Società di capitali: deliberazione di scioglimento anticipato e abuso del diritto di voto
In caso di deliberazione dello scioglimento anticipato la posizione debitoria del socio di maggioranza nei confronti della società partecipata non configura un abuso del diritto di voto.
L'esercizio del diritto di voto consente al socio di concorrere alla formazione della volontà sociale ed è rimesso, in via di principio, all'apprezzamento discrezionale del medesimo socio: è, tuttavia, assoggettato a un preciso limite negativo, consistente nel non arrecare un danno patrimoniale alla società.
All'Autorità giudiziaria è precluso il sindacato sul merito delle delibere assembleari, ovvero sulla convenienza e opportunità delle decisioni assunte dalla maggioranza, essendo il controllo giudiziale sulla deliberazione sociale limitato - in termini di pura legittimità - alla «valutazione della conformità dell'atto alla legge ed all'atto costitutivo, esclusa ogni valutazione di convenienza e di opportunità dell'operazione deliberata ed ogni possibilità di diverso apprezzamento dei dati economici posti a base della delibera» (Cass. civ., Sez. I, 7 marzo 1992, n. 2764).
La delibera assembleare, se regolarmente adottata, è annullabile solo ove «diretta al soddisfacimento di interessi extrasociali, in danno della società» (Cass. civ., Sez. I, 3 dicembre 2008, n. 28748).
Nell'esercizio del diritto di voto al socio è consentito il perseguimento anche di un proprio interesse personale, a condizione, però, che non contrasti con l'interesse sociale, inteso quale limite alla libertà di espressione del voto: la sussistenza del contrasto rende impugnabile, ai sensi dell'articolo 2377 cod. civ., la delibera assembleare «approvata con il voto determinante di coloro che abbiano, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società» (articolo 2373, comma 1, cod. civ.).
Una particolare ragione - di ‘conio' giurisprudenziale - di invalidità della delibera, in difetto delle ragioni tipiche previste dagli articoli 2377 e 2379 cod. civ., è rappresentata dall'abuso del diritto di voto (anche detto eccesso di potere), il quale «può costituire motivo di invalidità della delibera assembleare, quando vi sia la prova che il voto determinante del socio di maggioranza è stato espresso allo scopo di ledere interessi degli altri soci, oppure risulta in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto» (Cass. civ., Sez. I, 20 gennaio 2011, n. 1361, massima rv. 616237 - 01).
Per quanto attiene al riparto dell'onere probatorio «costituisce preciso onere di chi impugna la deliberazione dimostrare, con idonei mezzi di prova, la sussistenza dell'abuso o dell'eccesso di potere denunziato, perché possa dispiegarsi il predetto sindacato del giudice» (Cass. civ., Sez. I, 5 maggio 1995, n. 4923).
Il referente normativo dell'illegittimità della delibera assembleare e della conseguente impugnabilità della medesima ai sensi dell'articolo 2377 cod. civ. è costituito dall'articolo 1375 cod. civ. «in base al quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, atteso che le determinazioni dei soci durante lo svolgimento del rapporto associativo debbono essere considerate, a tutti gli effetti, come veri e propri atti di esecuzione, perché preordinati alla migliore attuazione del contratto sociale» (Cass. civ., Sez. I, 26 ottobre 1995, n. 11151. Nella fattispecie sottoposta al vaglio dei Supremi Giudici si assumeva l'invalidità della delibera di scioglimento anticipato della società in quanto adottata al solo scopo di estromettere un socio).
