Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana
La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra l'11 e il 15 luglio 2022.
Le Corti d'Appello, nel corso di questa settimana, si pronunciano sul contratto di appalto (quanto ai profili di responsabilità di progettista e direttore dei lavori), sui contratti bancari (quanto all'onere della prova in caso di domanda di ripetizione dell'indebito), sul risarcimento danni da reato e, ancora, sulle azioni edilizie.
Da parte loro i Tribunali trattano delle obbligazioni solidali, dell'addebito nella separazione personale, del danno non patrimoniale, del contratto di leasing, della successione testamentaria e, infine, sulla divisione ereditaria.
APPALTO
Contratto di appalto – Beni immobili – Rovina e difetti – Responsabilità solidale (Cc, articoli 1669; 2055)
Intervenuta in una vicenda disciplinata dall'articolo 1669 c.c. (data la gravità e la diffusione dei vizi comprovati -associati a carenze progettuali- e la loro idoneità a pregiudicare seriamente la fruizione dell'immobile per cui era causa) la Corte d'Appello di Milano sottolinea come trattasi di una fattispecie di responsabilità aquiliana, ragion per cui non rileva –costituendone anzi il presupposto- la mancanza del rapporto contrattuale tra proprietario e soggetti responsabili.
Tra progettista e direttore dei lavori vi è un vincolo di solidarietà (a qualunque titolo abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento), ai sensi dell'articolo 2055 c.c., a nulla rilevando che le rispettive condotte costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse.
Ciò equivale a dire che i coobbligati, volenti o nolenti, subiscono i rigori della solidarietà, come ogni altro soggetto che fornisca un contributo eziologicamente apprezzabile alla realizzazione dei lavori, e rispondono dei danni provocati alla committenza, tipicamente da omessa, insufficiente o impropria sorveglianza, attività che, se esercitate -o correttamente e tempestivamente esercitate- mai avrebbero dovuto lasciare filtrare vizi macroscopici quanto gravi.
In definitiva, il professionista è tenuto ad adottare tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera appaltata senza difetti costruttivi, e non si sottrae a responsabilità quando manchi non solo di vigilare e di controllare l'ottemperanza delle sue prescrizioni da parte dell'appaltatore, ma anche di riferire al committente se sono state osservate le regole dell'arte e la corrispondenza dei materiali impiegati.
• Corte di Appello di Milano, sezione IV, sentenza 12 luglio 2022 n. 2444
BANCHE
Contratti bancari – Pagamento indebito – Ripetizione – Onere della prova (Cc, articolo 1284; Cpc, articolo 116; Dlgs 1 settembre 1993, n. 385, articoli 117, 120)
Adita in materia di contratti bancari osserva in sentenza la Corte d'Appello di Bari che grava sull'attore in ripetizione dell'indebito la prova dell'inesistenza di una giusta causa dell'attribuzione patrimoniale compiuta in favore del convenuto (istituto di credito), ancorché si tratti di prova di un fatto negativo.
Con la precisazione secondo cui non è esatto che, ai fini della dimostrazione dell'indebito da pagamento di interessi anatocistici, o a tasso ultralegale, sia sufficiente dimostrare l'avvenuto pagamento degli stessi (per provare il quale basta effettivamente la produzione degli estratti conto) essendo la legge a vietarne la corresponsione: vero è infatti, al contrario, che la legge, sia per gli uni che per gli altri, consente alle parti di concordarne il pagamento in particolari situazioni.
E così, l'articolo 1283 c.c., pur vietando in linea di principio che gli interessi scaduti producano a loro volta ulteriori interessi, lo consente tuttavia "per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza" e anche l'articolo 120 del Dlgsn. 385/1993 (TUB) dà ampio spazio a convenzioni giustificative dell'anatocismo; analogamente, l'articolo 1284 c.c. e l'articolo 117 TUB consentono la pattuizione di interessi a tasso superiore a quello legale.
