Società

Stato di salute del whistleblowing nel settore privato a oltre un anno dalla pubblicazione del D.lgs. 24/2023

Tra i temi più controversi e dibattuti la possibilità di condividere il canale di segnalazione tra più società - ANAC apre alla possibilità di adottare nuovi “orientamenti di carattere generale sui canali interni”

Anonymous whistleblower employee concept and whistle blower symbol representing a person in society or a company exposing corruption as a whistle shaped as a human head in a 3D illustration style.

di Alessandro Borrello*

Dal 17 dicembre 2023 il Decreto Whistleblowing è diventato pienamente applicabile anche alle piccole e medie imprese, ossia quelle con un numero di dipendenti inferiore a 250. Le società di grandi dimensioni, invece, erano soggette alle nuove regole sin dal 15 luglio 2023. Tuttavia, a distanza di oltre un anno dalla pubblicazione del Decreto in Gazzetta Ufficiale (marzo 2023), permangono ancora svariate incertezze sul fronte applicativo delle nuove disposizioni.

Ne sono prova non soltanto la copiosa produzione della dottrina che ha analizzato gli aspetti incerti della normativa, ma anche i dati statistici recentemente pubblicati da ANAC all’esito di un monitoraggio svolto nel dicembre 2023. Si è trattato di un’indagine anonima rivolta, come chiarisce l’Autorità, a fare emergere “le criticità che gli enti pubblici e privati stanno riscontrando nell’attuazione della disciplina sul Whistleblowing attraverso l’attivazione di canali interni”. È, infatti, la stessa ANAC a riconoscersi “consapevole delle difficoltà generate dalle nuove norme”.

Benché al monitoraggio abbia partecipato un numero limitato di soggetti privati (213) e nonostante si tratti di un’ indagine risalente ad alcuni mesi fa, esso offre comunque spunti interessanti (e conferme) sullo stato di applicazione del Decreto Whistleblowing da parte delle imprese.

Gli esiti dell’indagine confermano anzitutto che uno dei temi più controversi e dibattuti riguarda la possibilità di condividere il canale di segnalazione tra più società. 

La questione è nota. A differenza delle leggi con cui altri Stati Membri hanno recepito la Direttiva Europea, il Decreto Whistleblowing limita la possibilità di condividere il canale alle sole società con una media di lavoratori subordinati inferiore a 250. 

In questo contesto, il Decreto non fornisce dettagli sulle modalità operative per esercitare tale opzione. Persino il significato di “ condivisione ” presenta dei profili di ambiguità: da un lato essa riguarda “il canale di segnalazione interna e la relativa gestione” (art. 4.4), dall’altro l’oggetto della condivisione sono le “risorse per il ricevimento e la gestione delle segnalazioni” (Art. 13.5).

Un quadro normativo apparentemente così restrittivo e incerto è presto diventato il rompicapo di molte imprese: ci si riferisce, in particolare, a quelle appartenenti a gruppi internazionali che si erano già dotati di canali centralizzati per le segnalazioni e le cui holding, oggi, sono alle prese con l’esigenza della subsidiary italiana di conformarsi al Decreto.

Non sorprende, pertanto, che dal monitoraggio di ANAC sia emerso che circa il 50% delle società con più di 249 dipendenti hanno “riferito di aver condiviso il canale, pur non rientrando fra i soggetti cui il d.lgs. n. 24/2023 consente la condivisione”.

Le criticità connesse al tema della condivisione del canale di segnalazione erano emerse già in fase di consultazione della bozza del Decreto Whistleblowing, quando Confindustria aveva chiesto – invano – di inserire nel testo finale una previsione che contemplasse espressamente “la facoltà per i gruppi (privati e pubblici) di condividere il canale di segnalazione interna e la relativa gestione”.

