Civile

Sulle supersocietà di fatto test di esistenza nei tribunali

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di Luca Boggio

Giudici di merito divisi sulle prove dell’esistenza di una supersocietà di fatto. Nelle prime sentenze successive alla pronuncia della Cassazione (sentenza 10120/2016) che dava il via libera alle società di fatto partecipate da società di capitali, i tribunali assumono posizioni opposte.

Con la riforma societaria del 2003 e la modifica dell’articolo 2361 del Codice civile fu superato il precedente orientamento delle Sezioni unite della Cassazione riguardo all’illegittimità della partecipazione di società capitalistiche a quelle personali (Cassazione 5636/1988). Per effetto di tale cambiamento, la prima sezione della medesima Corte ha sancito poco più di dieci anni dopo la riforma la configurabilità di una società di fatto anche partecipata da società capitalistiche (la cosiddetta supersocietà), giungendo ad affermarne la fallibilità e, per questa via, a pronunciare il fallimento delle partecipanti in estensione ai sensi dell’articolo 147, quinto comma della legge fallimentare una volta accertata l’insolvenza della supersocietà di fatto (Cassazione 10120/2016). Soltanto nel corso del 2018 sono state depositate le prime sentenze di fallimento delle società di capitali partecipanti alla supersocietà alla luce del nuovo orientamento della Suprema corte.

Duplice orientamento
Per quanto poche siano le decisioni si può registrare già l’emergere di due opposti approcci, che non troveranno composizione neppure nel dettato del Codice della crisi.

Secondo un primo orientamento, accolto dal Tribunale di Bergamo con una sentenza depositata il 5 dicembre 2018, l’utilizzo di risorse di un’impresa (individuale) per far fronte ad obbligazioni assunte da una società di capitali, in un contesto in cui sia appalesata ai terzi la confusione in ordine ai soggetti giuridici destinati a rendersi titolari di rapporti commerciali e sia stata manifestata a costoro la volontà della prima di estinguere tutti i debiti della seconda, sarebbero elementi decisivi per la prova dell’esistenza della supersocietà.

Opposta è l’impostazione seguita del Tribunale di Prato in due successivi decreti di rigetto della dichiarazione di fallimento di due pretese supersocietà del 1° agosto 2018 e del 19 dicembre 2018. Infatti, i giudici toscani hanno adottato in più circostanze una lettura maggiormente restrittiva delle statuizioni della Corte di cassazione in ordine all’accertamento dell’esistenza di una supersocietà partecipata anche da società di capitali.

Nonostante le partecipanti avessero avuto «continui rapporti commerciali», si fossero «emesse vicendevolmente numerose fatture» e «le rispettive partite venissero poi chiuse mediante giroconti e/o compensazioni» o «in alcuni casi con movimenti per cassa», sarebbe necessaria la prova rigorosa dell’affectio societatis ossia della volontà di dar vita a un soggetto autonomo organizzato per produrre un utile proprio e distinto da quello delle partecipanti.

Al di là dell’apprezzabile maggior rigore invocato dal Tribunale di Prato, il punto fondamentale è che il ricorrere di una supersocietà può dirsi accertato soltanto se confusione di patrimoni, inganno dei terzi e volontà dei partecipanti realizzino la creazione di un distinto centro di interessi, separato dai soggetti che vi parteciperebbero, il quale costituisca un nuovo soggetto di diritti, come tale, esercente attività d’impresa e quindi fallibile.

Nonostante le incertezze dianzi segnalate che caratterizzano la giurisprudenza successiva alle citate decisioni della Corte di cassazione, il nuovo articolo 256 del Codice della crisi non risolve il contrasto emerso nella giurisprudenza pratica, avendo lasciato sostanzialmente invariato il dettato legislativo. Infatti, il quinto comma, letto con attenzione, affronta soltanto il diverso problema della società occulta che eserciti la medesima impresa, trascurando la fattispecie della supersocietà che eserciti invece un’altra impresa. Dunque, le attuali incertezze rischiano di perpetuarsi, se le future decisioni non si allineeranno al più rigoroso approccio indicato dalla stessa Corte di cassazione.

Le definizioni

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