Corte di Giustizia Ue: è illegittimo il limite del 30% al subappalto
Stop ai limiti sul subappalto dei lavori pubblici. L’altolà - annunciato e anticipato da una lettera di messa in mora inviata qualche mese fa da Bruxelles all’Italia - , arriva dalla Corte di giustizia Ue con una sentenza di ieri (causa C-63/18) che boccia la scelta italiana, contenuta nel Codice appalti del 2016, di limitare la possibilità dei costruttori di assegnare ad altre ditte (subappaltatori) parte delle attività di cantiere.
Ora l’esito più probabile è che avanzi una procedura di infrazione nei confronti nel nostro Paese. A meno che, come chiesto dai costruttori dell’Ance, il Governo decida di cancellare la norma incriminata, eliminando qualsiasi tetto. «È dal 2016 che lo diciamo - spiega il presidente Ance, Gabriele Buia -: questo passaggio del Codice non ha una logica, adesso bisogna prendere atto delle conclusioni della Corte».
Il caso nasce dall’esclusione di un’impresa da una gara di Autostrade e riguarda il limite del 30% dell’importo del contratto stabilito con il Codice appalti (Dlgs 50/2016, articolo 105). Con tutta evidenza, però, la decisione si attaglia al nuovo limite temporaneo del 40% introdotto (fino al 31 dicembre 2020) dal decreto Sblocca cantieri (Dl 32/2019) a inizio estate.
Nel passaggio chiave la sentenza dice che è contrario alle direttive europee qualsiasi limite che vieti «in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell’appalto pubblico». Dunque, non è tanto questione di alzare o abbassare la soglia, come ha fatto lo Sblocca cantieri, ma il fatto stesso che esista una soglia. Perché questo contrasta con l’obiettivo di aprire le gare pubbliche alle Pmi.
Inutile giustificare la scelta con il contrasto alle infiltrazioni, che trovano proprio nella catena dei subappalti una delle porte di ingresso più battute. I giudici europei hanno analizzato le motivazioni presentate dal Governo italiano, ma le hanno giudicate insufficienti o non pertinenti. Per la Corte esistono altre vie per alzare barriere all’ingresso della criminalità. La prima è verificare il possesso dei requisiti dei subappaltatori. «Il diritto italiano - ricorda la Corte - già prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso». E non vale l’argomento, proposto dal Governo, secondo cui spesso i controlli della Pa sarebbero inefficaci. Perché questa circostanza, «nulla toglie al carattere restrittivo» di un «divieto generale che non lascia alcuno spazio a una valutazione».
Insomma, sottolinea ancora Buia «la Corte dice che il subappalto è uno strumento che tutela l’accesso delle Pmi agli appalti pubblici. Noi in Italia abbiamo il problema delle infiltrazioni, ma la Corte spiega che ci sono altre misure utili a combattere la criminalità». Non è la prima volta che la Corte dice no a limiti di questo tipo. Una prima decisone, relativa a un caso sorto in Polonia, era arrivata nel 2016 (sentenza Wroclaw). Solo pochi mesi fa, poi, lo stop era stato anticipato con la lettera di messa in mora inviata da Bruxelles all’Italia per contestare i tanti punti in cui il Codice risulta disallineato rispetto alle norme Ue.
La procedura di infrazione sembra ora uno sbocco inevitabile. Sempre che non ci siano adeguamenti. Conclude Buia: «A questo punto, visto che la Corte si è espressa in modo incontestabile, il Governo non potrà fare altro che trarre le dovute conseguenze e cancellare i limiti al subappalto».
Corte di giustizia dell'Unione europea - Sezione V - 26 settembre 2019 - Causa C-63/18