Sui bond greci deprezzati i tribunali nazionali non hanno competenza
Gli investitori vittime della conversione del debito sovrano greco (nel 2012 i titoli di Stato vennero deprezzati per legge) non possono chiedere i danni ai giudici del Paese dove hanno negoziato i titoli. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea con la sentenza C-308/17 depositata ieri in Lussemburgo.
Il contenzioso opponeva la Repubblica Greca a un cittadino austriaco che aveva investito 35mila euro nei bond ellenici, ridotti a circa un quinto del valore con la legge locale 4050/2012 - nel periodo di massima crisi sovrana - che sostituì i vecchi titoli con nuovi di valore nominale nettamente inferiore. L’investitore aveva così chiamato a giudizio la Grecia davanti al tribunale civile di Vienna che però aveva subito dichiarato il suo difetto di giurisdizione internazionale; tali conclusioni erano state ribaltate in appello con la decisione secondo cui il giudice competente era designato dalla legge greca, nella specie quello del domicilio del creditore (austriaco), cioè nel luogo di esecuzione dell’obbligazione pecuniaria. Tuttavia la Corte suprema viennese, su ricorso della Repubblica ellenica, aveva infine rimesso l’interpretazione alla Corte Ue. Il tema affrontato nel contenzioso è se il Regolamento 1215/2012, che disciplina tra l’altro la competenza giurisdizionale nelle transazioni commerciali, si possa applicare al caso in questione o meno, considerato che già all’articolo 1 esclude «la materia fiscale, doganale e amministrativa» e la «responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)». La Corte ha affermato che, sebbene talune controversie tra un’autorità pubblica e un privato possano rientrare nell’ambito di applicazione del regolamento, la situazione cambia se l’autorità pubblica agisce nell’esercizio della sua potestà d'imperio (sentenza Lechouritou C-292/05).
Per i giudici del Lussemburgo la scelta del finanziamento sui mercati mediante titoli obbligazionari ha avuto la conseguenza di complicare la gestione del debito pubblico degli Stati a causa del mancato adeguamento dei meccanismi contrattuali rispetto alla varietà dei creditori, che possono essere pubblici, privati, istituzionali oppure persone fisiche. La mancanza di una procedura di gestione generale e organizzata dell’insolvenza degli Stati ha come esito, scrive la Corte, che si rimette nelle mani del giudice la sorte della procedura di ristrutturazione.
Secondo i giudici Ue «una controversia vertente su un’azione proposta da una persona fisica, acquirente di titoli di Stato emessi da uno Stato membro, nei confronti dello Stato stesso e volta a contestare la sostituzione con titoli di valore inferiore, imposta per effetto dell’adozione di una legge in circostanze eccezionali, con cui le condizioni di emissione sono state unilateralmente e retroattivamente modificate mediante una clausola di azione collettiva che ha consentito alla maggioranza dei titolari dei titoli in questione di imporre tale sostituzione ad una minoranza, non ricade nella materia civile e commerciale»