Grava, conseguentemente, sull'attore in ripetizione di indebito anche la prova negativa, dell'inesistenza di tali accordi tra le parti.
Al contempo è vero, tuttavia, che la produzione del contratto a base del rapporto bancario è a tal fine, per un verso, non indispensabile e, per altro verso, neppure sufficiente. Non è sufficiente – osserva ancora la Corte adita - perché, anche una volta che sia stato esibito il contratto, resta possibile che l'accordo sia stato stipulato con un atto diverso e successivo; non è, soprattutto, indispensabile perché anche altri mezzi di prova, quali le presunzioni unitamente agli argomenti di prova ricavabili dal comportamento processuale della controparte, ai sensi dell'articolo 116, II, Cpc , nonché al limite il giuramento, possono valere allo scopo di dimostrare l'assenza dei fatti costitutivi del debito dell'attore.
• Corte di Appello di Bari, sezione II, sentenza 13 luglio 2022 n. 1193
RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Fatto reato – Risarcimento danni – Danno evento – Danno conseguenza (Cc, articolo 1223)
Secondo l'insegnamento espresso in sentenza dalla Corte d'Appello di Palermo la sentenza del Giudice penale che, accertando l'esistenza del reato, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine alla declaratoria iuris di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni.
Resta ferma invece la necessità dell'accertamento, in sede civile, dell'esistenza e dell'entità delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come potenzialmente dannoso e del nesso di derivazione causale tra questo e i pregiudizi lamentati dai danneggiati.
Perfino nell'ipotesi dei reati di danno, sulla base delle regole di diritto civile, quel che rimane definitivamente accertato dal giudizio penale è il danno evento, avvinto al fatto da un nesso di causalità materiale, ma non il danno conseguenza, per il quale l'indagine da compiere è quella del nesso di causalità giuridica fra l'evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli (art. 1223 c.c.).
Ne deriva che, in relazione all'accertamento del danno conseguenza, sotto il profilo dell'esistenza del nesso di causalità (oltre che il profilo dell'esistenza e quantificazione del danno), resta ferma, all'esito del giudizio penale, la competenza del Giudice civile e il giudicato penale non implica alcun accertamento in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile ma postula soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso, restando salva nel giudizio civile di liquidazione del quantum la possibilità di escludere l'esistenza di un danno eziologicamente conseguente al fatto illecito.
• Corte di Appello di Palermo, sezione I, sentenza 13 luglio 2022 n. 1221
EDILIZIA E URBANISTICA
Azioni edilizie – Compratore – Tutela (Cc, articoli 1490, 1494, 1495)
La Corte d'Appello di Ancona afferma in sentenza che le azioni edilizie approntano una tutela in favore del compratore che prescinde dalla colpa del venditore, fondandosi esclusivamente sull'oggettiva presenza di un vizio che, in quanto non visibile, non è stato preso in considerazione dall'acquirente al momento della conclusione dell'acquisto. Resta così del tutto irrilevante che vi sia stata un'attività (dolosa) di vero e proprio occultamento.
Il Legislatore, invero, prevede a favore dell'acquirente specifiche forme di tutela contro l'inattuazione, o l'inesatta attuazione, dell'attribuzione traslativa. Tra queste rileva la disposizione di cui all'articolo 1490 c.c., ossia la garanzia per i vizi della cosa venduta, statuente che "il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all'uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore", dove per "vizi" si intendono tutte le imperfezioni materiali che incidono sul valore o sulle possibilità di utilizzazione della cosa, dipendenti da anomalie del processo di fabbricazione, di produzione o, ancora, di conservazione.
