Stupefacenti: rapporto associativo tra fornitore e acquirente quando esiste un vincolo stabile
In tema di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ai fini della configurabilità del rapporto associativo tra fornitore e acquirente, al di là dei rapporti di cessione, è necessario che sia accertata l'esistenza di un vincolo stabile - riconducibile all'affectio societatis
-, e non il mero reciproco affidamento nelle operazioni di cambio: accertamento che può dirsi avvenuto solo se il giudicante verifica, attraverso l'esame delle circostanze di fatto, e, in particolare, della durata dell'accordo criminoso tra i soggetti, delle modalità di azione e collaborazione tra loro, del contenuto economico delle transazioni, della rilevanza obiettiva che il contraente riveste per il sodalizio criminale, che la volontà dei contraenti abbia superato la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale e sia stato realizzato un legame che riconduce la partecipazione del singolo al progetto associativo. Lo sostiene la sezione VI della Cassazione con la sentenza n. 26280 del 2018.
È pacifico che il reato di partecipazione a un'associazione criminosa dedita al traffico di sostanze stupefacenti può ravvisarsi anche relativamente alla posizione dello stabile acquirente della sostanza stupefacente dall'associazione. In tal caso, infatti, la contrapposizione tra i soggetti tipica dello schema contrattuale sinallagmatico resta superata e assorbita nel rapporto associativo, per l'interesse preminente dei protagonisti dello scambio alla stabilità del rapporto, che assicura la certezza del contraente sia all'associazione, che trova la garanzia della disponibilità dell'acquirente della sostanza stupefacente commerciata, sia all'acquirente, che deriva dal rapporto associativo la certezza della fornitura.
In conseguenza dell'accordo, quindi, i singoli atti di acquisto divengono altrettanti reati-fine dell'associazione, laddove, in assenza dell'accordo, essi rimangono singole illecite operazioni di natura sinallagmatica. In altri termini, non è di ostacolo alla costituzione del vincolo associativo e alla realizzazione del fine comune né la diversità degli scopi personali, né la diversità dell'utile, né il contrasto tra gli interessi economici che i singoli partecipi si propongono di ottenere dallo svolgimento dell'intera attività criminale. Nondimeno, precisa la Cassazione, il mutamento del rapporto tra fornitore e acquirente, da relazione di mero reciproco affidamento a vincolo stabile riconducibile all'affectio societatis -, può ritenersi avvenuto solo se il giudicante verifica, attraverso l'esame delle circostanze di fatto, e, in particolare, della durata dell'accordo criminoso tra i soggetti, delle modalità di azione e collaborazione tra loro, del contenuto economico delle transazioni, della rilevanza obiettiva che il contraente riveste per il sodalizio criminale, che la volontà dei contraenti abbia superato la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale e sia stato realizzato un legame che riconduce la partecipazione del singolo al progetto associativo.
Ne discende, quindi, che, allorquando si voglia ravvisare il ruolo partecipativo, il giudice è tenuto ad assolvere all'onere di motivazione con una particolare accuratezza e attenzione in considerazione della peculiarità della posizione del soggetto che si trova “fisiologicamente” - in quanto controparte di un sinallagma contrattuale - a essere portatore di un interesse economico contrapposto rispetto a quello dell'organizzazione criminale: la ritenuta intraneità al gruppo postula che, nonostante il naturale conflitto di interessi, sia ravvisata e dunque argomentata la coscienza e volontà del singolo di assicurare, mediante la fornitura continuativa o l'approvvigionamento continuativo della sostanza, il proprio stabile contributo al gruppo, alla realizzazione degli scopi criminosi e, dunque, alla permanenza in vita della societas sceleris (in questo senso, efficacemente, sezione VI, 29 novembre 2017, Desiderato e altri).
Qui la Cassazione, si è occupata del rapporto tra fornitore e acquirente, ma la giurisprudenza è costante nell'ammettere il vincolo associativo anche in presenza di (altri) soggetti che hanno motivazioni illecite diverse (acquirente, venditore, importatore, ecc.): vi è casistica, ad esempio, che ravvisa la configurabilità del vincolo associativo tra il fornitore “all'ingrosso” di droga e gli acquirenti “al dettaglio” che la ricevono stabilmente per poi reimmetterla sul mercato; ovvero, analogamente, tra colui che importa la droga per rifornire il mercato e la rete stabile dei rivenditori e piccoli spacciatori della sostanza che a questi si rivolgono per poi spacciarla al minuto ai tossicodipendenti. A supporto di tale soluzione interpretativa va in effetti considerato che l'elemento soggettivo del reato associativo de quo è integrato dal dolo specifico, il cui contenuto è rappresentato dalla coscienza e volontà di partecipare e di contribuire attivamente alla vita dell'associazione volta alla realizzazione del comune programma criminoso mirante alla commissione di una serie indeterminata di delitti in materia di stupefacenti. Il dolo del reato associativo non va però confuso con il “motivo” squisitamente soggettivo che possa avere determinato un soggetto a far parte del sodalizio criminoso, nei termini suesposti; cosicché è indifferente che il contributo causale volontariamente prestato all'associazione risulti motivato pure dalla concorrente esigenza di realizzare finalità di ordine personale, come, esemplificando, l'approvvigionamento dello stupefacente necessario per l'uso personale, o simili.
Ne consegue che, ai fini dell'apprezzamento del dolo, non è neppure richiesto che tutti gli associati perseguano gli stessi scopi o utilità, purché ovviamente tutti agiscano nella consapevolezza delle attività degli altri partecipi volte alla realizzazione del comune programma criminale. Ciò che va peraltro sottolineato con chiarezza, per evitare indebite estensioni della fattispecie associativa (e in tal senso si esprime anche la sentenza qui massimata), è che occorre pretendere un giusto rigore sulla valutazione dell'effettivo rapporto causale fornito dai diversi soggetti all'attività dell'associazione. È ovvio allora che il problema risiede nella dimostrazione - sotto il profilo oggettivo e, soprattutto, sotto quello soggettivo - del vincolo associativo: a tal fine, tanto per esemplificare, non basta, di per sé solo, l'apprezzamento di una serie, pur ripetuta con frequenza, di operazioni di compravendita di sostanze stupefacenti concluse tra le stesse persone, occorrendo un
quid pluris, vale a dire la dimostrazione che tutti i compartecipi abbiano agito, sia pure per una finalità concorrente di profitto proprio, con la volontà e consapevolezza di operare quali aderenti a un'organizzazione criminosa e nell'interesse della stessa; solo in presenza di dette condizioni i singoli atti di compravendita divengono altrettanti reati-fine dell'associazione, giacché, in difetto, rimangono singole illecite operazioni sinallagmatiche (cfr., per riferimenti, tra le tante, sezione VI, 16 marzo 2004, Benevento e altri; sezione IV, 6 luglio 2007, Cuccaro e altri; sezione VI, 11 febbraio 2008, Oidih e altro; sezione VI, 10 gennaio 2012, Ambrosio e altri).
Cassazione – Sezione VI penale – Sentenza 8 giugno 2018 n. 26280