Professione e Mercato

Sulla natura complessa e funzione tripartita dell'assegno divorzile

Le scelte personali di vita dell'ex coniuge vanno incluse nei parametri di valutazione dell'assegno divorzile?

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di Patrizia Cianni

 

CIVILE/ CRISI DELLA FAMIGLIA – NATURA E FUNZIONE DELL’ASSEGNO DIVORZILE    

 

TITOLO

Sulla natura complessa e funzione tripartita dell’assegno divorzile

di Patrizia Cianni

 

IL QUESITO

Il Tribunale, pronunciandosi sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio tra Tizio e Caia, ha posto a carico di Tizio l’obbligo di corrispondere alla moglie un assegno divorzile dell’importo di Euro 3.000,00 mensili.

Tizio, ritenendo eccessivamente elevato l’importo dell’assegno divorzile ha proposto appello innanzi la Corte d’appello la quale ha ridotto l’importo dello stesso a 2.000,00 Euro in considerazione della durata del matrimonio pari a 9 anni.

Caia, decide di impugnare la decisione della Corte d’appello sostenendo che il giudice di secondo grado non ha considerato che, secondo un cliché tipico della (pre)definizione dei ruoli all’interno della famiglia, la stessa aveva rinunciato alla propria carriera professionale o ad una attività lavorativa per consentire al marito, nei nove anni di durata del matrimonio, di dedicarsi completamente al proprio successo professionale, quale amministratore e proprietario di una delle più prestigiose imprese di commercializzazione e produzione delle calzature in Italia, con un fatturato all’estero molto elevato ed inoltre, che si era totalmente dedicata alla cura dei figli anche dopo la separazione personale dal coniuge che aveva potuto così implementare la propria fiorente attività.

Il candidato, assunte le vesti del difensore di Caia, delinei la linea difensiva per il ricorso in Cassazione.

 

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Gli strumenti per lo svolgimento

 

LO SCHEMA PER LA DISCUSSIONE DEL QUESITO

 1) Inquadramento generale

A seguito della pronuncia di divorzio, può essere previsto l’obbligo a carico di uno degli ex coniugi di corrispondere periodicamente all’altro un contributo economico, se questi non ha mezzi adeguati o per ragioni oggettive non se li può procurare; tale prestazione definita assegno di divorzio o divorzile ha presupposti e finalità diverse dall’assegno di mantenimento, che viene stabilito con la separazione personale dei coniugi.

Invero, lo scopo dell'assegno di mantenimento è quello di assicurare al coniuge meno abbiente il medesimo tenore di vita che aveva durante il matrimonio mentre ormai i criteri in base ai quali viene fissato l’assegno divorzile prescindono, invece, dal mantenimento del tenore di vita, in quanto detta circostanza confligge in modo evidente con la natura stessa del divorzio dal momento che l’utilizzo del criterio del tenore di vita al fine di determinare l’importo dell’assegno divorzile ingenererebbe una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale.

La disciplina dell’assegno divorzile è contenuta nell’art. 5, comma 6, della Legge n. 898/1970 (Legge sul divorzio), secondo cui il Tribunale, con la sentenza con cui dispone lo scioglimento del matrimonio, può stabilire l’obbligo di un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno, quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive e la decisione del Tribunale deve tenere conto di una serie di criteri ed in particolare “delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.

Dagli anni novanta (Corte Cass., n. 1564/1990) e fino al 2017 nell’interpretazione dell’art. 5, comma 6, veniva riconosciuto come criterio il “tenore di vita” che consentiva di stabilire, in favore del coniuge “debole”, un assegno sufficiente a consentirgli di mantenere lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; successivamente la cd. sentenza Grilli  (Corte Cass., Sez. I, 11 maggio 2017, n. 11504) ha affermato che il tenore di vita rappresentava un criterio adeguato a temperare l’effetto del divorzio, quando nella coscienza sociale il matrimonio era ritenuto “indissolubile” ma poiché il divorzio provoca la cessazione degli effetti civili del matrimonio, non vi era più giustificazione per tenere in vita obblighi patrimoniali ed assistenziali legati allo status di coniuge.

Il tenore di vita, che non valorizza appieno quella esigenza/obbligo di auto-determinazione dei componenti della famiglia, non era più considerato un parametro utile per determinare il diritto all’assegno divorzile all’interno di nuovi contesti familiari e sociali, non riproducendo ormai una fedele fotografia dell’impegno personale e professionale assunto dai coniugi nel matrimonio.