Dato il silenzio del legislatore, nel tentativo di superare gli ostacoli apparentemente posti dalla lettera della norma, Confindustria ha proposto alcune soluzioni operative nella propria Guida Operativa di ottobre 2023: tra queste, l’affidamento della gestione del canale alla capogruppo, quale soggetto terzo rispetto alle controllate, attraverso appositi contratti di servizio (su tale testo, però, non si registrano commenti successivi da parte di ANAC).

Le problematiche connesse alla condivisione del canale di segnalazione non esauriscono i profili di “difficoltà” emersi dal monitoraggio. Vi sono altri elementi che evidenziano un certo disagio delle società italiane nell’implementare sistemi di whistleblowing che siano pienamente compliant con il Decreto Whistleblowing, così come interpretato dalle Linee Guida ANAC del luglio 2023.

Oltre il 40% delle imprese ha dichiarato di non aver seguito il suggerimento di ANAC di istituire una piattaforma informatica per l’acquisizione e gestione delle segnalazioni in forma scritta. Analogamente, nonostante la raccomandazione di ANAC di non ricorrere alla posta elettronica ordinaria o certificata, sono molte le società che hanno adottato questi strumenti per le segnalazioni in forma scritta. Di queste, l’89% non ha nemmeno adottato “misure di sicurezza aggiuntive con riferimento alla casella di posta elettronica ordinaria o certificata”.

Dal monitoraggio risulta inoltre che soltanto il 30% delle imprese ha previsto, oltre alla possibilità di effettuare una segnalazione scritta, la possibilità di effettuare la segnalazione in forma orale. Il punto è rilevante poiché la stessa ANAC ha chiarito che “perché un canale interno sia adeguato esso deve consentire la presentazione della segnalazione sia in forma scritta che orale”.

D’altra parte, l’Autorità ha anche precisato che la segnalazione orale non deve necessariamente avvenire attraverso linee telefoniche o sistemi di messaggistica vocale, essendo sufficiente prevedere che, su richiesta del segnalante, sia fissato un incontro diretto con il gestore del canale entro un termine ragionevole.

Nella prassi applicativa del Decreto, un ulteriore profilo di criticità riguarda le imprese dotate di un modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001 e che scelgono di affidare la gestione del canale whistleblowing a un soggetto diverso dall’organismo di vigilanza. In questi casi, infatti, non assicurare coerenza tra la procedura whistleblowing e il modello 231, specie di quella parte che tratta dei flussi informativi verso l’ODV, rischia di causare anomalie e cortocircuiti. Si pensi, per esempio, al caso della segnalazione relativa a presunte violazioni del modello 231 e di cui l’ODV finisca per non essere informato (nemmeno della sua - anonimizzata - esistenza) in quanto effettuata tramite un canale whistleblowing gestito da un soggetto diverso.

In conclusione, se da un lato l’indagine di ANAC conferma che molte società italiane si stanno attivamente adoperando per istituire dei canali di segnalazione, dall’altro esso racconta di diverse difficoltà operative. Queste paiono causate non soltanto dalle incertezze generate dal testo del decreto, ma anche dal dispendio di risorse, ritenuto spesso eccessivo (specie dalle capogruppo straniere di subsidiary italiane), associato a un pedissequo e scrupoloso adeguamento alla lettera della norma e alle linee guida di ANAC. In questo contesto, sarebbe ovviamente auspicabile un intervento chiarificatore del legislatore, che assicuri un maggiore bilanciamento, tra la necessità di garantire la prossimità e la riservatezza del canale, da un alto, e l’esigenza delle imprese di promuovere l’etica e la trasparenza a condizioni ragionevoli, dall’altro. A oggi, tuttavia, non si ha notizia di ipotesi concrete di modifica del decreto, talché, ancora una volta, occorre affidarsi alla proattività di ANAC, che ha già aperto alla possibilità di adottare nuovi “orientamenti di carattere generale sui canali interni” facendo tesoro proprio degli spunti emersi in sede di monitoraggio.

______
*A cura di Alessandro Borrello, Counsel, Hogan Lovells

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©