Società

Tim, le spese postali delle bollette non devono gravare sui clienti

Lo ha stabilito la Cassazione, ordinanza 34800 depositata oggi, per le ipotesi in cui non venga fornita una modalità alternativa di “ritiro”

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di Francesco Machina Grifeo

Telecom Italia s.p.a non può ribaltare sui clienti le spese postali di spedizione della fattura se non ha offerto una modalità alternativa di “ritiro” della bolletta. Lo ha stabilito la Cassazione, ordinanza 34800 depositata oggi, respingendo il ricorso del colosso delle telecomunicazioni contro il pronunciamento del Tribunale di Trani che, in appello, aveva confermato le ragioni del cliente (già riconosciute dal Giudice di pace di Barletta).

Il giudice del merito, infatti, aveva dichiarato inefficace la clausola contrattuale di addebito delle spese di spedizione della fattura dell’utenza telefonica condannando Tim a restituirgli l’importo di 2,65 euro (oltre interessi), aveva invece bocciato la domanda risarcitoria di 100 euro.

Contro questa decisione Tim ha proposto ricorso e la Terza sezione civile lo ha dichiarato inammissibile. Il Tribunale, prosegue la Cassazione, ha correttamente considerato che nella convenzione per la concessione dei servizi di telecomunicazione si stabilisce (e precisamente all’articolo 53) la modalità della riscossione addebitando le spese postali “salvo la facoltà degli abbonati di provvedere senza addebito di spese al ritiro delle bollette presso gli uffici della società”. Ora nel caso specifico, mancava una modalità di ritiro alternativa, e in particolare “proprio quella del ritiro presso gli uffici Telecom”, da qui il rilievo d’ufficio della vessatorietà della clausola.

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