Quale conseguenze della suddetta interpretazione giurisprudenziale l’unica funzione riconosciuta dalla sentenza all’assegno divorzile, era quella assistenziale, nel senso di assicurare un sostegno alla persona che si trova nell’impossibilità di procurarsi sufficienti mezzi per vivere; di tal che il percorso decisionale sull’assegno divorzile doveva articolarsi in due passaggi: la valutazione dell’esistenza del diritto all’assegno, da compiere verificando se effettivamente il coniuge “debole” non disponesse di mezzi adeguati o non potesse procurarseli per ragioni oggettive e la quantificazione dell’importo dell’assegno, tenendo conto di tutti i parametri indicati dall’art. 5 della Legge sul divorzio.

La sentenza Grilli, in stridente rottura con l’orientamento trentennale precedente, ha reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite che con la sentenza 11 luglio 2018, n. 18287, ne hanno respinto l’impostazione che limitava il ruolo dell’assegno divorzile alla funzione meramente assistenziale assegnandogli, invece, una composita funzione assistenziale, perequativa e compensativa, nel pieno rispetto degli artt. 2 e 29 Cost., dai quali discende il principio di solidarietà post-coniugale. 

Precisamente, mentre la sentenza Grilli poneva una netta linea di demarcazione fra vita matrimoniale e scioglimento del matrimonio, le Sezioni Unite sono partite dalla considerazione che i principi di autodeterminazione e di responsabilità sono alla base non solo della scelta matrimoniale ma anche di tutta l’impostazione e la conduzione della vita matrimoniale determinando una definizione dei ruoli tra i coniugi e fissando il contributo di ciascuno alla realizzazione della vita familiare: dunque, accanto alla funzione assistenziale, al momento del divorzio, si pone anche la necessità di compensare  e riequilibrare  le posizioni dei coniugi, tenendo conto dell’apporto di ciascuno allo svolgimento della vita matrimoniale.

Si rinviene, dunque, con chiarezza come, a seguito di un matrimonio duraturo, l’ex coniuge economicamente più debole, che abbia contribuito al tenore di vita della famiglia con personali sacrifici anche rispetto alle proprie aspettative professionali ed abbia in tal modo concorso occupandosi dei figli e della casa, aiutando l’altro coniuge nell’affermazione lavorativo-professionale, acquisti il diritto all’assegno divorzile non per mantenere uno standard di vita ma, appunto, per compensare un sacrificio.

 

2) Le questioni di diritto sostanziale

A) Presupposti, quantificazione e decorrenza dell’assegno divorzile

Dalla citata sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 18287/2018 il procedimento di accertamento del Tribunale per decidere sull’assegno divorzile si snoda in una serie di passaggi : comparazione  delle condizioni economiche e patrimoniali dei coniugi, verifica della mancanza di mezzi “adeguati” da parte del richiedente  o comunque dell’impossibilità a procurarseli per ragioni oggettive e accertamento rigoroso delle cause della sperequazione tra i coniugi.

L’indagine sulle cause della sproporzione delle condizioni economico patrimoniali tra i coniugi deve essere effettuata dal Tribunale tenendo conto dei criteri dettati dall’art. 5, comma 6, L. n. 898/70, ovvero: del contributo che il richiedente l’assegno ha apportato al nucleo familiare e al patrimonio; del nesso causale tra le scelte comuni dei coniugi durante il matrimonio e la situazione del richiedente al momento del divorzio, verificando se il richiedente abbia sacrificato le proprie aspettative professionali per contribuire alla cura della famiglia; delle condizioni personali del richiedente (età, stato di salute, capacità lavorativa) che consentono di compiere una prognosi futura; della durata del vincolo matrimoniale.

Inoltre, l’importo dell’assegno divorzile deve essere quantificato tenendo conto di tutte e tre le funzioni dell’assegno (assistenziale, compensativa, perequativa) per cui non è sufficiente un contributo che consenta il raggiungimento di una autosufficienza economica “astratta”, ma va operata una verifica “in concreto sul livello reddituale adeguato al richiedente, in base al contributo che ha prestato alla realizzazione della vita familiare, tenendo conto anche del sacrificio delle aspettative professionali, avvenuto nel corso del matrimonio.

Trovando l’assegno divorzile la propria fonte nello scioglimento del matrimonio, la sentenza che riconosce il diritto all’assegno ha efficacia costitutiva dal momento del passaggio in giudicato della pronuncia sullo scioglimento del vincolo; spesso, però, il Tribunale pronuncia sentenza non definitiva sullo scioglimento del vincolo e il processo continua solo per la determinazione dell’assegno (art. 4, comma 12, L. n. 898/1970) ed in questo caso l’art. 4, comma 13, L. n. 889/1970, prevede che quando il Tribunale emette la sentenza che dispone l’obbligo di corresponsione dell’assegno può far retrocedere la decorrenza dell’assegno dalla data della domanda di divorzio (anziché da quella del passaggio in giudicato della sentenza). Si tratta di una possibilità che è un potere e non un obbligo del giudice che va adeguatamente motivato sulla base delle circostanze del caso concreto e che può essere esercitato anche d’ufficio (Corte Cass., Sez. I, ord. 17 settembre 2020, n. 19330).

