Amministrativo

Specializzazioni forensi, il Tar boccia il ricorso degli Ordini

Il Tar Lazio ha giudicato oggi in parte infondato in parte inammissibile il ricorso dei Coa di Roma, Napoli, Palermo

di Francesco Machina Grifeo

Specializzazioni forensi avanti così. Il Tar Lazio, sentenza n. 1278 depositata oggi, ha infatti respinto, e in parte giudicato inammissibile, il ricorso degli Ordini di Roma, Napoli, Palermo (e di altre province laziali) nei confronti del Dm Giustizia n. 144/2015, come modificato dal Dm n. 163/2020 sul "conseguimento e il mantenimento del titolo di avvocato specialista". Presenti le principali associazioni intervenute ad opponendum: Agi, Aiaf, Ami, Cammino, Ondif, Uncat, Ucpi, Uftdu, Uncm, Uncc e S.I.A.A.. L'intervento regolamentare, spiega il Collegio, è stato ritenuto giustificato "in ragione di un evidente fallimento del mercato dei servizi legali, dove l'asimmetria informativa tra professionisti e clienti si traduce spesso in fenomeni di selezione avversa".

Cadono dunque le critiche mosse dai Coa. La più rilevante delle quali, quella relativa all'obbligo, per partecipare al percorso formativo dei futuri specialisti, di stipulare apposite convenzioni con le associazioni specialistiche maggiormente rappresentative è stata giudicata inammissibile. Ma passa anche la suddivisione regolamentare dei tre settori principali civile, penale ed amministrativo in "indirizzi" con rilievo esterno.

L'obbligo delle convenzioni è previsto dall'articolo 7, comma 4, del Dm n. 144/2015, a norma del quale "I consigli dell'ordine stipulano le predette convenzioni d'intesa con le associazioni specialistiche maggiormente rappresentative di cui all'articolo 35, comma 1, lettera s), della legge 31 dicembre 2012, n. 247". Per gli ordini però la necessità di una intesa con le associazioni specialistiche deve ritenersi illegittima, in quanto la legge gli riconosce loro la mera facoltà di farlo. Per il Tar tuttavia il motivo è inammissibile, "poiché concerne una disposizione che è stata introdotta dal D.M. 144/2015 e non è stata in alcun modo modificata dal D.M. n. 163/2020".

Tornando alla articolazione dei tre principali settori in indirizzi, la decisione spiega che la questione non è stata investita da rilievi da parte del Consiglio di Stato in sede consultiva, e dunque "deve ritenersi legittima". Inoltre ricorda che la norma non disciplina specificamente "il settore di specializzazione", determinandone caratteristiche o ampiezza, ma si limita a menzionarlo genericamente, "di tal che deve ritenersi che il riferimento al settore non precluda la possibilità di articolare quest'ultimo, al suo interno, in più indirizzi, al fine di meglio descrivere e circoscrivere l'ambito di specializzazione, che è poi la finalità di tale disciplina". Tanto più se si considera che l'indicazione dell'indirizzo di specializzazione non è imprescindibile, ma costituisce una facoltà per il professionista, che ben potrà optare per l'indicazione più generale della specializzazione nel macro-settore.

Quanto poi al rilievo secondo cui "non si coglie la ragione per la quale si debba limitare a soli tre indirizzi la relativa specializzazione per l'ipotesi in cui l'avvocato svolga la propria attività in tutti gli altri indirizzi in cui è suddiviso il settore di appartenenza", il Tar rileva che "è proprio l'esigenza di individuare gli ambiti di specializzazione che è alla base dei limiti indicati".

È poi infondato anche il profilo di censura relativo alla necessità di opzione per almeno un indirizzo di specializzazione al fine dell'acquisizione del titolo di avvocato specialista in uno dei tre settori principali (diritto civile, penale, amministrativo). Secondo i ricorrenti il mancato riconoscimento di un indirizzo impedirebbe all'avvocato che esercita in quel settore di ottenere il titolo di specialista. Tuttavia, osserva il Tribunale, tenuto conto del fatto che la selezione delle specializzazioni è volta ad offrire un orientamento alla clientela, "deve ritenersi che la mancata individuazione di una autonoma specialità per determinate materie non significa che non esistano esperti in quel settore, ma che il mercato non richiede che l'avvocato che opera in quell'ambito di competenza debba essere individuato attraverso il riconoscimento di una specializzazione, ben potendo far rilevare, a tal fine, un altro ambito di competenza".

Riguardo poi la previsione per cui il titolo di avvocato specialista può essere conferito dal Consiglio nazionale forense anche in ragione del conseguimento del titolo di dottore di ricerca, il Tar afferma che "la disposizione non evidenzia i profili di illegittimità", giacché "l'equiparazione dell'avvocato che abbia completato il percorso formativo postuniversitario nell'ambito di un dottorato di ricerca … può ritenersi equiparato, ai fini del conseguimento del titolo di avvocato specialista, all'avvocato che abbia frequentato i corsi, di durata almeno biennale, di alta formazione specialistica", senza che tale parificazione comporti alcuna illogicità della normativa.

Con riguardo, infine, alla esperienza sul campo, il Tar spiega che la valutazione tecnico-discrezionale della Commissione, "mira ad evitare che la rigidità dei criteri prefissati conduca a risultati ingiustificati o irragionevoli, consentendo al richiedente di allegare l'esperienza professionale che egli ritenga riconducibile ad un settore e/o ad un indirizzo di specializzazione, e rimettendo all'organo valutatore l'accertamento dei requisiti e la valutazione della "congruenza dei titoli presentati e degli incarichi documentati con il settore e, se necessario, con l'indirizzo di specializzazione indicati dal richiedente", stabilendo infine che "anche in deroga al previsto numero minimo di incarichi per anno, la commissione tiene conto della natura e della particolare rilevanza degli incarichi documentati e delle specifiche caratteristiche del settore e dell'indirizzo di specializzazione".

Tale clausola, conclude la sentenza, "appare una ragionevole mitigazione del riferimento ad un numero fisso di incarichi, consentendo di dare rilievo anche al profilo tipologico e qualitativo degli stessi al fine di derogare al numero minimo previsto".

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