Responsabilità

Una nuova funzione per la clausola penale?

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di Lorenzo Finato*

Le recenti pronunce del giudice nazionale, pur riconoscendo l’apertura del nostro ordinamento alla concezione punitiva del risarcimento del danno, non hanno determinato, come sostenuto da taluni operatori, un ripensamento della funzione della penale.

La “recente” sentenza a sezioni unite della Corte di Cassazione nr. 16601 del 5 luglio 2017, sulla scorta della nuova nozione di ordine pubblico europeo e dell’ammissibilità dello strumento dei “punitive damages, sembrava, a detta di molti, aver aperto le porte del nostro ordinamento a un ripensamento non solo della funzione del risarcimento del danno (non più unicamente con finalità compensativa, ma anche punitiva), ma anche a quella della stessa clausola penale.

In questo senso i sostenitori di tale riponderazione della funzione della penale, muovendo dalla comune natura tra penale e risarcimento del danno, sostengono che il già citato mutamento di funzione del risarcimento del danno implichi necessariamente anche l’evoluzione della stessa funzione ultima della clausola penale. Non più solo strumento di rafforzamento del vincolo contrattuale, ma anche strumento di deterrenza e punizione, ritenendosi ammissibile per l’effetto una clausola con il contenuto tipico della penale, ma totalmente svincolata dalla presenza di un pregiudizio (anche solo presunto) da ristorare in capo al beneficiario della clausola penale stessa e con il fine ultimo non celato di orientamento e correzione delle condotte ritenute lontane dallo standard legale. Nozione questa assolutamente sovrapponibile a quella dei “punitive damages conosciuta ed elaborata con costanza dalla giurisprudenza di common law fin dal primo precedente in materia nel caso Huckle vs Money (KB 1763)95 Eng Rep 768), dove è stato stabilito che il risarcimento del danno “not only compensated the plaintiff for harms such as mental suffering, wounded dignity, and injured feelings, but also served the purpose of punishing the defendant for egregious misconduct”.

Ebbene, sostengono i fautori di tale orientamento, se l’istituto dei “punitive damages” è ritenuto ammissibile dal nostro ordinamento a seguito della già citata pronuncia delle sezioni unite (a condizione però della precisa perimetrazione della fattispecie, leggasi “tipicità” e puntualizzazione dei limiti quantitativi delle condanne irrogabili, leggasi “prevedibilità”), anche la funzione risarcitoria, sottesa alla clausola penale, potrà svolgere diverse finalità: da quella compensativa tipica e consolidata, a quella punitiva e deterrente, laddove venga irrogata in assenza di pregiudizio.

I recenti pronunciamenti della giurisprudenza non sono però di questo avviso.

Le ultime statuizioni dei giudici di merito e anche di legittimità (da ultimo Cass. Civ., sez. II, 12/04/2024 n. 10014), pur dando continuità all’idea di uno strumento risarcitorio con finalità “polifunzionale, usando le parole delle stesse sezioni unite, non hanno però ritenuto di dare accesso a un ripensamento anche della stessa funzione della clausola penale, il cui scopo ultimo rimane sempre quello compensativo, ossia di “definire in anticipo e di vincolare la riparazione dovuta al creditore, così rafforzando la posizione creditoria”.

Meglio alcuni giudici di merito (su tutti Trib. Pavia, 27/04/2022, n. 580), in aperto contrasto con le sezioni unite, sono arrivati perfino a sottolineare esplicitamente l’incompatibilità tra i “punitive damages” e la stessa clausola penale, che per sua natura “non ha (e non può avere) natura e finalità sanzionatoria” alla luce della sua tendenziale natura compensativa.

Tale funzione è resa esplicita e motivata sulla base della centralità del potere - dovere del giudice di riduzione a equità della penale eccessiva di cui all’art 1384 c.c.. Indice questo, ma anche strumento dell’ordinamento, per garantire che l’importo irrogato con la penale debba essere sempre ancorato e parametrato (in una logica di proporzionalità) al pregiudizio patito, o che si presume venga patito dal beneficiario della clausola, evitando in questo modo che l’applicazione della penale si traduca in uno strumento di pena per il debitore, e di indebito arricchimento per il creditore.

Questo anche alla luce della ritrosia del nostro sistema giuridico ad affidare strumenti con funzioni e natura sanzionatoria e coercitiva, tanto nell’an tanto nel quantum, nelle mani dei privati, essendo l’esercizio di siffatti poteri affidato allo Stato e presidiato dal necessario rispetto del principio di legalità di cui agli artt. 23 e 25 della Costituzione.

Principi e considerazioni queste non solo già conosciute e ribadite, come s’è visto, anche recentemente, dal nostro sistema giuridico, ma patrimonio comune degli ordinamenti giuridici esteri sia di tradizione di civil law, sia di common law.

Rispetto ai primi esemplificativo è il caso dell’ormai risalente risoluzione del Consiglio d’Europa nr. 78(3) del 1978, punto d’avvio del processo di armonizzazione nell’applicazione della clausola penale, nella quale, tra le altre, veniva suggerita la previsione e l’applicazione (art. 7) di strumenti finalizzati alla riduzione della penalemanifestly excessive”.

Ipotesi questa riscontrabile quando l’ammontare oggetto di condanna è totalmente slegato dal pregiudizio patito e patendo (art. 1152 Code Civil francese) e/o dagli interessi del creditore alla corretta esecuzione della prestazione (sezione nr. 343 del BGB tedesco).

Valori questi condivisi anche dagli ordinamenti di common law, a partire dalla nota sentenza Dunlop Pneumatic Tyre Co Ltd v New Garage and Motor Co Ltd [1915] AC 79, 86-87 della House of Lords inglese, dov’è ormai pacifica e indiscussa la distinzione tra liquidated damages e penalties.

Con i primi che hanno la funzione di predeterminare il risarcimento del danno in ipotesi di inadempimento contrattuale, quindi con funzione compensativa del pregiudizio patito – patendo, purché l’ammontare sia “ragionevole”. Le seconde, invece, vietate dall’ordinamento, giacchè contraddistinte per un ammontare oggetto di condanna spropositato, in quanto non indicizzate rispetto al pregiudizio patito e traducentesi appunto in una pena. Vengono sanzionate dall’ordinamento con l’obbligo per la parte beneficiaria della clausola di dover allegare il concreto pregiudizio patito, senza poter beneficiare della predeterminazione del risarcimento.

Proprio l’indissolubilità del legame tra clausola penale e sua funzione compensativa, oltre alla diffidenza nel far dipendere l’applicazione di poteri coercitivi – sanzionatori all’autonomia dei privati, principi comuni e condivisi agli ordinamenti di tradizione di civil law e di common law, impediscono una riponderazione delle funzioni tipiche della clausola penale, imponendo alle parti contrattuali (in primis) e agli operatori del diritto, nella fase attuativa, di prestare grande attenzione alla costruzione della clausola penale e soprattutto a parametrarne l’ammontare in modo ponderato, sempre in funzione di un pregiudizio ragionevolmente riscontrabile.

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*Lorenzo Finato, Senior Associate, Avvocato, Rödl & Partner Italia

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