Penale

Pedopornografia per l'allenatore che filma i ragazzi nello spogliatoio

Francesco Machina Grifeo

Scatta il reato di produzione, e poi detenzione, di materiale pedopornografico per l'allenatore della squadra di calcio dilettantistica che riprende di nascosto le parti intime dei ragazzi, in questo caso minori di 14 anni, mentre si trovano negli spogliatoi, e poi lo archivia su hard disk esterni al pc. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 42964/2015, chiarendo che non conta il fatto che le vittime fossero del tutto inconsapevoli di essere filmate.

Il caso
- L'allenatore, condannato a 3 anni e mezzo, con l'aggravante di essere la persona cui i minori erano stati affidati, si era difeso negando la natura «pedopornografica» della riprese in quanto non contenevano alcun atteggiamento di natura «sessuale», né postulavano alcun coinvolgimento attivo dei minori. Inoltre, l'assenza di programmi di file sharing sul suo computer doveva ritenersi elemento sufficiente ad escludere il pericolo di diffusione delle immagini.

La nuova norma - I fatti contestati risalgono al 2011, dunque la Suprema corte ricorda che non trova applicazione la disciplina «più rigorosa» introdotta dalla legge 172/2012, in esecuzione della Convenzione di Lanzarote del 2007, che ha aggiunto un comma all'articolo 600-ter del codice penale. Dotandolo di quella definizione del reato che il legislatore non aveva voluto fornire nella precedente formulazione della norma, lasciando la valutazione caso per caso all'interprete. Ad oggi dunque per pornografia minorile deve intendersi «ogni rappresentazione, con qualunque mezzo di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali». La fattispecie è più stringente, spiega la sentenza, «perché, pur essendo temperata dal riferimento agli “scopi sessuali”» ricomprende nel concetto di pedopornografia anche la sola rappresentazione degli organi sessuali e non più «l'esibizione lasciva degli stessi». Un elemento quest'ultimo che, invece, secondo la Cassazione, aveva fatto da spartiacque. In particolare, e per assicurare alla norma penale la necessaria «determinatezza», si richiedeva sempre «una connotazione esplicitamente sessuale» delle immagini.

Il ragionamento - E tuttavia per i giudici il materiale pornografico sequestrato, costituito da fotografie e film, è comunque «connotato dal carattere lascivo dell'esibizione dei genitali o della zona pubica o dalla rappresentazione di atteggiamenti sessualmente allusivi». In quanto da esso «emerge una paziente e impegnata ricerca dei momenti in cui i ragazzi assumono posizioni che si concretizzano in atteggiamenti lascivi ed eroticamente eccitanti, pur se non volontariamente assunti dalle giovani vittime».

Del resto, come detto, la definizione di pedopornografia non richiede i requisiti della «consapevolezza del soggetto passivo, dell'interazione di questo con il soggetto attivo, o dell'assunzione volontaria di pose eroticamente eccitanti, essendo la stessa ancorata strettamente al solo dato oggettivo». Anche a prescindere, dunque, «dalle motivazioni o dall'eccitazione sessuale del soggetto attivo». Infine, riguardo al requisito della «esibizione», non è necessaria l'effettiva diffusione del materiale ma è sufficiente la sua «possibilità», e senza dubbio l'archiviazione su di un hard disk esterno si presta a tale evenienza.

Corte di cassazione - Sezione III penale - Sentenza 26 ottobre 2015 n. 42964

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