Responsabilità

Sinistri stradali, morte precoce della vittima: il danno morale resta pieno

Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 12060 deposita oggi, affermando un principio di diritto

di Francesco Machina Grifeo

La quantificazione del "danno morale" conseguente ad un grave infortunio stradale non può essere rapportata, in via riduttiva, alla scarsa durata della sofferenza in quanto è sopraggiunta la morte precoce della vittima. Il danno, infatti, si realizza al momento dell'evento e dunque diversamente da "danno biologico" gli accadimenti successivi non giocano alcun ruolo nella sua determinazione. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 12060 deposita oggi, accogliendo il ricorso, contro l'istituto assicurativo, degli eredi di un uomo deceduto (in corso di causa) a seguito di un sinistro stradale.

La VI Sezione civile ha così affermato il seguente principio di diritto: "la liquidazione del danno morale, quale sofferenza interiore patita dalla vittima dell'illecito, deve effettuarsi con riferimento al momento dell'evento dannoso ed alle caratteristiche dello stesso, mentre non incidono su di essa fatti ed avvenimenti successivi, quale la morte del soggetto leso".

La Corte di appello, in sede di rinvio dopo una prima pronuncia della Cassazione, aveva ritenuto congrua la somma di 40mila euro complessivamente liquidata a favore della vittima a titolo di danno biologico e morale "assumendo come riferimento la sua sopravvivenza ‘effettiva' dopo il sinistro, e non già l'aspettativa di vita del medesimo".

Proposto ricorso, gli eredi hanno dedotto la violazione dell'articolo 2059 del codice civile lamentando l'avvenuta liquidazione del danno non patrimoniale in dispregio del carattere istantaneo del medesimo.

Un motivo accolto dalla Suprema corte secondo cui se è vero che il principio di diritto enunciato dalla pronuncia rescindente (Cass. 24075/2017) era nel senso che il giudice di merito, in sede di rinvio, dovesse valutare, ai fini della personalizzazione del danno morale, "intensità e durata della sofferenza psichica", tuttavia non può dubitarsi del fatto che la "durata" andasse accertata alla stregua della giurisprudenza della Cassazione. E che, pertanto, avrebbe dovuto trovare applicazione il principio secondo cui "il danno patrimoniale quale sofferenza patita dalla sfera morale del soggetto leso, si verifica nel momento stesso in cui questo evento dannoso si realizza", e ciò "pur dovendosi tener conto della natura istantanea o permanente dell'illecito o della sua reiterazione", sicché "la liquidazione del danno deve far riferimento al momento dell'evento dannoso ed alle caratteristiche indicate, mentre non vi incidono fatti ed avvenimenti successivi, quali la morte del soggetto leso".

In questo senso, prosegue il ragionamento, non sono conferenti i precedenti citati dall'assicurazione, tutti relativi al danno cosiddetto "biologico", per il quale, nell'ipotesi di decesso del danneggiato in corso di causa, l'ammontare del risarcimento va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato.

Rispetto al danno alla salute, duque la voce di danno morale mantiene la sua autonomia non essendo in esso "conglobabile". Il danno morale perciò "deve liquidarsi secondo "un attendibile criterio logico-presuntivo" che si fonda sulla "corrispondenza, su di una base di proporzionalità diretta, della gravità della lesione rispetto all'insorgere di una sofferenza soggettiva", giacché "tanto più grave" risulterà la "lesione della salute, tanto più il ragionamento inferenziale consentirà di presumere l'esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall'aspetto dinamico relazionale conseguente alla lesione stessa".

Pertanto, continua il ragionamento della Corte, il riferimento alla "durata" della sofferenza - contenuto nella pronuncia rescindente di questa Corte, alla quale ha fatto seguito quella rescissoria adottata dal giudice del rinvio (ed oggetto della presente impugnazione) - non doveva intendersi come correlata alla permanenza in vita del danneggiato, ma quale parametro dell'intensità, e cioè dei termini nei quali la sofferenza è rimasta permanente nel tempo o ha subito evoluzioni, essendosi, per vero, escluso, da parte di questa Corte, non solo "che il valore della integrità morale possa stimarsi in una mera quota minore del danno alla salute, ma anche "di potersi fare ricorso a meccanismi semplificativi di tipo automatico".

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