Il vizio dell'abuso del diritto di voto si configura, a titolo esemplificativo, nell'ipotesi di attribuzione all'amministratore di compensi sproporzionati o in misura eccedente i limiti della discrezionalità imprenditoriale: al ricorrere di tale ipotesi «è possibile impugnare la delibera dell'assemblea della società di capitali per abuso o eccesso di potere, sotto il profilo della violazione del dovere di buona fede in senso oggettivo o di correttezza, giacché una tale deliberazione si dimostra intesa al perseguimento della prevalenza di interessi personali estranei al rapporto sociale, con ciò danneggiando gli altri partecipi al rapporto stesso» (Cass. civ., Sez. I, 17 luglio 2007, n. 15942. Nella fattispecie sottoposta al vaglio dei Supremi Giudici si assumeva l'invalidità della delibera con cui l'assemblea aveva determinato un compenso di notevole entità per gli amministratori nonostante la società versasse in una situazione patrimoniale deficitaria caratterizzata da un esiguo fatturato a fronte di ingenti perdite).
Per quanto attiene alla tipologia di controllo giudiziale, al ricorrere di tale ipotesi «al giudice è affidata una valutazione che è diretta non ad accertare, in sostituzione delle scelte istituzionalmente spettanti all'assemblea dei soci, la convenienza o l'opportunità della delibera per l'interesse della società, bensì ad identificare, nell'ambito di un giudizio di carattere relazionale, teso a verificare la pertinenza, la proporzionalità e la congruenza della scelta, un vizio di illegittimità desumibile dalla irragionevolezza della misura del compenso stabilita in favore dell'amministratore, occorrendo a tal fine avere riguardo, in primo luogo, alla natura e alla ampiezza dei compiti dell'amministratore ed al compenso corrente nel mercato per analoghe prestazioni, in relazione a società di analoghe dimensioni, e, ma in funzione complementare, alla situazione patrimoniale e all'andamento economico della società» (Cass. civ., Sez. I, 17 luglio 2007, n. 15942).
Con la sentenza n. 20625 del 29 settembre 2020 i Giudici della Prima Sezione civile della Corte di cassazione si sono pronunciati in tema di scioglimento anticipato della società di capitali, abuso del diritto di voto (o eccesso di potere) e conflitto di interessi. Nella fattispecie scrutinata la società Alfa S.r.l., nella sua qualità di titolare di una quota minoritaria del capitale sociale, ha proposto domanda giudiziale di annullamento della delibera assembleare di scioglimento anticipato della società mista pubblico-privata Beta S.p.A. in quanto viziata da abuso di potere e conflitto di interessi con riferimento al voto esercitato dall'Amministrazione comunale, risultato determinante in ragione della sua qualità di socia di maggioranza. Alfa S.r.l. ha censurato la motivazione addotta dall'Amministrazione comunale a sostegno della decisione di sciogliere la società, in quanto vertente su «perdite provocate, in buona sostanza, proprio dall'inadempimento del comune, e cioè dell'unico cliente della società».
Il Tribunale ha rigettato la domanda di Alfa S.r.l. con sentenza confermata in grado d'appello. In sede di decisione la circostanza valorizzata dalla società ricorrente - ovvero il ricoprire l'Amministrazione comunale la duplice qualità di socia di maggioranza e di unico soggetto debitore della società - è stata ritenuta dalla Corte di cassazione priva di rilevanza dirimente. I Supremi Giudici hanno in primis sottolineato (e ribadito) la non effettuabilità di un controllo in sede giudiziaria dei motivi alla base della scelta di voto della maggioranza nel senso dello scioglimento anticipato, «essendo insindacabili le esigenze relative all'economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione dissolutiva».
Quanto alla posizione debitoria occupata dal socio di maggioranza e alla (eventuale) rilevanza della stessa al fine della configurabilità di un conflitto di interessi i Supremi Giudici hanno escluso che «la esistenza di una debitoria del socio di maggioranza nei confronti della società partecipata integri abuso del voto di maggioranza ovvero la possibilità di un conflitto di interessi», osservando a tale riguardo che «lo scioglimento della società partecipata e la sua liquidazione non determinano in alcun modo l'annullamento del credito vantato dalla società sciolta nei confronti del socio di maggioranza che ne ha determinato la dissoluzione, dovendo il liquidatore della predetta società riscuotere il credito e distribuirlo ai creditori sociali».