Penale

Droga: niente lieve entità con elementi non conciliabili con la fattispecie attenuata

di Giuseppe Amato

Ai fini del riconoscimento o dell'esclusione del fatto di lieve entità ex articolo 73, comma 5, del Dpr n. 309 del 1990, è necessaria la valutazione complessiva degli indici elencati dalla disposizione. Solo poi all'esito della "valutazione globale" di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto di lieve entità, è poi possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioè che la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o più degli altri (come argomentato dalle sezioni Unite, 27 settembre 2018, Murolo). A tal riguardo, prosegue la sentenza 14 febbraio 2020 n. 5927 , non è revocabile in dubbio che lo svolgimento dell'attività di spaccio in forma organizzata non sia di per sé ostativo alla qualificazione del fatto come di lieve entità, giusta l'espressa previsione dell'articolo 74, comma 6, del Dpr n. 309 del 1990, nella parte in cui riconosce (e sanziona con una pena più mite) la figura dell'associazione finalizzata al narcotraffico di lieve entità. Ciò nondimeno, tale assunto è valevole solo allorché si tratti comunque di un'attività di spaccio che sia suscettibile di essere ricondotta nell'alveo dell'ipotesi meno grave, alla luce dei parametri fissati al comma 5 del citato articolo 73 unitariamente valutati secondo le indicazioni delle sezioni Unite .

Proprio da queste premesse, la Corte ha ritenuto corretto il diniego del fatto lieve motivato non solo in ragione della professionalità e della sistematicità dello spaccio - in effetti astrattamente compatibili con l'ipotesi lieve -, ma ponendo soprattutto in risalto una serie di elementi non irragionevolmente considerati non conciliabili con la fattispecie attenuata: l'uso di un apposito locale destinato all'attività di spaccio; il rinvenimento di materiale atto al confezionamento della droga; la presenza di cosiddetti "pizzini" con l'annotazione della contabilità della clientela e dei relativi numeri di telefono; la contestuale detenzione di materiale drogante di diverso tipo; e, soprattutto, il rilevante dato ponderale delle sostanze detenute a fini di spaccio; elementi tutti deponenti per un rischio elevato di diffusività delle sostanze stupefacenti.

La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che fattispecie di cui all'articolo 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309 richiede una valutazione complessiva di tutti i parametri richiamati dalla norma stessa (mezzi, modalità, circostanze dell'azione, quantità e qualità della sostanza), nessuno escluso, sì da giustificare il riconoscimento dell'ipotesi attenuata soltanto quando gli stessi depongano nel senso di un fatto di lieve entità; con la speculare conseguenza per cui, di contro, è sufficiente che uno solo dei canoni citati ecceda questo limite per giustificare il diniego dell'ipotesi di reato di minore gravità (tra le tante, sezione III, 4 dicembre 2014, M. e altro, nella specie, la Corte, accogliendo il ricorso del procuratore generale, ha ritenuto immotivata la qualificazione del fatto come lieve operata dal giudice di merito, che, a tal fine, aveva impropriamente proceduto a un frazionamento della condotta - detenzione di cocaina e marijuana - non consentito alla luce della contestualità spazio-temporale che aveva caratterizzato la detenzione delle sostanze, valorizzando solo il quantitativo di una delle due; nonché, sezione VI, 6 dicembre 2018, Izzo, laddove si è precisato che, nell'ambito di questa valutazione complessiva della vicenda, anche la condotta del reo successiva al fatto di reato - nella specie, il perdurante svolgimento della attività illecita pur in costanza di arresti domiciliari - può legittimamente essere valorizzata dal giudice, all'interno della valutazione globale e unitaria del fatto, giacché tale dato rientra a pieno titolo tra le «modalità e circostanze dell'azione», cui fa espresso riferimento il citato comma 5, se e in quanto è in grado di rivelare l'inserimento del reo all'interno di una rete commerciale, sia di clienti che di fornitori, significativamente vasta e stabile; sezione IV, 8 novembre 2019, Huayanay, che, proprio in ragione della ravvisata necessità di un apprezzamento congiunto dei parametri di riferimento normativo, nella specie ha annullato il diniego del riconoscimento del fatto di lieve entità, siccome inadeguatamente motivato solo sul numero delle dosi detenuto - neppure 40 - e sul luogo ove l'imputato si era recato per spacciare, senza alcun accenno al grado di purezza e di capacità drogante dello stupefacente, derivando per l'effetto arbitraria la ritenuta collocazione dell'imputato in un ambiente criminale).

Va ricordato che la sentenza delle sezioni Unite, 27 settembre 2018, Murolo, citata dalla sentenza massimata, ha avuto occasione di affermare che la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all'articolo 73, comma 5, del Dpr n. 309 del 1990, in quanto è necessario procedere a una "valutazione complessiva" degli elementi della fattispecie concreta selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla suddetta disposizione al fine di determinare la lieve entità del fatto: è in esito a tale apprezzamento complessivo che la diversità delle sostanze oggetto della condotta sarà considerata, nello specifico, ai fini della qualificazione del fatto come di lieve entità o no, tenendo conto che la detenzione di sostanze diverse non può essere a priori definita sempre come espressione di un più significativo inserimento dell'agente nell'ambiente criminale dedito al traffico di stupefacenti - e quindi di un fatto non lieve - giacché, al contrario, l'esperienza giudiziaria esprime casi in cui il possesso contestuale di differenti tipi di stupefacente è aspetto sostanzialmente neutro, come, ad esempio, quando i quantitativi detenuti risultino essere assai modesti ovvero la condotta dell'agente risulti per altro verso meramente occasionale.

Cassazione - Sezione VI penale – Sentenza 14 febbraio 2020 n. 5927

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