Civile

Insider trading, il giudice valuta la proporzionalità delle sanzioni penali e amministrative

Francesco Machina Grifeo

Confermata la condanna per insider trading di un giovane manager di Veneto Banca, che aveva acquistato, e fatto acquistare ad altre tre persone, azioni di Apulia Prontoprestito, tra il 5 ed il 10 ottobre 2011, dopo che era venuto a conoscenza del progetto di un'Opa da parte di Banca Apulia (controllata dalla sua Banca). Considerato però che il manager ha patteggiato una condanna penale a 13 mesi (passata in giudicato), dovranno essere rivalutate dalla Corte di appello di Venezia le sanzioni irrogate dalla Consob, nel 2015, per complessivi 200mila euro. Inoltre, a seguito della sentenza n. 112/2019 della Corte costituzionale che ha bocciato la confisca obbligatoria non solo del "profitto" ma anche del "prodotto" del reato (articolo 4, comma 14, del Dlgs 107/2018), il giudice del rinvio dovrà anche rimodulare la misura reale irrogatagli, scorporandone l'importo riconducibile al "prodotto" della confisca. Lo ha deciso la Corte di cassazione con la sentenza n. 33426 del 17 dicembre 2019.

La Suprema Corte ricorda che la Cgue è intervenuta più volte sulla compatibilità del sistema italiano del cosiddetto doppio binario (sanzionatorio) penale/amministrativo, approdando alla convincimento che non vi è un divieto assoluto ma si deve guardare al «complessivo trattamento sanzionatorio applicato». «Seguendo questo ragionamento - prosegue la decisione -, qualora la sanzione penale irrogata e divenuta definitiva, si dovesse ritenere già proporzionata ai reati commessi in ordine agli stessi fatti su cui è stato intrapreso anche il procedimento sanzionatorio amministrativo, andrebbe applicato il principio dei "divieto del ne bis in idem", in virtù della circostanza che qualsiasi aggravamento in sede sanzionatoria "amministrativa" rappresenterebbe una violazione di tale divieto, proprio per effetto del mancato rispetto del criterio della proporzione afflittiva tra cumulo sanzionatorio e fatti commessi».

«Diversamente - argomenta la II Sezione -, ovvero nell'eventualità in cui non si dovessero ritenere sussistenti le condizioni per una valutazione di adeguatezza e proporzionalità (assorbenti) della già irrogata sanzione conseguente alla sopravvenuta condanna definitiva in sede penale, deve rilevarsi che è demandato allo stesso giudice di merito riconsiderare tutti gli aspetti della complessiva vicenda per un intervento "proporzionalmente" riduttivo della misura delle sanzioni pecuniarie e personali applicate con la delibera Consob». Sarà dunque, continua la Corte, il giudice del rinvio a dover procedere alla verifica di proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio, «valutando, tra l'altro, l'incidenza dei fatti sull'integrità e trasparenza dei mercato finanziario e sulla fiducia dei pubblico negli strumenti finanziari».

Infine, per quanto concerne la misura reale, la Corte ricorda che dopo la sentenza della Consulta è divenuta illegittima la previsione della confisca obbligatoria del "prodotto" e dei "beni utilizzati" per commettere gli illeciti previsti dal Testo unico sulla finanza. «Mentre infatti - spiega la sentenza -, la confisca del "profitto" ha natura meramente "ripristinatoria", e come tale rappresenta la naturale e legittima reazione dell'ordinamento all'illecito arricchimento realizzato dal soggetto, la confisca dei "prodotto" e dei "beni utilizzati" per commettere l'illecito hanno invece natura propriamente "punitiva" e, cumulandosi con le già severe sanzioni pecuniarie del Testo unico, portano a risultati sanzionatori sproporzionati». Anche in questo caso dunque la misurà verrà ridotta.

Corte di cassazione - Sentenza 17 dicembre 2019 n. 33426

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