Successioni, no alla riduzione se la lesione della legittima non favorisce il coerede
Non è ammesso l'esercizio dell'azione di riduzione, in mancanza di accettazione con beneficio d'inventario, se le disposizioni testamentarie ritenute lesive della legittima non sono fatte a favore di un ‘coerede'.
Con sentenza emessa dalla Seconda sezione e depositata in cancelleria in data 19 novembre 2019, n. 30082, la Suprema Corte fa il punto sulla esperibilità dell'azione di riduzione finalizzata a reintegrare la quota di legittima in presenza di disposizioni testamentarie ritenute lesive.
I principi affermati dai supremi giudici sono stati motivati dalla disamina di una fattispecie in cui gli attori (rappresentati dalle rispettive curatele fallimentari) rivendicavano la riduzione di disposizioni testamentarie formulate dal testatore (loro comune genitore) a favore della genitrice, cui era stato attribuito l'usufrutto generale vitalizio di tutti i beni relitti, nonché a favore di uno solo dei figli cui era stata attribuita per intero la quota disponibile, a fronte della istituzione quali eredi universali dei quattro figli stessi (tra i quali i due ricorrenti) del testatore.
I supremi giudici - così come peraltro avevano già ritenuto i giudici dei due primi gradi di giudizio - hanno escluso la esperibilità dell'azione di riduzione in quanto l'attribuzione a favore della genitrice è stata interpretata (per ragioni non solo letterali, ma fondate sul contesto complessivo della scheda testamentaria) quale “legato” in sostituzione della quota di riserva (anche se il suo valore economico era pari alla metà dell'intero patrimonio relitto) e non quale “istituzione di erede”. Segnatamente, nella fattispecie concreta, difettando l'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, non ricorreva una condizione essenziale per l'esercizio dell'azione di riduzione, e ciò ai sensi dell'articolo 564 del Codice civile, dalla cui formulazione si evince con chiarezza che si può omettere la detta accettazione solo se il legato sia stato fatto a persona “chiamata come coerede”. Né è stata accolta la richiesta di riduzione dell'attribuzione testamentaria fatta a favore di uno dei figli, unico beneficiario della quota disponibile, perché, a sua volta, detta quota (ancorché sommata alla quota di legittima) risultava “intaccata” proprio a fronte del valore economico dell'attribuzione fatta a favore della genitrice.
Soprattutto i giudici hanno ritenuto che non si potesse ricavare argomenti a favore della rivendicazione attorea - come pure richiesto - dal disposto dell'articolo 1010 del Codice civile (che stabilisce l'obbligo per l'usufruttario di un'eredità o di un quota della stessa di pagare le annualità e gli interessi dei debiti da cui è gravata l'eredità stessa). Anzi proprio da questa norma si deduce che se l'usufruttuario fosse considerato “erede”, sarebbe tenuto al pagamento non solo delle annualità e degli interessi dei debiti ereditari, ma anche dei debiti stessi in linea capitale (oltre che delle prestazioni non periodiche, e delle rate di una somma capitale). Anche la necessità del consenso congiunto dell'usufruttuario e del nudo proprietario per addivenire alla vendita dei beni relitti funzionale al pagamento dei debiti ereditari – di cui al quarto comma del detto articolo 1010 del Codice civile - non collide con quanto affermato, in quanto la norma tiene solo conto dei diversi ruoli dell'uno e dell'altro titolare di diritti sui beni stessi - che restano tali - senza poterne inferire una qualificazione identitaria dell'usufruttuario quale erede; riguardando insomma la ricordata norma dell'articolo 1010 del Codice civile solo i rapporti interni tra usufruttuario e nudo proprietario (Cassazione civile sezione II, 17 marzo 1980, n. 1758; Cassazione civile sezione I, 11 gennaio 1978 n. 82).
Corte di cassazione – Sezione II – Sentenza 19 novembre 2019 n. 30082