La garanzia per i vizi legittima il compratore all'esercizio di tre distinte azioni nei confronti del venditore:
1) la prima è l'azione di risoluzione (cosiddetta actio redhibitoria), la quale non differisce da quella ordinaria di risoluzione, salvo che per i seguenti aspetti: non rileva la colpa del venditore; si onera il compratore dell'onere della preventiva denunzia dei vizi entro un breve termine (8 giorni) a pena di decadenza, decorrente dalla scoperta del vizio (salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge e con la precisazione che la denuncia che non è tuttavia necessaria se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del vizio o l'ha occultato); si sottopone l'azione ad un breve termine prescrizionale (1 anno), a partire dalla consegna della cosa; rilevano gli usi;
2) la seconda è l'azione estimatoria (la nota actio aestimatoria o quanti minoris), volta a conservare il sinallagma contrattuale mediante la riduzione del prezzo di vendita in misura corrispondente alla diminuzione di valore del bene provocata dal vizio (anche per essa operano i predetti termini di decadenza e di prescrizione);
3) la terza è l'azione risarcitoria, la quale, essendo basata sui generali principi in tema di inadempimento, spetta al compratore "in ogni caso" (articolo 1494 c.c.), cioè indipendentemente dalla proposizione delle prime due azioni, pur essendo soggetta (al pari delle altre due, note anche come azioni edilizie) ai termini di cui all'articolo 1495 c.c..
• Corte di Appelllo di Ancona, sentenza 14 luglio 2022 n. 943
OBBLIGAZIONI
Obbligazioni solidali - Obbligati – Prescrizione – Interruzione (Cc, articoli 1310, 2055)
Il Tribunale di Aosta richiama in sentenza l'insegnamento giurisprudenziale secondo cui non sussiste un vincolo di solidarietà tra l'obbligazione assunta dal debitore principale e quella derivante da un contratto autonomo di garanzia.
Ciò in quanto la causa concreta del negozio autonomo consiste nel trasferire da un soggetto all'altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, mentre nelle obbligazioni solidali in generale, e nella fideiussione in particolare, è tutelato l'interesse all'esatto adempimento della medesima prestazione principale, sicché l'obbligazione del garante autonomo rimane sempre distinta da quella del debitore principale, essendo finalizzata ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione, configurandosi tra le stesse un mero collegamento negoziale ed un cumulo di prestazioni.
Il medesimo Tribunale qualifica, poi, il rapporto pendente innanzi a sé quale fideiussione cosiddetta omnibus ed afferma così, in punto di diritto, il principio secondo cui, nel caso di solidarietà tra più obbligati, ex articolo 2055 c.c., l'interruzione della prescrizione compiuta dal creditore nei confronti di uno dei soggetti obbligati ha effetto anche nei confronti degli altri condebitori solidali, ai sensi dell'articolo 1310, I, c.c., senza che sia richiesto che questi ultimi abbiano conoscenza dell'atto interruttivo, in quanto gli effetti conservativi che tale atto produce incidono direttamente sul rapporto da cui origina l'obbligazione, e non sulla sfera giuridica del singolo condebitore solidale, il quale in conseguenza dell'estensione nei suoi confronti del relativo effetto conservativo dell'interruzione non viene a perdere alcun diritto, né viene inciso in una qualsiasi situazione giuridica soggettiva di cui sia titolare.
• Tribunale di Aosta, sentenza 11 luglio 2022 n. 231
SEPARAZIONE E DIVORZIO
Matrimonio – Crisi – Separazione personale – Addebito (Cc, articoli 143, 151)
Precisa il Tribunale di Salerno che la separazione è addebitabile al coniuge che, assumendo un comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio (articolo 151, II, c.c.), abbia causato la disgregazione del vincolo matrimoniale in modo esclusivo o in concorso con le condotte del consorte (cosiddetto addebito reciproco).
Con la precisazione che, qualora non venga dimostrato che il comportamento contrario ai doveri che l'articolo 143 c.c. pone a carico dei coniugi abbia causato il fallimento della convivenza, dovrà essere pronunciata la separazione senza addebito.
In particolare, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale richiede comunque la prova, da parte di chi richiede l'addebito, del nesso di causalità con l'intollerabilità della convivenza. Invero, l'inosservanza di tale obbligo rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi di regola circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, sempreché non si accerti la mancanza del nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, risultando la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. Ciò significa, dunque, che un comportamento infedele successivo al verificarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza, non rileva affatto ai fini della pronuncia di addebito.
