Professione e Mercato

Professionisti: più opportunità per chi punta verso il Far East

di Valeria Uva

Anche per i giovani professionisti, così come accade per le imprese, guardare all’estero può essere l’antidoto a un mercato dei servizi italiano ancora in fase calante. Sia per chi punta alla scrivania di una grande law firm internazionale sia per chi sceglie di intraprendere, da solo o in studio associato, un percorso di consulenza, legale o fiscale per accompagnare il made in Italy all’estero.

Naturalmente i requisiti e le skill richieste variano a seconda del percorso che si intende intraprendere. L’unica base comune è l’ormai scontata conoscenza dell’inglese (mai sotto il C1, peraltro).

Gli studi legali
Rivolte all’estero per affari e vocazione, le grandi law firm con sede in Italia lavorano ogni giorno con clienti e colleghi esteri. «A tutti i nostri candidati giovani chiediamo una conoscenza del legal english quasi da madre lingua - spiega Luca Picone, managing partner di Hogan Lovells Italia - oltre che una solidissima preparazione nel diritto interno». «Ma - aggiunge - conta molto anche una forma mentis aperta verso altre culture e la capacità di semplificare complesse questioni legali». Anche in Simmons&Simmons si guarda più alle soft skill che alla preparazione tecnica dei giovani candidati.

«Un master all’estero o una laurea in una università prestigiosa può aiutare - afferma Fabio Lanzillotta, chief financial and operating officer - ma quello che più conta per noi è la proattività, il problem solving e la capacità di lavorare sotto stress magari con fusi orari opposti ai nostri». Il reclutamento avviene di solito direttamente nelle Università, anche straniere: ad esempio Hogan Lovells partecipa alle job fair di alcune università americane (Columbia e Nyu, in particolare). La formazione tecnica è poi di solito “interna”: «Spesso offriamo secondment, ovvero un periodo presso le nostre sedi estere» conclude Lanzillotta.

Ma il dialogo con i clienti stranieri può passare anche per le boutique legali. «Per gli studi più piccoli c’è spazio soprattutto fuori dal circuito Roma-Milano» afferma Carlo Mastellone, partner dell’omonimo studio fiorentino, master a Londra nei lontani anni ’70 . «In Toscana - aggiunge - ci sono tanti investimenti stranieri, ora ad esempio pensiamo a quelli indiani verso l’acciaio, così come nostre Pmi che esportano, quindi c’è molto spazio, ad esempio nella contrattualistica o nella tutela dei marchi».

Ai neolaureati o neoabilitati Mastellone consiglia di specializzarsi su un paese: oltre alla già affollata Cina, sempre in Asia promettono il Vietnam o la Corea del Sud. «L’inglese non basta - puntualizza Alberto Vermiglio, presidente dei giovani avvocati di Aiga - occorre fare investimenti sia economici che di tempo e marketing». Lui ha puntato su Cipro: «Dopo sette forum italo-ciprioti e un viaggio al mese verso l’isola, inizio a vedere i primi frutti nel ruolo di of counsel in uno studio locale» racconta.  Strategica per molti giovani professionisti che si sono appena affacciati all’estero è l’abilità di fare rete. «Con i commercialisti, ad esempio, per offrire consulenza a 360 gradi alle imprese» suggerisce Vermiglio.

Le chance per i commercialisti
Guardano soprattutto alle Pmi i commercialisti che si orientano verso i mercati stranieri:  «Sono loro ad avere il commercialista quale interlocutore preferenziale» commenta Alessandro Solidoro, consigliere del Cndcec con delega alle attività internazionali. E sono pensate soprattutto per le Pmi, invitate a partecipare insieme con i commercialisti, le missioni all’estero organizzate ogni anno da Aicec (Associazione per la promozione e lo sviluppo dell’internazionalizzazione delle competenze tecniche di commercialisti ed esperti contabili).

Qui si incontrano realtà locali, Ice e Sace, camere di commercio internazionali, ma si organizzano anche colloqui B2B.Nel 2018 è stata la volta di Sydney («Oltre 100 partecipanti, un successo se si pensa alla lontananza anche geografica» commenta Solidoro).

Quest’anno si va a Hong Kong, Shangai e Pechino. «La Cina è sovraffollata, ma c’è un vero far west della consulenza fiscale e le aziende cercano ancora commercialisti affidabili» commenta Fabio Pessina, tra i primi ad avventurarsi a Shangai da Monza nel lontano 2007 («l’idea me la diede un imprenditore cinese incontrato a S. Siro durante una partita dell’Inter»). Oggi il suo studio conta 8 dipendenti e diversi collaboratori. E prevede: «Ora Vietnam e Thailandia sono la Cina del futuro per i giovani professionisti italiani».

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