Penale

Ergastolo, benefici penitenziari anche al mafioso che non collabora

di Giovanni Negri

La Corte dei diritti dell’uomo affonda l’ergastolo ostativo. Con la decisione presa ieri i giudici di Strasburgo hanno negato l’ammissibilità del ricorso presentato dal governo italiano contro la sentenza del 13 giugno scorso con la quale la Corte aveva stabilito che la disciplina italiana, in particolare l’automatismo che condiziona la concessione dei benefici previsti dall’ordinamento penitenziario alla collaborazione con l’autorità giudiziaria per chi è stato condannato all’ergastolo, contrasta con il diritto a non essere sottoposti trattamenti inumani o degradanti.

Per effetto della pronuncia di ieri, presa dalla Grande Camera, sorta di Corte d’appello, viene negata la possibilità di un nuovo giudizio sul caso di Marcello Viola, in carcere dall’inizio degli anni ’90 anni per associazione mafiosa, omicidio, rapimento e detenzione d’armi. L’uomo si è finora rifiutato di collaborare e gli sono stati quindi negati due permessi premio e la libertà condizionale. Nella sentenza di giugno la Corte spiega che lo Stato non può imporre il carcere a vita ai condannati solo sulla base della loro decisione di non collaborare con la giustizia.

I giudici di Strasburgo ritengono che la scelta di non collaborare non sta a significare necessariamente assenza di un pentimento, tanto meno testimonia la persistenza di un contatto con le organizzazioni criminali e quindi l’esistenza di un pericolo per la società.

Nella sentenza la Corte non afferma peraltro che Viola deve essere liberato, ma che l’Italia deve cambiare la norma sull’ergastolo ostativo in modo che la collaborazione con la giustizia del condannato non sia l’unico elemento che gli impedisce di non avere sconti di pena. Alla magistratura di sorveglianza, cioè, deve essere lasciata la possibilità di valutare il percorso del detenuto lasciando aperta la possibilità di una mitigazione del trattamento punitivo, anche limitando la detenzione.

Il governo però non pare intenzionato a fare marcia indietro, il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, commentando ieri alla Camera il verdetto ha ribadito: «Non condividiamo nella maniera più assoluta questa decisione della Cedu, ne prendiamo atto e faremo valere in tutte le sedi le ragioni del governo italiano e di una scelta che lo Stato ha fatto tanti anni fa: una persona può accedere ai benefici a condizione che collabori con la giustizia».

E la decisone della Grande Camera compatta le forze politiche da Matteo Salvini, «ennesima follia della Corte dei diritti umani», a Piero Grasso, «la pronuncia testimonia una scarsa conoscenza del modello mafioso italiano». Mentre per Giandomenico Caiazza, presidente delle Camere penali, si tratta di «una pagina fondamentale nel recupero di valori che sono nella Convenzione europea e nella nostra Costituzione». Quanto a quest’ultima, peraltro, tra pochi giorni, il 22 ottobre è fissata l’udienza davanti alla Corte costituzionale chiamata dal tribunale di sorveglianza di Perugia a giudicare della legittimità dell’ergastolo ostativo: possibile il contrasto con gli articoli 3, parità di trattamento, e 27, funzione rieducativa della pena, della Costituzione.

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