Se l'infedeltà costituisce la premessa della intollerabilità della prosecuzione della convivenza secondo l'id quod plerunque accidit, tuttavia l'evento dissolutivo potrebbe non essere riconducibile alla condotta antidoverosa del coniuge, con la conseguenza che occorre l'elemento della prossimità per far presumere la intollerabilità, il che avviene quando la richiesta di separazione personale segue, senza cesura temporale, l'accertata violazione del dovere coniugale. Diversamente, nel caso di accettazione reciproca di un allentamento degli obblighi previsti dalla norma si prospetterebbe un fatto secondario, accidentale ed atipico, che contrasta con l'applicabilità della regola generale della causalità, onde il relativo onere probatorio incumbit ei qui dicit, spettando di conseguenza all'autore della violazione dell'obbligo la prova della mancanza del nesso eziologico tra infedeltà e crisi coniugale.
• Tribunale di Salerno, sezione I, sentenza 13 luglio 2022 n. 2559
DANNO NON PATRIMONIALE
Danno non patrimoniale – Immagine e reputazione – Danno conseguenza (Cc, articoli 1223, 2056)
È affermazione in punto di diritto del Tribunale di Bari quella secondo cui il danno all'immagine ed alla reputazione, inteso come "danno conseguenza", non sussiste in re ipsa, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento.
Pertanto, la sua liquidazione deve essere compiuta dal Giudice, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sulla base non di valutazioni astratte, bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sé.
Deve così riconoscersi, almeno in via di principio, l'antiteticità del concetto di danno in re ipsa (il quale, anche letteralmente, postula la coincidenza del danno risarcibile con l'evento dannoso) rispetto al sistema di responsabilità civile, fondato all'opposto sulla netta distinzione, ex articoli 1223 e 2056 c.c., tra fatto illecito, contrattuale o extracontrattuale, produttivo del danno e il danno stesso, da identificare nelle conseguenze pregiudizievoli di quel fatto, nella loro duplice possibile fenomenologia di "danno emergente" (danno "interno", che incide sul patrimonio già esistente del soggetto) e di "lucro cessante" (che, di quel patrimonio, è proiezione dinamica ed esterna), come tale apprezzabile sia in ambito patrimoniale che non patrimoniale.
Il sistema fornisce dunque una struttura dell'illecito aquiliano articolata negli elementi costituiti dalla condotta, dal nesso causale tra questa e l'evento dannoso, e dal danno che da quello consegue (danno-conseguenza), essendo l'evento dannoso rappresentato dalla lesione dell'interesse protetto.
Pertanto quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato; non è accettabile la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, ovvero come danno-evento, e parimenti da disattendere è la tesi che colloca il danno appunto in re ipsa, perchè così snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo.
Se il danno rileva sotto due profili diversi (come evento lesivo e come insieme di conseguenze risarcibili, retto il primo dalla causalità materiale ed il secondo da quella giuridica) è vero che il danno oggetto dell'obbligazione risarcitoria aquiliana è esclusivamente il danno conseguenza del fatto lesivo (di cui è un elemento l'evento lesivo). Se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno-conseguenza, non vi è l'obbligazione risarcitoria.
• Tribunale di Bari, sezione II, sentenza 14 luglio 2022 n. 2856
CONTRATTI
Contratto di leasing – Clausola penale – Validità (Cc, articoli 1223, 1382, 1526; legge 4 agosto 2017, n. 124)
Adito in materia di contratto di leasing il Tribunale di Bologna con riferimento alla disciplina di cui alla legge n. 124/2017, che prevede il pagamento del credito solo all'esito della vendita o nuova allocazione del bene locato, ne afferma il carattere non retroattivo trovando, quindi, applicazione per i contratti di leasing finanziario in cui i presupposti della risoluzione per l'inadempimento dell'utilizzatore (previsti dal comma 137) non si siano ancora verificati al momento della sua entrata in vigore.
