Penale

Niente riparazione per ingiusta detenzione per chi ha contatti con gruppi terroristici

di Giuseppe Amato

In materia di riparazione per l'ingiusta detenzione, il mostrarsi contigui agli altri componenti del gruppo associato e condividere con questi ultimi le ideologie terroristiche che ne caratterizzano l'attività in forma associata, quantomeno con modalità idonee a rafforzare l'azione delittuosa con finalità terroristiche di matrice religiosa, integra quella colpa grave che esclude il diritto all'indennizzo, ponendosi tale condotta in diretta relazione causale con l'intervento della autorità giudiziaria attraverso l'adozione della cautela. Lo ha precisato la Cassazione con la sentenza n. 6379 del 17 febbraio 2016 relativamente a una fattispecie cui era stata rigettata la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da un cittadino extracomunitario in relazione a un periodo di detenzione carceraria patita per il reato di associazione di terrorismo internazionale di cui all'articolo 270-bis del Cp, da cui poi l'istante era stato assolto dalla Corte di assise «per non avere commesso il fatto».

Le motivazioni dei giudici - La Suprema corte ha ritenuto correttamente e congruamente motivato il diniego, avendo il giudice di merito spiegato come l'interessato, con colpa grave, avesse dato causa al provvedimento cautelare, vuoi in ragione dei plurimi contatti mantenuti con soggetti facenti parte dell'associazione, cui aveva espresso solidarietà e adesione, vuoi con il possesso di vario materiale propagandistico della ideologia radicale islamica.

In tema di riparazione per ingiusta detenzione - Va ricordato, in termini generali, che, in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l'ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.

Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante (e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell'autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di «causa ad effetto» (tra le altre, sezioni Unite, 15 ottobre 2002, ministero del Tesoro in proc. De Benedictis).

Con specifico riguardo, poi, ai reati associativi, si è parimenti stabilito, con affermazione qui calzante, che le frequentazioni con persone coinvolte in traffici illeciti possono essere ritenuta indice di “colpa grave”, ostative all'accoglibilità della richiesta, purché il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità a essere interpretate come indizi di complicità, in relazione al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (sezione III, 1° luglio 2014, Pistorio).

Corte di cassazione – Sezione IV – Sentenza 17 febbraio 2'16 n. 6379

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