Testamento pubblico, la sanità mentale del testatore può essere contestata con ogni mezzo di prova
In tema di testamento pubblico, lo stato di sanità mentale del testatore, seppure ritenuto e dichiarato dal notaio per la mancanza di segni apparenti di incapacità del testatore medesimo, può essere contestato con ogni mezzo di prova, senza necessità di proporre querela di falso. Questo poiché, chiariscono i giudici della Suprema corte con la ordinanza n. 18042 del 2020, ai sensi dell'articolo 2700 del codice civile, l'atto pubblico fa piena prova delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma nei limiti della sola attività materiale, immediatamente e direttamente richiesta, percepita e constatata dallo stesso pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni.
In tema di annullamento del testamento, nel caso di infermità tipica, permanente e abituale, l'incapacità del testatore si presume e l'onere della prova che il testamento sia stato redatto in un momento di lucido intervallo spetta a chi ne afferma la validità, qualora, invece, detta infermità sia intermittente o ricorrente, poiché si alternano periodi di capacità e di incapacità, non sussiste tale presunzione e, quindi, la prova dell'incapacità deve essere data da chi impugna il testamento.
Quanto invece alla consistenza che deve avere l'incapacità ai fini dell'invalidità dell'atto, la Corte aveva ribadito che (Cassazione n. 3934/2018) l'incapacità naturale del testatore postula l'esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del "de cuius", bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi.
Cassazione – Sezione II – Ordinanza 28 agosto 2020 n. 18042