Civile

Trattamento sanitario obbligatorio, alla Consulta la mancata informazione del “paziente”: violato il diritto di difesa

Per la Prima sezione civile, ordinanza n. 24124 depositata oggi, non è manifestamente infondata la questione di legittimità degli articoli 33, 34 e 35 della legge 833/1978

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di Francesco Machina Grifeo

La mancata notifica all’interessato del provvedimento con il quale il sindaco dispone il trattamento sanitario obbligatorio, in condizioni di degenza ospedaliera, costituisce “un ultimo residuo di quella logica manicomiale che la legge Basaglia ha avversato, e di quella convinzione, contrastata dal diritto vivente, che la persona affetta da patologia psichiatrica, disabilità, immaturità, non debba partecipare, nella misura in cui le circostanze glielo consentono, alle decisioni che la riguardano”.

Così con una bella e lunga ordinanza (n.24124) la Corte di cassazione ha rinviato alla Corte costituzionale gli articoli articoli 33, 34 e 35 della legge 23 dicembre 1978 n. 833 che, insieme alla Legge Basaglia, ha comunque rappresentato un enorme progresso rispetto alla precedente cultura giuridica incentrata sui manicomi e sulla presunta “pericolosità” dei cd. “malati di mente”.

L’attuale sistema normativo in materia di Tso, si legge nella decisione, disegnato dagli articoli 33,34 e 35 della legge n. 833/1978 non è conforme agli articoli 2, 3,13,24, 32 e 111 della Costituzione, nonché all’articolo 117 della Costituzione in relazione agli articoli 6 e 13 CEDU, nella parte in cui non prevedono che il provvedimento motivato con il quale il sindaco dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera sia tempestivamente notificato all’interessato, o al suo eventuale legale rappresentante, con l’avviso che il provvedimento sarà sottoposto a convalida del giudice tutelare entro le 48 ore successive e con l’avviso che l’interessato ha diritto di comunicare con chiunque ritenga opportuno e di chiedere la revoca del suddetto provvedimento, nonché di essere sentito personalmente dal giudice tutelare prima della convalida; nonché - continua -nella parte in cui non prevedono che la ordinanza motivata di convalida del giudice tutelare sia tempestivamente notificata all’interessato, o al suo eventuale legale rappresentante, con l’avviso che può presentare ricorso ai sensi dell’ articolo 35 della legge 833/1978.

Ricordiamo che attualmente si può intervenire con un Tso, a prescindere dal consenso del paziente, se sono contemporaneamente presenti tre condizioni: a) l’esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici; b) la mancata accettazione da parte dell’infermo degli interventi terapeutici proposti; c) l’esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive e idonee misure sanitarie extra-ospedaliere

Il caso parte dal ricorso di una donna sottoposta a 9 giorni di degenza coatta per un “grave scompenso psichico e un comportamento oppositivo alle cure”, a seguito di asserite “idee suicidarie” ed alla assunzione di “eccessive dosi di uno psicofarmaco (Tavor)”. La donna ha lamentato di non aver ricevuto il provvedimento del sindaco e neppure la notifica della ordinanza di convalida, del resto non prevista dalla legge vigente, per cui non ha potuto opporsi se non dopo la scadenza del trattamento.

La Corte ricorda infatti che il provvedimento del sindaco con cui viene disposto il Tso in condizioni di degenza ospedaliera, da emanarsi entro quarantotto ore dalla convalida del secondo medico, è notificato al giudice tutelare (entro quarantotto ore dal ricovero), che provvede (nelle successive quarantotto ore) a convalidare o meno il provvedimento, comunicandolo al sindaco (articolo 35, comma 2).

La legislazione italiana non prevede dunque che il provvedimento del sindaco e l’ordinanza che lo convalida siano notificati alla parte personalmente, e non prevede come obbligatoria la audizione personale dell’interessato da parte del giudice tutelare prima della convalida della misura, o comunque in un momento successivo, ma anteriore alla scadenza del trattamento.

E’ rimesso quindi alla discrezionalità del giudice tutelare se procedere o meno alla audizione dell’interessato e se compiere accertamenti, e quali informazioni assumere; in particolare non è previsto alcun controllo specifico sugli adempimenti precedenti e coevi al ricovero, come la ricerca della cosiddetta alleanza terapeutica.

