Penale

Squadre investigative comuni contro terrorismo e crimine operative dal 25 marzo 2016

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di Alberto Cisterna

Ci sono voluti 14 anni, ma alla fine sono cadute anche le ultime resistenze all'attuazione della decisione quadro 2002/465/GAI del 13 giugno 2002, relativa alle Squadre investigative comuni (Sic). Sarebbe irragionevole negare che settori importanti del law enforcement nazionale si sono strenuamente opposti alla previsione delle Sic le quali una volta ammesse – per i connotati strutturali del nostro codice di rito e per il ruolo che in esso svolge il Pm – non potevano che ricadere sotto il controllo e la direzione dell'autorità giudiziaria. La cooperazione internazionale è stata, per decenni, il terreno d'elezione delle forze di polizia praticamente in tutta Europa e non solo. Interpol, Europol, Dcsa (Direzione centrale dei servizi antidroga), d'intesa con i competenti uffici di cooperazione internazionale del ministero della Giustizia, hanno costituito, per lungo tempo, l'alveo entro cui doveva scorrere necessariamente la joint venture tra le strutture investigative nazionali.

La ritrosia alla formazione dei Sic - Questa posizione aveva raggiunto il suo apogeo nella resistenza mostrata, sino al 2015, all'attribuzione alla Procura nazionale antimafia dei compiti di coordinamento nel settore del terrorismo interno e internazionale. Ritrosia sorretta, trasversalmente a dire il vero, anche da alcune importanti Procure distrettuali che vantavano una sorta di consolidata egemonia in questo settore e dialogavano, da sempre e in esclusiva, con le autorità di polizia e di intelligence dei paesi alleati.
Da quest'ottica il Dlgs 34/2016 rompe uno schema e finisce con il riconoscere al Pm un ruolo decisivo nella predisposizione e direzione dell'attività investigativa transnazionale e questa può essere la prospettiva migliore per intendere la rilevanza che il decreto in commento assume sotto il profilo istituzionale e processuale.

I reati transnazionali - Il decreto 34/2016 giunge, anche, a 10 anni esatti dalla legge 16 marzo 2006 n. 146 di ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale. Se, dal punto di vista del diritto sostanziale, era stato compiuto un notevole passo in avanti in direzione del riconoscimento della straordinaria pericolosità dei gruppi criminali organizzati operanti in ambito internazionale, mancava la creazione di un braccio operativo che, sotto il profilo fondamentale delle indagini, offrisse supporto all'individuazione e alla repressione di queste strutture associative.
Al riguardo non si può non considerare che la definizione di reato transnazionale (articolo 3 della legge 146/2006) e la relativa circostanza aggravante (articolo 4) necessitavano di un agile strumento investigativo multinazionale capace di conseguire, in modo coordinato, le indispensabili acquisizioni probatorie.

Come si vede si va oltre la nozione di cooperazione rafforzata di cui, ad esempio, al mandato di arresto europeo o al cosiddetto mandato probatorio, per approntare la formazione di una squadra di polizia capace di osservare direttamente le condotte criminali transnazionali, superando – con l'attività all'estero della polizia nazionale – i limiti esegui del Trattato di Schengen o delle altre convenzioni di cooperazione.

L'articolo 3, in particolare, della legge 146/2006 individua una sorta di vero e proprio perimetro investigativo stabilendo che si considera transnazionale il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché a) sia commesso in più di uno Stato; b) ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; c) ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato.
La verifica di elementi strutturali della fattispecie come «parte sostanziale» o «effetti sostanziali» esige, a prima vista, un'attività investigativa capace di rilevare “concretamente” le attività degli associati ed è chiaro che la mera, tradizionale assistenza giudiziaria non poteva supplire alle esigenze che investigazioni così complesse richiedono (pedinamenti, interrogatori, controlli documentali e finanziari ect.).

Decreto legislativo 15 febbraio 2016 n. 34

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