Penale

Società: nessun automatismo tra il ruolo di amministratore unico e l'intestazione fittizia

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La carica di amministratore, senza titolarità di quote sociali, non basta per affermare la responsabilità nell'intestazione fittizia di beni. Solo se il ruolo coincide con l'impiego di denaro “sporco” si può ipotizzare il riciclaggio. La Corte di cassazione, con la sentenza 17700, accoglie in parte il ricorso dell'imputato considerato colpevole, tra l'altro, di intestazione fittizia di beni di beni (articolo 12 quinquies della legge 356/1992) finalizzata ad eludere le misure di prevenzione patrimoniale. Sul punto la Cassazione accoglie l'appello. Dalla ricostruzione dei fatti era infatti emerso che la società amministrata dal ricorrente era controllata da una società anonima di capitali, riconducibile ad un terzo e come tale aggredibile direttamente anche in sede di un eventuale procedimento di prevenzione. La Suprema corte precisa che la semplice carica di amministratore unico non basta a reggere la contestazione, considerato che titolari delle quote possono restare i soggetti nei cui confronti è applicabile la misura di prevenzione patrimoniale. Il ruolo, semmai può essere compatibile con l'accusa di riciclaggio (articolo 648-bis del Codice penale) o di reimpiego (articolo 648-ter), nel caso si associ all'impiego di beni di provenienza illecita nelle attività sociali. La Corte d'Appello, deve dunque escludere ogni automatismo tra la carica di amministratore unico o delegato di una società di capitali e l'attività di intestazione fittizia, verificando invece se le azioni messe in atto dalla compagine sociale avessero una oggettiva e soggettiva finalità elusiva.

Corte di cassazione – Sentenza 17770/2018

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