Ancora, l’art. 9 della Legge n. 898/1970 prevede la possibilità di chiedere la revisione dell’assegno divorzile quando, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, sopravvengano “giustificati motivi” come la perdita definitiva del posto di lavoro da parte dell’obbligato, oppure un contratto stabile di lavoro per la moglie beneficiaria dell’assegno divorzile (Corte Cass., ord. n. 7230/2020).

Inoltre, l’assegno divorzile non può essere ridotto in base a una asserita “potenzialità lavorativa” della ex moglie senza tener conto delle aspettative da lei sacrificate, né dell’apporto dato alla costituzione del patrimonio familiare; lo squilibrio giustifica l’assegno quando sia riconducibile alle scelte comuni e alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due (Corte Cass., 15 febbraio 2021, n. 3852).

L’art. 5, comma 7, della Legge n. 898/70 prevede che il Tribunale, nella pronuncia che dispone l’assegno divorzile, indichi il criterio di rivalutazione dell’importo dello stesso, allo scopo di mantenerlo adeguato al costo di vita, con il passare del tempo; di solito la rivalutazione avviene attraverso gli indici Istat  (indici di prezzi al consumo pubblicati periodicamente in gazzetta ufficiale e sul sito dell’ISTAT) e dopo il primo anno dalla pronuncia del Tribunale avviene moltiplicando l’ammontare del contributo stabilito dal Tribunale per l’indice di variazione e poi di anno in anno il parametro di riferimento è costituito dall’ultimo importo dell’assegno, rivalutato secondo il valore degli indici dell’anno precedente.

L’art. 5, comma 10, della Legge n. 898/1970 prevede, poi, che il diritto all’assegno divorzile cessi con il passaggio dell’avente diritto a nuove nozze; tuttavia la recente giurisprudenza ha ritenuto causa della perdita dell’assegno anche l’instaurarsi di una convivenza di fatto , purché di natura stabile e duratura.

Recentemente è stato rimesso alle Sezioni Unite della Cassazione di stabilire se, instaurata la convivenza di fatto stabile e duratura, il diritto dell’ex coniuge, si estingua automaticamente, senza la necessità di un vaglio sulla persistenza delle finalità dell’assegno, o se invece, il Tribunale debba valutare la persistenza della funzione compensativa dell’assegno, in ragione del contributo dato dall’avente diritto al patrimonio della famiglia e dell’altro coniuge, anche eventualmente rimodulando l’importo dell’assegno in ragione del nuovo assetto familiare del richiedente (Corte Cass., Sez. I, ord. 17 dicembre 2020, n. 28995).

 

 

B) Il concetto di “contributo apportato dal coniuge debole alla vita familiare”

Secondo l’orientamento giurisprudenziale attuale il giudice è tenuto a decidere sulla domanda di riconoscimento dell’assegno familiare previo accertamento della misura del contributo apportato dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio comune o a quello del consorte nel corso del matrimonio (Corte Cass., sent. n. 18287/ 2018).

In concreto si tratta di quegli ex coniugi che hanno dedicato la loro vita alla cura dei figli, della famiglia e della casa, da una parte sacrificando le proprie chances occupazionali e dall’altra consentendo al consorte di lavorare, non solo per garantire le necessarie entrate familiari ma per progredire nella propria carriera.
La Corte di Cassazione con la sentenza 13 gennaio 2021, n. 452, ha circoscritto il concetto di “contributo apportato dal coniuge debole alla vita familiare” per cui è indiscusso che l’eventuale squilibrio reddituale esistente tra gli ex coniugi va prioritariamente messo in relazione al sacrificio delle aspettative professionali della parte debole e quindi devono essere giudizialmente considerate le rinunce alle possibilità di guadagno operate nel corso del matrimonio dalla parte che domanda l’assegno, in considerazione del fatto che quest’ultima ha sempre ricoperto il cosiddetto “ruolo di trainante endofamiliare”, di comune accordo con l’allora consorte.

Con le pronunce 28 gennaio 2021, n. 1786 e 15 febbraio 2021, n. 3852 la Suprema Corte ha poi aggiunto che la valutazione della potenzialità lavorativa della ex moglie non è di per se sola determinante ai fini della decisione in quanto questo dato deve essere bilanciato con l’apporto fornito dalla precedente consorte nella costituzione del patrimonio familiare.

Ne consegue che va riconosciuto l’assegno ogniqualvolta la sperequazione, cioè lo squilibrio, tra il reddito dei coniugi è l’esito delle precedenti scelte comuni di vita in base alle quali “le realistiche aspettative professionali e reddituali del coniuge più debole sono state sacrificate per la famiglia, nell’accertato suo decisivo contributo alla conduzione familiare, alla formazione del patrimonio di ognuno o di quello comune per la durata del matrimonio”.

