Un’impresa vive ancora per 5 anni
Si esporrebbe a illegittimità costituzionale la disciplina normativa che differisce gli effetti dell’estinzione societaria ai soli fini fiscali di cinque anni dalla cancellazione dal registro delle Imprese.
La Ctp di Benevento, con ordinanza 142 /2019 (Gazzetta ufficiale 39/2019), ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 28, Dlgs 175/14, per violazione degli articoli 3 e 76 della Costituzione.
La norma è nata dalla necessità del legislatore di evitare che le azioni di recupero poste in essere dagli enti creditori, che perseguono l’interesse fiscale, possano essere vanificate dall’estinzione della società.
L’articolo 28, citato, prevede che, ai soli fini della liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni, interessi, l’estinzione della società (articolo 2495 Codice civile) ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese.
Ad avviso del giudice remittente la disposizione citata integrerebbe una violazione del principio di uguaglianza tra l’amministrazione finanziaria e tutti gli altri creditori sociali e il mancato rispetto dei limiti fissati dalla legge delega 23/14.
La questione appare mal posta, perché, nello specifico, la norma non fa rivivere la società estinta, ma differisce di cinque anni gli effetti dell’estinzione della società decorrenti dalla “richiesta” di cancellazione dal registro delle Imprese.
La norma del comma 4° dell’articolo 28, così com’è scritta oggi, determina una sospensione degli effetti dell’estinzione della società, di capitali o di persone, per cinque anni decorrenti dalla richiesta di cancellazione dal registro Imprese. Tale differimento è limitato al settore tributario e contributivo.
In generale, non esiste un principio di parità di trattamento tra lo Stato-creditore sociale e gli altri creditori privati, per cui il credito fiscale, correttamente inteso come interesse fiscale, debba ricevere il medesimo trattamento di qualsiasi altro interesse creditorio.
È ben noto che l’interesse fiscale, come interesse che è condizione di vita per la comunità, si distingue nettamente dall’interesse fiscalistico, inteso come esigenza dell’Amministrazione di fare cassa e, rendendo possibile il regolare funzionamento dei servizi, è protetto dalla Costituzione.
La razionalizzazione del diritto tributario, in termini coerenti con l’ordinamento unitario, presuppone lo studio e lo sviluppo della relazione tra norma costituzionale e norma ordinaria tributaria.
Il caso in esame è interessante provocazione alla riflessione sull’esigenza di razionalizzazione normativa ispirata al contemperamento tra interesse fiscale, come interesse costituzionalmente garantito alla riscossione delle imposte, e tutela del diritto del contribuente ad essere tassato secondo la legge.
La disciplina normativa, in coerenza con i parametri costituzionali, discende dall’unità concettuale dell’obbligazione che costituisce il medio logico per impostare anche l’indagine a cui chiama la Ctp di Benevento: nell’obbligazione tributaria ciò che varia è la previsione della fattispecie impositiva come causa propria dell’obbligazione cui si correlano le modalità di attuazione del prelievo tipizzate ex lege per garantire la certezza della riscossione quale funzione pubblica.
Le deroghe al diritto comune devono sempre porsi entro limiti costituzionalmente ragionevoli.
La norma scrutinata differisce di cinque anni gli effetti dell’estinzione della società nei soli confronti dell’Amministrazione e degli altri enti creditori o di riscossione; è funzionale all’attuazione dell’interesse fiscale costituzionalmente rilevante.
Tale interesse fiscale non è sacrificabile alle scelte privatistiche che, mentre non possono intervenire sulla vita della persona fisica, possono intervenire strumentalmente sulla vita della persona giuridica per sottrarla all’adempimento dei suoi obblighi tributari.
L’estinzione della società, derivante da cancellazione “su richiesta” del privato (e non d’ufficio), non può far venir meno la validità ed efficacia degli atti tributari. Diversamente, il privato, a suo piacimento, può decidere di sottrarsi in qualsiasi momento all’adempimento degli obblighi tributari.
Più che la Corte, sarà il legislatore a dover intervenire sulla norma, chiarendo, anche testualmente, il suo carattere procedurale e la sua – pur implicita – estensione a tutte le società, sia di persone che di capitali.