Società

Viola il divieto di concorrenza il socio che disdica il contratto di agenzia e lo assuma in proprio trasferendo anche i clienti

Nota all'ordinanza del 28 luglio 2023, n. 23010

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di Antonio Martini, Ilaria Canepa , Alessandro Botti, e Arianna Trentino *

La Corte di Cassazione, con ordinanza 28 luglio 2023, n. 23010, ha stabilito che, ai sensi dell'art. 2301 c.c., integra attività di concorrenza illecita, rilevante ai fini dell'azione di responsabilità per i danni cagionati alla società, la condotta dell'accomandatario di una società di persone, titolare di rapporto di agenzia di assicurazioni, allorché egli, dopo aver disdetto a nome della società il contratto di agenzia da essa intrattenuto, lo abbia poi assunto in proprio, procurando il trasferimento del portafoglio in capo ad una nuova società a lui riferibile, senza che il legittimo recesso dell'unico accomandatario, titolare del requisito della iscrizione all'albo degli agenti di assicurazione, possa in sé escludere l'esistenza di un danno, solo perché valido ed efficace; la quantificazione del danno, così cagionato, va accertata dal giudice del merito, anche a mezzo di c.t.u., secondo i metodi di valutazione del reddito aziendale prospettico, tenuto conto della differenza fra l'ammontare complessivo dei mancati ricavi e quello dei costi non sostenuti, che la società avrebbe conseguito o sopportato, in mancanza della condotta di illecita concorrenza.

La decisione in esame si colloca nell'ambito di un giudizio instaurato da una società in accomandita semplice, avente ad oggetto l'attività di assicurazione, nei confronti dell'ex socio accomandatario, al fine di ottenere la condanna al risarcimento del danno patito in ragione della violazione da parte del convenuto degli obblighi di corretta gestione per il raggiungimento dell'interesse sociale. In particolare, il socio accomandatario aveva esercitato nel marzo del 2001 il proprio diritto di recesso, divenuto efficace un anno dopo, nel marzo 2002, come previsto dall'atto costitutivo. Nel contempo, tuttavia, il socio uscente aveva costituito un'altra s.a.s. avente ad oggetto l'esercizio della medesima attività assicurativa alla quale aveva trasferito l'intero portafoglio clienti della società da cui era uscito.

Il Tribunale di Torre Annunziata e la Corte di Appello di Napoli aditi avevano accertato l'illiceità delle condotte poste in essere dal convenuto, concludendo tuttavia per il rigetto della domanda attorea ritenendo non dimostrato il danno. Ad avviso dei giudici di merito, invero, all'interno della società attrice, il socio accomandatario convenuto era il solo soggetto dotato dei titoli necessari per il conseguimento dell'oggetto sociale, essendo iscritto all'albo degli agenti di assicurazione, con la conseguenza che il suo recesso avrebbe determinato la risoluzione del contratto di agenzia e la perdita del portafoglio clienti.

Il pregiudizio causato dall'ex socio, pertanto, avrebbe potuto riguardare al più il periodo intercorrente tra la comunicazione del recesso (marzo 2001) e quello della sua efficacia (marzo 2002), in quanto solo in relazione a tale periodo sussisterebbe la violazione degli obblighi di corretta gestione e di astensione dall'attività in concorrenza. Nondimeno, dopo aver analizzato i bilanci degli anni in questione, i giudici di primo e secondo grado avevano escluso in concreto la sussistenza di un danno per la società.

Avverso la sentenza di appello, la società attrice proponeva ricorso per cassazione. La Suprema Corte, sul punto, ha evidenziato come i rapporti tra i soci e la società debbano essere improntati al rispetto del principio di buona fede e correttezza di cui il divieto di concorrenza rappresenta una declinazione.

Nella specie viene in rilievo la norma di cui all'art. 2301 c.c., applicabile anche alle società in accomandita semplice, in base alla quale il socio non può, salvo il consenso degli altri soci, esercitare per conto proprio o altrui una attività concorrente con quella della società, né partecipare come socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente.

La disposizione richiamata, inoltre, stabilisce che il consenso si presume, se l'esercizio dell'attività o la partecipazione ad altra società preesisteva al contratto sociale e gli altri soci ne erano a conoscenza, e, in caso d' inosservanza del divieto, attribuisce alla società il diritto di chiedere il risarcimento dei danni, nonché di escludere il socio inadempiente. Ad avviso della Suprema Corte, in relazione al caso in esame, integra attività di concorrenza illecita la condotta del socio accomandatario di una società – titolare del rapporto di agenzia di assicurazioni – che, dopo aver disdetto a nome della società detto rapporto, lo abbia assunto in proprio.

La quantificazione di un siffatto danno deve essere accertata dal giudice di merito calcolando la differenza tra l'ammontare dei mancati ricavi che la società avrebbe ottenuto e dei costi non sostenuti che, invece, avrebbe dovuto sostenere.

I giudici del merito hanno quindi errato nel ritenere che l'attività illecita posta in essere dall'ex socio accomandatario sia limitata al periodo di sospensione dell'efficacia del recesso e che il danno debba essere circoscritto sino al momento di (efficacia del) recesso medesimo. E' vero, infatti, che il recesso ha avuto effetto dopo un anno, tuttavia, immediatamente dopo la sua comunicazione alla società, il recedente ha curato di esercitare la medesima attività di agenzia assicurativa a mezzo di una propria diversa società senza lasciare nemmeno il tempo alla precedente compagine societaria, titolare legittima del rapporto di agenzia predetto, di conservare in capo a sé il relativo portafoglio clienti.

Sulla base di tali rilievi, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dalla società, cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d'Appello.

Avv. Antonio Martini, partner, avv. Ilaria Canepa e Alessandro Botti, dott.ssa Arianna Trentino – Studio Legale e Tributario CBA

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