Il sindaco ed il giudice tutelare comunicano -obbligatoriamente - tra di loro, ma nessuno di due comunica con il paziente, il quale può solo impugnare il provvedimento finale di convalida del Tribunale, emesso dopo che la proposta del sanitario è convalidata da un medico di una struttura pubblica, e poi dal sindaco (articoli 33-35 l. n. 833/1978).

Per i giudici di legittimità, però, è irragionevole che il diritto all’ascolto venga assicurato nella fase medica e non anche nella fase giurisdizionale, “dove, in verità dovrebbe concretarsi in un ben più incisivo diritto al contraddittorio e alla difesa”. L’esigenza di tutelare la salute, anche in via d’urgenza, proseguono, non dovrebbe essere di ostacolo al contraddittorio e al diritto dell’interessato di partecipare, nella misura in cui glielo consentono le sue condizioni, alle decisioni sul suo percorso di salute.

E allora, continua retoricamente l’ordinanza, ci si deve chiedere se effettivamente meriti la qualifica di controllo giurisdizionale quello che non avviene nel contraddittorio delle parti e che si limita ad un controllo formale sulla procedura e sul rispetto dei termini, senza ascoltare le ragioni di chi a quell’intervento terapeutico si è opposto e ciononostante subisce una limitazione della sua libertà materiale e della autodeterminazione; e ancora se meriti la qualifica di controllo giurisdizionale quello che non verifica se la persona interessata, che due medici attestano essere in stato di alterazione psichica, è o meno in uno stato di capacità di intendere e di volere, così da poter organizzare una lucida difesa dei propri interessi, ovvero necessiti della nomina di un legale rappresentante eventualmente anche ad hoc e a tempo determinato. Del resto, anche un eventuale stato di incapacità della persona “non potrebbe mai incidere sulla titolarità dei diritti, eliminandoli o ponendoli in stato di temporanea quiescenza, ma solo sulle modalità del loro esercizio”.

Così, prosegue la Corte, se il sistema normativo disegnato dalla legge Basaglia e dalla legge n. 833/1978 si occupa della dignità e del rispetto del paziente, “non si occupa però di quell’aspetto della dignità umana che si sostanzia nel diritto a essere informati e a contraddire nel procedimento che conduce ad una decisione restrittiva al tempo stesso della libertà personale e del diritto di autodeterminarsi, e nel diritto di difendersi tempestivamente, prima cioè che venga adottato il provvedimento di convalida e comunque nella sua immediatezza, prima della scadenza del termine del trattamento”.

È vero infatti che la persona può chiedere al sindaco la revoca del provvedimento e che lo stesso paziente o anche altro soggetto a lui vicino può presentare ricorso: “ma di fatto l’assenza del diritto ad essere tempestivamente informati della decisione, delle ragioni su cui si fonda e della procedura attraverso la quale si perviene alla convalida giurisdizionale, nonché sulle modalità della opposizione, costituiscono un ostacolo rilevante all’esercizio del diritto ad un ricorso effettivo, alla difesa, ed in ultima analisi ad un giusto processo”.

Del resto, come può una persona che si trovi da un lato in stato di alterazione psichica, dall’altro in stato di soggezione fisica all’altrui potere, “tempestivamente opporsi se non viene informata del suo status giuridico e delle ragioni per le quali, ex abrupto, le si parano dinnanzi i vigli urbani per prenderla e portarla in ospedale, in esecuzione di una ordinanza sindacale di cui la persona, o eventualmente il suo legale rappresentante, non ha contezza”. E come può reagire, “prima di avere recuperato la sua libertà e la collocazione nella società, se della esistenza di un giudice che convalida il provvedimento sindacale non ha notizia, posto che neppure l’ordinanza del giudice tutelare le viene notificata”.

Infine, la Cassazione ricorda che la procedura in tema di TSO è da molti anni oggetto di critica da parte del comitato per la prevenzione della tortura (in acronimo CPT) operante in seno al Consiglio di Europa, in quanto il giudice tutelare non incontra mai i pazienti di persona e i pazienti restano disinformati sul loro status legale. E ciò pone un problema di compatibilità con l’articolo 13 della Costituzione italiana.
Anche la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, infine, ha sottolineato l’importanza della audizione diretta, da parte del giudice tutelare, del soggetto sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio (Corte EDU 8/10/ 2013 pronunciata sul ricorso n. 25367/11).

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