Un altro Pride Month si è concluso: la comunicazione aziendale e degli studi dal washing all’hushing
Le complessità e le contraddizioni nella comunicazione delle aziende e degli studi legali su temi sociali e ambientali
Il Pride Month 2024 si è concluso lo scorso venerdì in Italia , segnando un mese di celebrazioni, riflessioni e battaglie per i diritti della comunità LGBTQ+. Questo periodo ha visto numerosi eventi, manifestazioni e iniziative in tutto il Paese, con un forte impegno da parte delle associazioni e della società civile per promuovere l’uguaglianza e l’inclusione. Mentre ci avviamo alla chiusura di questo mese significativo, è fondamentale riflettere sui progressi fatti e sulle sfide ancora da affrontare. In questo contesto, emergono fenomeni come il rainbow washing e il greenhushing , che evidenziano le complessità e le contraddizioni nella comunicazione delle aziende e degli studi legali su temi sociali e ambientali.
Il rainbowwashing si riferisce all’uso opportunistico dei colori dell’arcobaleno per dimostrare supporto alla comunità LGBTQ+, senza un reale impegno sottostante. Questo tipo di marketing superficiale, utilizzato soprattutto durante il mese del Pride, punta a guadagnare credibilità e favori dai consumatori, ma spesso manca di azioni concrete a sostegno della causa.
Oggi, in campo c’è un’altra pericolosa opzione: quella di tacere. Dopo gli anni segnati dal boom del washing in tutte le sue declinazioni, ora il rischio per i mercati è legato alle pratiche di hushing, termine inglese che significa “ stare zitti ”. Il termine, nella sua versione greenhushing , è stato coniato dalla società di consulenza Tree Hugger , che ha notato come molte realtà siano sempre più restie a condividere politiche e iniziative sostenibili. Il silenzio è scelto soprattutto dalle imprese più piccole che attivano meccanismi di difesa.
La paura principale è quella di incorrere in errori che potrebbero avere implicazioni non solo sulla loro reputazione, ma anche su fronti legali, specie con l’inasprirsi delle normative ambientali. Una sorta di difesa preventiva contro le accuse di greenwashing che potrebbe attirare critiche sia dai consumatori sia dalle autorità di regolamentazione.
A certificarlo sono i dati pubblicati su Il Sole 24 Ore nell’articolo a firma di Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano: secondo l’ultimo rapporto “ Net zero and beyond ” promosso dalla società svizzera di consulenza finanziaria South Pole, un’azienda su quattro non parla dei propri obiettivi di sostenibilità. Precisamente il 24% su un campione di 1.200 compagnie private attive in 12 Paesi nel mondo e in rappresentanza di 15 settori differenti. Per quasi la metà degli intervistati, comunicare i propri obiettivi climatici è diventato più difficile (44%), mentre più della metà sta diminuendo le comunicazioni (58%). La preoccupazione si intensifica soprattutto tra le quotate: in questo caso, il 70% delle società collocate in Borsa ammettono di intraprendere percorsi di greenhushing. Tuttavia, la stessa ricerca sottolinea come i budget associati alle politiche di abbassamento o annullamento dell’impatto ambientale siano incrementati nell’86% dei casi. Si fa, ma non si dice.
Entrambi i fenomeni evidenziano la complessità della comunicazione aziendale in ambito sociale e ambientale. Mentre il rainbow washing sfrutta il Pride Month per scopi commerciali, il greenhushing riflette una prudenza eccessiva che limita la trasparenza e la fiducia nei confronti delle aziende. Per promuovere una vera sostenibilità e inclusività, le imprese devono impegnarsi in azioni concrete e comunicare con trasparenza, evitando il rischio di essere percepite come insincere o opportuniste.
La sostenibilità sta infatti diventando sempre di più un fattore che può condizionare la scelta d’acquisto: diverse ricerche hanno evidenziato che oggi i consumatori comprano prodotti o servizi anche per i valori dell’organizzazione che li propone. Naturalmente, più aumentano le campagne che valorizzano l’impegno delle aziende, più crescono i casi di washing, in particolare di social washing e, proprio nel mese del Pride, di rainbow washing.
Come ci ricorda Rossella Sobrero nel suo ultimo libro “ Pericolo socialwashing ”, comunicare valori, strategie, impegni non è facile e quindi aumenta il rischio di proporre un messaggio sbagliato. L’importante è non cedere all’improvvisazione e, per cercare di non fare errori, valutare bene prima di decidere “cosa” comunicare e non solo “come” comunicare: una riflessione che deve riguardare i contenuti, le parole, le immagini, gli strumenti, i tempi, e gli investimenti utili per realizzare una comunicazione efficace. I rischi aumentano se chi comunica non ha competenze adeguate. Bisogna saper comunicare l’impegno dell’impresa in modo chiaro perché le persone vogliono saperne di più, per esempio, sulla gestione della catena di fornitura o sulla correttezza del processo produttivo. La vera sfida per chi deve raccontare la sostenibilità di un’organizzazione è riuscire a comunicare in modo nuovo e sempre più efficace valori, ma soprattutto azioni concrete.
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*A cura di Valeria Cavallo, Marketing & Communication Manager Deloitte Legal