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Truffe sul 110%, sì al sequestro dei crediti ceduti alla banca

La Cassazione con tre sentenze si pronuncia per la prima volta sul tema: legittime le misure cautelari anche verso i cessionari in buona fede

di Giuseppe Latour e Giovanni Negri

Sì al sequestro preventivo nei confronti degli intermediari finanziari nei procedimenti penali aperti contro le truffe sul superbonus del 110 per cento. La Cassazione, con una raffica di sentenze depositate venerdì 28 ottobre, tutte della Terza sezione penale, (le numero 40866, 40867, 40869) chiarisce la legittimità del provvedimento cautelare, al quale è riconosciuta una finalità dichiaratamente impeditiva, quella cioè di evitare che le conseguenze del reato si possano aggravare. Non si tratta invece della surrettizia introduzione di un sequestro per equivalente, visto che i crediti, oggi comunque caratterizzati da un codice identificativo, sono sempre stati individuati in maniera puntuale nel corso dell’attività d’indagine.

Per la Cassazione, i crediti sequestrati devono essere considerati come elementi direttamente collegati all’(asserito) reato: non può infatti essere accolta la tesi delle difese, presentate nei rispettivi procedimenti, per cui, una volta esercitata la scelta per la cessione del credito, e dunque avendo l’originario beneficiario rinunciato all’originario diritto alla detrazione, il credito stesso sorgerebbe nei confronti del cessionario a titolo originario, privo cioè di qualsiasi vizio che avesse compromesso il diritto alla detrazione.

Con una puntuale lettura delle norme, sin dall’istituzione del bonus nel 2020 con il decreto legge n. 34, la Cassazione sottolinea come il meccanismo del 110% è stato costruito su percorsi alternativi, ma collegati nei presupposti e con il medesimo obiettivo di agevolare gli interventi ritenuti meritevoli. All’utilizzo diretto della detrazione fiscale si sono aggiunte altre due possibilità: lo sconto in fattura e la cessione di un credito d’imposta pari all’ammontare a istituti di credito e intermediari finanziari, al netto delle successive e ulteriori cessioni o utilizzo in compensazione con debiti erariali.

Queste due ulteriori opzioni sono, ricostruisce la Corte, derivazioni dirette della detrazione originaria, per ottenere un’immediata monetizzazione del proprio diritto , senza dovere attendere il canonico periodo di cinque anni. «Non si riscontra dunque - si legge in uno dei passaggi centrali delle diverse pronunce -, l’estinzione di un diritto alla detrazione (in capo al beneficiario) e la contestuale costituzione ex nihilo di un credito (in capo al cessionario), come sostenuto dalla ricorrente, nè un fenomeno novativo di sorta, ma soltanto l’evoluzione, non la sostituzione, del primo al secondo, espediente tecnico necessario per consentire quella cessione a terzi ritenuta dal legislatore un fattore ulteriormente incentivante la procedura e, dunque, uno strumento ancora più utile per la ripresa economica del Paese, fiaccato dalla pandemia».

E che si tratti di cessione di un credito già esistente e non di una vicenda di estinzione e costitituzione di una nuova posizione, ricorda la pronuncia, è confermato anche dall’evoluzione normativa, in particolare dal decreto legge n. 4 del 2022 dove l’articolo 28 conferma il carattere derivativo dell’istituto.

A una diversa conclusione non si può arrivare valorizzando quella parte del decreto legge 34/2020 (articolo 121 commi 4, 5 e 6) riguardante le conseguenze sul pianto tributario del riscontro di irregolarità per virarla in chiave di esonero da conseguenze penali per i cessionari. Ora, infatti, ricorda la Cassazione, anche ammettendo un perimetro di applicazione più ampio delle disposizioni, non ristretto a quello solo fiscale, non è stata affatto introdotta con quelle misure una disciplina in deroga a quella ordinaria penale, con riferimento specifico al sequestro preventivo.

Il sequestro infatti intende colpire, puntualizza la sentenza, il collegamento tra il reato e la cosa e non tra il reato e il suo autore. Tanto che la misura cautelare può colpire anche le cose in proprietà di un terzo in buona fede ed estraneo all’illecito.

E anche le modifiche nel frattempo intervenute in tema di responsabilità solidale (che ora si configura solo in caso di dolo o colpa grave) sembrano irrilevanti: le decisioni, infatti, escludono esplicitamente ogni possibile impatto del comma 6 dell’articolo 121, quello che disciplina proprio la responsabilità solidale tra cedente e cessionario. Anzi, il fatto che il cessionario possa essere chiamato a rispondere solidalmente, in caso di concorso, conferma per i giudici il collegamento evidente tra detrazione e credito di imposta. Blindando l’orientamento della Cassazione.

Per rendere questi crediti insensibili rispetto alla misura cautelare penale, ricordano i giudici, servirebbe «una previsione espressa», che non si trova in nessuna delle norme approvate nel corso dell’ultimo anno che, non a caso, le sentenze passano in rassegna.

Le stesse indicazioni date dall’agenzia delle Entrate nei mesi scorsi vanno in questa stessa direzione. La circolare 23/E, citata dalla Cassazione, spiega infatti che in caso di utilizzo in compensazione di crediti di imposta inesistenti, interessati da un dissequestro, gli organi di controllo possono procedere a contestare le violazioni e le indebite compensazioni effettuate.

Allo stesso modo, il direttore dell’agenzia delle Entrate, in audizione in Senato a febbraio, ha detto che «in caso di sequestro di crediti inesistenti da parte dell’autorità giudiziaria, in quanto cose pertinenti al reato, tali crediti diventano inutilizzabili dal terzo cessionario, anche in buona fede».

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