La disciplina recata dalla riforma del 2017, non ha, invero, carattere retroattivo, essendo essa priva degli indici che consentono di riconoscerle efficacia regolativa per il passato, non avendo in tal senso disposto lo stesso Legislatore, né proponendosi la novella di operare una interpretazione autentica di un assetto legale precedente, in quanto essa interviene, in modo innovativo, a colmare una lacuna ordinamentale circa la disciplina del contratto di locazione finanziaria, cui soltanto il formante giurisprudenziale aveva posto rimedio attraverso un'integrazione analogica.
L'efficacia della legge del 2017 è, dunque, pro-futuro, senza che il Legislatore si sia, però, preoccupato di dettare una disciplina intertemporale, avuto riguardo ai rapporti contrattuali in corso di svolgimento al momento della sua entrata in vigore.
Orbene, secondo l'adito Tribunale di Bologna, nell'applicare l'articolo 1526 c.c. per i contratti risolti in precedenza, il risarcimento del danno deve trovare specifica considerazione e, secondo la sua ordinaria configurazione di danno emergente e di lucro cessante (articolo 1223 c.c., che impone che il danno patrimoniale sia integralmente ristorato, in applicazione del principio di indifferenza), deve essere tale da porre il concedente medesimo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l'utilizzatore avesse esattamente adempiuto.
Il risarcimento del danno del concedente può altresì essere oggetto di determinazione anticipata attraverso una clausola penale ai sensi dell'articolo 1382 c.c. e in questo senso si è, del resto, dispiegata l'autonomia privata nella costruzione, in base a modelli standardizzati, del social-tipo contratto di leasing.
Risulta, quindi, secondo l'argomentazione del Tribunale, pienamente la validità della pattuizione di una clausola penale ai sensi dell'articolo 1382 c.c. quale peraltro consentita anche dall'espresso richiamo dal secondo comma dell'articolo 1526 c.c..
• Tribunale di Bologna, sezione IV, sentenza 14 luglio 2022 n. 1924
SUCCESSIONI E DONAZIONI
Successione necessaria - Porzione disponibile - Quote riservate ai legittimari - Determinazione (Cc, articolo 556)
Intervenuto in materia di accertamento del diritto all'eredità osserva in sentenza il Tribunale di Lecce come, ai fini della determinazione della porzione disponibile e di quelle riservate ai legittimari, debbano essere presi in considerazione tutti i beni che erano del defunto al momento del decesso, sottratti i debiti, nonché il valore di tutte le donazioni effettuate in vita dal defunto, senza distinzione tra donazioni anteriori e donazioni posteriori al sorgere del rapporto con il defunto.
L'equiparazione delle donazioni anteriori al sorgere del rapporto da cui deriva la qualità di legittimario a quelle posteriori risponde alla ratio della riunione fittizia che ha lo scopo di determinare la quota della quale il defunto poteva disporre e, correlativamente, la quota di riserva spettante al legittimario.
Non diversa, ai fini della determinazione della quota di riserva (articolo 556 c.c.), è la posizione del coniuge rispetto a quella dei figli. E invero, come il figlio sopravvenuto può chiedere la riduzione di tutte le donazioni compiute in vita dal padre, anche di quelle compiute prima della sua nascita in favore della madre o di altro coniuge ormai non più tale, allo stesso modo il coniuge sopravvenuto rispetto ai figli può chiedere la riduzione di tutte le donazioni compite dal de cuius in favore dei figli, anche di quelle precedenti il matrimonio poste in essere in favore dei figli nati da altro coniuge o nati fuori dal matrimonio.
Peraltro anche la qualità di legittimari dei figli ha un inizio e può avere una fine.