Ovviamente è onere della parte richiedente fornire idonea dimostrazione del nesso causale tra la sproporzione dei patrimoni e il suddetto contributo fornito dalla parte richiedente.

 

C) Il nesso causale

Affinchè la sperequazione tra gli ex coniugi possa avere rilevanza, è necessario individuare il nesso causale tra la sopravvenuta sproporzione economico-patrimoniale e il contributo fornito dalla parte richiedente attraverso un’analisi effettuata con la valutazione della sussistenza, caso per caso, dei presupposti assistenziali, compensativi e perequativi.

Nel caso si riesca a dimostrare la ricorrenza di tali presupposti sarà riconosciuto un assegno adeguato all’apporto fornito dal richiedente nella realizzazione della vita familiare in ogni ambito di rilevanza, mentre in caso contrario l’assegno divorzile sarà  negato.

Invero, per ottenere l’assegno non è sufficiente operare un generico riferimento al contributo dato alla formazione del patrimonio familiare in quanto solo la dimostrazione concreta della sussistenza di questo apporto può portare al riconoscimento del diritto all’assegno divorzile sotto il profilo perequativo-compensativo.

Dunque, ai fini della liquidazione dell’assegno divorzile, deve essere posta attenzione al criterio della formazione del patrimonio dell’altro o di quello comune: l’eventuale squilibrio esistente tra gli ex coniugi va messo in relazione con gli altri parametri di legge, segnatamente al sacrificio delle aspettative professionali per l’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, a nulla rilevando la maggiore ricchezza della parte astrattamente onerata (Corte Cass., 13 gennaio 2021, n. 452).

 

 

3) Le questioni di diritto processuale

A) L’accertamento dei mezzi inadeguati

L’attribuzione dell’assegno divorzile richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi del richiedente, cui si perviene valutando comparativamente le condizioni economiche degli ex coniugi, in considerazione del contributo fornito dal richiedente al patrimonio e, soprattutto, tenendo conto delle aspettative sacrificate (Corte Cass., 15 febbraio 2021, n. 3853)

 

B) I mezzi di prova

Le relazioni investigative depositate da una parte possono essere poste a base della decisione per escludere l’assegno; ne consegue che il giudice del merito può motivare la sua decisione di non riconoscere il contributo in virtù della piena capacità lavorativa della richiedente desumibile dal rapporto investigativo e in assenza della prova, a carico della medesima, del contributo dato al patrimonio familiare (Corte Cass., 25 febbraio 2021, n. 5077).

 

4) La soluzione

A) La pronuncia in esame: Corte di Cassazione, Sent. 13 gennaio 2021, n. 452.

 

B) Riferimenti normativi: Legge 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, commi 6,7,8,9.

 

C) La questione di diritto:

“Le scelte personali di vita dell’ex coniuge vanno incluse nei parametri di valutazione dell’assegno divorzile”.

La valutazione dell’adeguatezza dei mezzi a disposizione dell’ex coniuge e dell’incapacità dello stesso di procurarseli per ragioni obiettive deve essere concreta ed attuale e deve fondarsi sulle condizioni economico patrimoniali delle parti, collegate (e non disgiunte) con quella degli altri criteri stabiliti dall’art. 5, comma 6, della Legge n. 898/1970, al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimioniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante nell’ambiente endofamiliare.

Dunque, non basta la differenza, per quanto rilevante, tra i redditi dei coniugi a giustificare l’attribuzione dell’assegno divorzile in quanto è necessario accertare la misura del contributo dato dall’ex partner che chiede l’assegno alla formazione del patrimonio comune o di quello dell’altro ex coniuge (Corte Cass., Sez. Un., n. 18287/2018) per cui è stato pacificamente archiviato il criterio del mantenimento del tenore di vita, utilizzato in passato quale guida all’attribuzione dell’assegno divorzile ribadendone le funzioni assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa.

Affinché si possa considerare correttamente riconosciuto l’assegno divorzile, il giudice del merito deve verificare se l’accertata sperequazione tra i redditi di marito e moglie abbia le sue radici «in scelte comuni di vita, in ragione delle quali le realistiche aspettative professionali e reddituali del coniuge più debole sono state sacrificate per la famiglia, nell’accertato suo decisivo contributo alla conduzione familiare, alla formazione del patrimonio di ognuno o di quello comune per la durata del matrimonio» (Corte Cass., ord. 28 gennaio 2021, n. 1786).

Questa valutazione deve portare al riconoscimento di un contributo volto non al conseguimento di una autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma al raggiungimento, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.

 

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