Sospeso l'avvocato che dà della "cretina e deficiente" alla collega
Il Cnf ricorda che l'avvocato può usare fermezza e toni accesi ma non deve trascendere in espressioni offensive
Va sospeso l'avvocato che offende la collega dandole della "cretina, deficiente e miserabile" in tribunale di fronte ad altri colleghi e operatori giudiziari. Lo ha affermato il Cnf, nella sentenza n. 74/2020 pubblicata il 4 gennaio 2021 sul sito del codice deontologico, confermando la decisione del Consiglio distrettuale di disciplina che aveva inflitto a un legale tre mesi di sospensione dall'esercizio della professione forense.
I fatti
Il procedimento era stato avviato dal Cdd a seguito della presentazione di un esposto avanzato da una collega la quale lamentava che nei corridoi del tribunale di Trieste dinanzi la stanza del giudice l'incolpato le aveva rivolto varie ingiurie e frasi offensive. All'esposto veniva allegata denunzia-querela avanzata dalla stessa per i medesimi fatti dinanzi la procura della repubblica.
Nello specifico, l'avvocato nelle imminenze di una udienza in tribunale, alla presenza di colleghi e operatori giudiziari, si era rivolto alla donna in modo offensivo apostrofandola in malo modo (stronza, cafona, cretina, deficiente, avvocatessa miserabile) facendo anche apprezzamenti di cattivo gusto sul suo abbigliamento e violando così gli articoli 9, 19 e 52 Cdf.
L'avvocato si difendeva giustificando la propria condotta con le "cagionevoli condizioni di salute" e il comportamento scorretto tenuto dalla collega.
Ma il Cdd riteneva provata la responsabilità disciplinare irrogando la sanzione della sospensione per mesi tre dall'esercizio della professione forense, con la motivazione: che i fatti esposti avevano trovato piena conferma nel corso dell'istruttoria e non erano stati disconosciuti dall'incolpato; che nessuna giustificazione poteva attribuirsi all'asserito stato di salute in cui sarebbe versato l'incolpato al momento dei fatti né all'eventuale comportamento scorretto tenuto dalla collega; che il comportamento tenuto non poteva essere ritenuto consono ai doveri di dignità, probità, decoro e lealtà che devono caratterizzare l'esercizio della professione forense.
L'avvocato non ci sta e insorge presso il Cnf, eccependo anche il mancato accoglimento dell'eccezione sull'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare.
Il Cnf però gli dà torto su tutta la linea.
Fermezza e toni accesi ma non offese
Dopo aver bocciato la tesi della prescrizione, in quanto si è avuta l'interruzione del periodo prescrizionale, il Consiglio ricorda che l'avvocato può e deve utilizzare fermezza e toni accesi nel sostenere la difesa della parte assistita o nel criticare e contrastare le decisioni impugnate ma che tale libertà non può tradursi in una violazione di altri e fondamentali doveri in capo all'avvocato quali quello della probità e dignità.
Del tutto diverso e più grave, invece, il contesto in cui è avvenuto l'illecito: "espressioni turpi ed offensive reiterate che non solo, ovviamente, ledono i canoni deontologici ma anche i precetti penali e quelli di minima convivenza civile".
Da qui la correttezza della sanzione inflitta, commisurata alla gravità dei fatti e il rigetto del ricorso.
La massima
Il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate e/o dedotte nell'atto difensivo dal difensore con le esigenze della dialettica processuale e dell'adempimento del mandato professionale, oltre il quale si prefigura la violazione dell'art. 52 cdf (già art. 20 codice previgente), va individuato nella intangibilità della persona del contraddittore, nel senso che quando la disputa abbia un contenuto oggettivo e riguardi le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, può anche ammettersi crudezza di linguaggio e asperità dei toni, ma quando la diatriba trascende sul piano personale e soggettivo l'esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti.