Penale

Truffa per l'ex collaboratore di studio che si finge avvocato

Per la Cassazione, sentenza n. 3111 depositata oggi, non scatta invece l'esercizio abusivo in assenza di attività tipiche riservate al legale

di Franceso Machina Grifeo

Truffa e non esercizio abusivo della professione per l'ex collaboratore dello studio legale che continui a fare riunioni con i clienti al fine di incassare parcelle ma senza compiere attività tipiche dell'avvocato. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 3111 depositata oggi, accogliendo, sotto questo profilo, il ricorso di un uomo condannato dalla Corte d'appello di Catania sia per il reato di truffa aggravata che per esercizio abusivo della professione.

Proposto ricorso, l'imputato ha, tra l'altro, sostenuto la violazione e falsa applicazione dell'articolo 348 cod. pen. in ordine alla sussistenza dell'esercizio abusivo della professione, dal momento che l'attività defensionale era stata svolta unicamente dal titolare dello studio, legittimato da valide procure alle liti, "ed essendo l'attività del ricorrente limitata a coadiuvare, in modo del tutto strumentale, detto legale, in assenza del compimento degli atti tipici della professione forense".

Una tesi accolta dalla II Sezione penale che ricorda come dalla lettura delle sentenze di merito emerge che la condotta di esercizio abusivo viene individuata nell'aver simulato la professione di avvocato. In particolare, l'imputato, "simulandosi avvocato e associato allo studio legale e approfittando dell'esistenza di mandati professionali che le persone offese avevano in precedenza conferito al suddetto legale, continuava ad accreditarsi come avvocato nonostante la collaborazione fosse cessata, tenendo i rapporti con i clienti, organizzando periodiche riunioni, in cui fingeva di ragguagliarli sullo stato di avanzamento dei rispettivi procedimenti e avanzava continue richieste di denaro". È invece sempre stato escluso che egli abbia intentato le cause per le quali si è fatto pagare.

"Pertanto – prosegue la decisione - , pur potendo la fattispecie in esame comprendere anche gli atti professionali non strettamente riservati, ma anche quelli caratteristici, strumentalmente connessi ai primi, a condizione che vengano compiuti in modo continuativo e professionale, occorre pur sempre che siano espressione di esercizio della professione".

Nel caso specifico, invece, gli atti di carattere strumentale indicati a corredo della condotta di avvocato - consulenza, attività informativa, riunioni con i clienti - risultano caratterizzati "da falsa rappresentazione, costituendo l'ennesimo artifizio posto in essere dall'imputato per avvalorare il raggiro inizialmente realizzato al fine di ottenere continui indebiti versamenti".

Il disvalore del fatto, dunque – argomenta ancora la Cassazione -, è unicamente accentrato sulla truffa, di cui ricorrono gli elementi costitutivi. "L'esercizio abusivo, infatti, punisce il colpevole non per essersi comportato da avvocato, ma per avere esercitato quelle prerogative che a detta professione sono riferibili".

Tale conclusione, del resto – chiosa la Corte - è aderente all'oggettività giuridica della fattispecie costituita dall'interesse pubblico a che determinate attività non vengano svolte da soggetti privi della necessaria idoneità.

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