Stalking, per dimostrare lo stato di ansia e paura bastano le dichiarazioni della vittima
In tema di atti persecutori, la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata a elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente e anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata. Così la sezione V della Cassazione con la sentenza 28 marzo 2018 n. 14200.
In termini, di recente, Sezione V, 11 febbraio 2016, L., nonché Sezione V, 24 aprile 2015, B., secondo la quale, in particolare, ai fini della configurabilità del delitto di atti persecutori (cosiddetto stalking) (articolo 612-bis del Cp), la sussistenza del grave e perdurante stato di turbamento emotivo prescinde dall'accertamento di uno stato patologico conclamato, essendo sufficiente che gli atti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità dell'equilibrio psicologico della vittima. In proposito, va ricordato che lo stalking costituisce un reato “di evento”, giacché la condotta materiale (reiterati episodi di minacce o molestie) deve avere determinato, in forma alternativa, la realizzazione di uno tra tre tipi di evento: cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero, in alternativa, ingenerare nella vittima un fondato timore per la propria incolumità ovvero, sempre in alternativa, costringere la vittima stessa ad alterare le proprie abitudini di vita. Qui, la Cassazione si è soffermata sull'evento «stato di ansia e di paura» e, al riguardo, l'orientamento consolidato si esprime nel senso, per la configurabilità di tale stato, è sufficiente che gli atti incriminati abbiano avuto un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima (cfr., di recente, Sezione V, 14 novembre 2012, O.; in termini, Sezione V, 1° dicembre 2010, R.), non essendo richiesto l'accertamento di uno «stato patologico», considerato che la fattispecie incriminatrice del reato non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (articolo 582 del Cp), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica (in termini, Sezione V, 10 gennaio 2011, C.; Sezione III, 23 maggio 2013, U.; nonché, Sezione V, 28 novembre 2013, C.).
Da ciò deriva, dal punto di vista probatorio, la non necessità del riscontro di tale stato attraverso una certificazione sanitaria, in ipotesi attestante una “patologia” determinata dal comportamento persecutorio (ad esempio, un certificato medico attestante di una sindrome ansioso depressiva). La prova dell'alterazione, infatti, può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (Sezione V, 28 febbraio 2014, D'E.).
Cassazione, sezione V penale, sentenza 28 marzo 2018 n. 14200