I figli acquistano la qualità di legittimari con la nascita e la perdono con la morte. Nel caso di premorienza rispetto al genitore, infatti, l'azione di riduzione e di reintegrazione nella legittima non può essere esercitata, salvo che i figli premorti abbiano discendenti o altri soggetti legittimati a subentrare loro per rappresentazione (discendenti dei fratelli e delle sorelle).
E allora, è vero che il vincolo che lega il coniuge al de cuius è diverso dal vincolo che lega i figli al de cuius: nel primo caso, il vincolo dipende al rapporto di coniugio; nel secondo, il vincolo è di sangue. Ma ciò non giustifica un trattamento diverso in ordine alla determinazione della quota di riserva e alla riunione fittizia delle donazioni.
• Tribunale di Lecce, sezione I, sentenza 14 luglio 2022 n. 2193
SUCCESSIONI E DONAZIONI
Divisione ereditaria - Divisibilità degli immobili – Spese (Cc, articoli 718, 720, 726)
Osserva il Tribunale di Palermo come, in tema di divisione ereditaria, sia configurabile la non comoda divisibilità degli immobili, ex articolo 720 c.c., qualora, in relazione alla struttura del bene e al numero dei condividenti, non sia possibile procedere alla omogenea divisione prevista dall'articolo 718 c.c., essendo all'uopo sufficiente che anche nei confronti di uno solo dei condividenti tale omogeneità non sia realizzabile.
Quando poi nessuno degli eredi abbia utilmente formulato istanza di attribuzione dei beni relitti (non comodamente divisibile in natura), si impone quale unica modalità divisionale la vendita all'incanto dei cespiti, per poter distribuire il ricavato tra le parti.
Quanto alla stima dei beni da dividere essa – osserva ancora l'adito Tribunale - deve effettuarsi al momento della divisione, in base al loro valore venale, cioè di mercato.
Precisamente, per consolidato orientamento giurisprudenziale, la stima dei beni per la formazione delle quote nella divisione, a norma dell'articolo 726 c.c., deve farsi con riferimento al loro stato e valore venale al tempo della divisione stessa. La scelta del criterio tecnico da adottare per determinare il valore dei beni che formano oggetto della divisione rientra nel potere esclusivo del Giudice del merito, salvo il limite di una motivazione adeguata e scevra da vizi logici.
Quanto al regime delle spese ove di faccia riferimento alle poste rientranti nella nozione di "pesi ereditari", allora le stesse devono essere sostenute pro quota da tutti i coeredi, con la conseguenza che coloro i quali hanno affrontato per intero le relative spese hanno diritto al rimborso nei confronti degli altri obbligati.
Così le spese per le onoranze funebri sono da comprendere tra i pesi ereditari, cioè tra quegli oneri che sorgono in conseguenza dell'apertura della successione e, pur dovendo essere distinti dai debiti ereditari - ossia dai debiti esistenti in capo al de cuius e che si trasmettono, con il patrimonio del medesimo, a coloro che gli succedono per legge o per testamento - gravano sugli eredi per effetto dell'acquisto dell'eredità, concorrendo a costituire il passivo ereditario, che è composto sia dai debiti del defunto sia dai debiti dell'eredità; ne consegue che colui che ha anticipato tali spese ha diritto di ottenerne il rimborso dagli eredi, sempre che non si tratti di spese eccessive sostenute contro la volontà espressa dai medesimi.
Infine le spese relative a tali procedimenti, essendo gli atti compiuti nell'interesse comune di tutti i condividenti, gravano sempre sulla massa, restando, peraltro, salva l'applicazione delle regole generali solo per le spese di quegli altri atti che non ineriscono direttamente alla divisione, essendo riferibili, invece, ad ingiustificate pretese o ad infondate resistenze di taluna delle parti litiganti.
• Tribunale di Palermo, sezione II, sentenza 14 luglio 2022 n. 3149
Mediazione civile, si va verso l'approvazione dei "correttivi"
di Marco Marinaro - Docente di Giustizia sostenibile e ADR - Dipartimento di Giurisprudenza Università LuissGuido Carli - Roma