Penale

Compravendita senatori, Berlusconi prescritto per corruzione impropria

La Cassazione con la sentenza 40347 depositata ieri (la decisione è del 2 luglio scorso) ha rigettato il ricorso di Silvio Berlusconi contro l'assoluzione per intervenuta prescrizione dal reato di corruzione nei confronti del senatore Sergio De Gregorio pronunciata dalla Corte di appello di Napoli il 20 aprile 2017. Al centro dello scambio la compravendita di voti con la finalità di far cadere il governo Prodi. Il leader di Forza Italia (assistito dagli avvocati Niccolò Ghedini e Michele Cerabona) aveva chiesto l'assoluzione sulla base del fatto che l'attività parlamentare è insindacabile e coperta da immunità. La Suprema Corte ha confermato la prescrizione e riqualificato il fatto (come richiesto dal Pg. Luigi Orsi) nel meno grave reato di «corruzione impropria» ex articolo 318 c.p. nel testo antecedente la legge 190/2012. Al termine di un lungo ragionamento (la decisione è di 78 pagine) la Cassazione afferma infatti che «nei confronti del parlamentare non è mai configurabile il reato di corruzione propria (per atto contrario ai doveri di ufficio), antecedente e/o susseguente, previsto dall'art. 319 c.p., ostandovi il combinato disposto degli artt. 64, 67 e 68 Costituzione». «Al contrario – prosegue la Corte - la configurabilità e la punibilità della condotta di corruzione che coinvolga il parlamentare riposa sul divieto di remunerazione del munus publicum, che esprime il valore della correttezza, quale dovere esterno, e che trova riscontro per ogni soggetto investito di pubbliche funzioni anche nel dovere di svolgerle con onore e disciplina, ai sensi dell'art. 54 Cost». Dunque, la condotta punibile concerne «la frazione esterna rispetto al concreto esercizio delle funzioni, le quali di per sé, prima che insindacabili, devono reputarsi imperscrutabili e, come tali, non sottoponibili ad alcun tipo di qualificazione secondo i parametri del diritto comune». Ciò comporta che la norma penale «viene a colpire una situazione di esposizione a pericolo, incentrata sulla pattuizione in sé, che correla la promessa o l'erogazione del denaro al compimento di attività inerente alla funzione, pur contenutisticamente non classificabile e dunque non qualificabile come contraria ai doveri inerenti all'esercizio delle funzioni».

Sotto questo profilo, continua la decisione, nel giugno 2006, deve «ritenersi avvenuta tra il Berlusconi e l'ex-senatore, una pattuizione, propiziata anche dall'intervento del Lavitola, nella quale, a fronte della promessa e della successiva erogazione della complessiva somma di euro 3.000.000 era stata dedotta l'attività parlamentare del De Gregorio, intesa come pluralità di atti inerenti alla stessa, comprensiva dell'incarico, già assunto, di Presidente della Commissione Difesa, nel presupposto che la stessa concorresse nel suo concreto divenire a realizzare l'aspirazione del Berlusconi a far cadere il Governo Prodi». Ed in tale pattuizione «si annidava di per sé un vulnus all'immagine del parlamentare, essendo essa idonea ad inficiarne la correttezza e a dignità, a fronte dell'indebita retribuzione per tale via riconosciutogli». In questo senso «fermo restando che nessun atto del De Gregorio avrebbe potuto dirsi contrario ai doveri interni, riguardanti il suo ufficio, sta di fatto che la dinamica del patto implicava comunque una correlazione sinallagmatica, tale da poter essere sussunta nella fattispecie di cui all'art. 318 cod. pen., essendo peraltro certo il carattere di corruzione antecedente, avuto riguardo alla prospettiva avuta di mira dal Berlusconi al momento della pattuizione».
Infine, la Cassazione conferma anche le condanne civili («nonostante talune eccedenti affermazioni contenute nelle due sentenze di merito, spintesi ad un sindacato sulla concreta dinamica del voto»), in quanto «non può comunque contestarsi sui piano eziologico l'incidenza della condotta attribuita all'ex-senatore e al privato corruttore sull'immagine dell'Istituzione, all'interno della quale il De Gregorio svolgeva la sua funzione». Anche se poi in sede di concreta quantificazione «dovrà prendersi in considerazione la riqualificazione del fatto, tale da influire anche sulle conseguenze risarcitorie».

Corte di cassazione – Sentenza 11 settembre 2018 n. 40347

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