare di Vicenza, contro le sanzioni irrogategli nel 2017 dalla Banca d’Italia per diverse irregolarità gestionali (l’istituto è stato posto in liquidazione coatta amministrativa dal Mef).

Diventa così definitiva la sanzione di 163mila euro per il vicepresidente del CdA della Banca, “multato” da Via Nazionale sia per carenze nell’organizzazione, nella gestione dei rischi e nei controlli interni (per 93mila euro), sia per mancanze nel governo societario, con particolare riferimento all’assetto del gruppo, alla ripartizione delle deleghe e ai flussi informativi (per i restanti 70mila). Nulla da fare anche per un componente del Cda sanzionato per 94mila euro per carenze nell’organizzazione, nella gestione dei rischi e nei controlli interni. In tutti e due i casi le misure erano state già confermate dalla Corte di Appello di Roma nel 2020.

Nell’ordinanza che ha respinto il ricorso del vicepresidente si legge, tra l’altro, che “i segnali di allarme erano plurimi, univoci e gravi”. L’aumento del capitale sociale del 2013, prosegue la decisione, era composto per 253 milioni di euro da azioni di nuova emissione e per altri 253 milioni da obbligazioni non scindibili e la Banca aveva finanziato l’acquisto di azioni per 136 milioni, quindi per oltre la metà; l’aumento di capitale del 2014 per 697,8 milioni era stato finanziato per quasi un quarto (146 milioni) dalla Banca; i finanziamenti spesso erano stati effettuati facendo usufruire della scopertura di contro corrente, in assenza di garanzie e apprezzabili motivazioni e seguiti dall’anomalo “storno” degli interessi passivi o di altri debiti. Per la Cassazione si tratta di “segnali tutti colpevolmente ignorati dal ricorrente”, “in spregio delle particolari cautele e vigilanza” imposti per il caso di “finanziamento di clienti per l’aumento del capitale sociale”, correndo il “serio rischio” di compromettere “il principio di effettività del capitale sociale”.

La Suprema corte poi ribadisce che “l’estrema complessità dell’organizzazione d’impresa bancaria impone, a chi assume l’onere e l’onore dell’apicalità, di padroneggiare l’insieme”. “Il ruolo dell’amministratore e del dirigente bancario – prosegue -, per la particolare delicatezza della funzione, implicante la tutela di valori di primario rilievo, e per la intrinseca complessità del settore, richiede penetrante attività e, per il rovescio della medaglia, viene ricoperto da persone altamente qualificate”.

“Né – continua l’ordinanza -, il mero fatto della previsione in pianta di organi di controllo e verifica possono sollevare gli amministratori e i dirigenti dal dovere di accertarsi che il sistema, in effetti, sia sano e conforme ai precetti di buona amministrazione. Proprio per questa ragione il comma terzo dell’art. 2932 cod. civ., dispone che l’amministratore dissenziente debba fare annotare il proprio dissenso nei libri societari, restando vacua e priva di rilievo la mera denuncia di dissenso in forma libera”.

Dunque, per il contenimento del rischio creditizio la normativa ha imposto “doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione delle società bancarie, che riguardano l’intero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicché rispondono del mancato utile attivarsi”. “Ne consegue – conclude sul punto la Suprema corte -, inoltre, che in caso di irrogazione di sanzioni amministrative, la Banca d’Italia, anche in virtù della presunzione di colpa vigente in materia, ha unicamente l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, mentre spetta a questi ultimi provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o, comunque, mirante a scongiurare il danno”.

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