Penale

Estesa l'applicabilità dell'esimente dell'articolo 384 del Cp al convivente more uxorio

Le sezioni Unite penali "virano" verso un'interpretazione dinamica di famiglia convenzionalmente orientata, estesa ai rapporti di fatto

di Aldo Natalini

La causa di non punibilità di cui all'articolo 384, comma 1, del Cp, in quanto causa di esclusione della colpevolezza, è applicabile analogicamente anche a chi ha commesso uno dei reati ivi indicati per esservi stato costretto dalla necessità di salvare il convivente more uxorio da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell'onore.
Così le sezioni Unite penali della Cassazione con la sentenza n. 10381/2021 – depositata il 17 marzo – a risoluzione del contrasto giurisprudenziale insorto sulla latitudine dell'esimente di cui all'articolo 384 del Cp («Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371-bis, 371-ter, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessi di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore»).
La norma, letta in combinato disposto con l'articolo 307, comma 4, del Cp – recante la nozione penalistica di "prossimi congiunti" (assai più ristretta rispetto a quella invalsa, nella prassi autocertificatoria, in questa fase pandemica, NdA) – ha fatto sorgere il dubbio possa essere invocata anche a favore dei componenti di una famiglia di fatto ovvero del convivente more uxorio: soggetti testualmente non ricompresi nelle previsioni normative ma parificabili, sul piano penale, ai componenti della famiglia "tradizionale" fondata sul matrimonio, anche alla luce della più ampia nozione di famiglia desumibile dall'articolo 8 Cedu, comprensiva anche i rapporti di fatto.
La risoluzione della questio supponeva la praticabilità - in chiave evolutiva e convenzionalmente orientata – dell'interpretazione analogica in bonam partem della causa scriminante o scusante, la cui natura eccezionale e tassativa – opponevano i detrattori di questa tesi – precluderebbe ogni ipotesi di "riscrittura" giurisprudenziale dell'esimente quanto ai soggetti che la possono invocare, atteso il chiaro dato letterale, non aggirabile per via interpretativa, se non previo interpello del giudice delle leggi, non essendo consentito al giudice comune ricavare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l'analogia (così Cassazione, sezione III penle, n. 38593/2018, Ced 273833).

La tesi restrittiva (affossata)
Secondo l'orientamento prevalente – trasversale tra le sezioni semplici della Cassazione e prevalente sino all'odierna pronuncia – l'esimente in questione non poteva essere applicata al convivente more uxorio proprio in ragione dei suindicati limiti derivanti dalle regole generali dell'interpretazione delle norme penali (eccezionali). Difatti, l'articolo 307, comma 4, del Cp identifica tassativamente la categoria dei prossimi congiunti esclusivamente con riferimento ai membri della famiglia fondata sul matrimonio (coniuge, ascendenti, discendenti, fratelli, affini nello stesso grado, zii e nipoti) escludendo ogni possibile parificazione della convivenza more uxorio (Cassazione, sezione II penale, n. 7684/1982, Ced 154880; Id., n. 20827/2009, Ced 244725; sezione VI penale, n. 6365/1988, Ced 178467; Id., n. 132/1991, Ced 187017; sezione I penale, n. 9475/1989, Ced 181759; sezione V penale, n. 41139/2010, Ced 248903).
La preclusione di ogni possibilità di ricomprendere anche i conviventi more uxorio si ricaverebbe, poi, anche dal recente intervento di cui alla legge n. 76/2016 (cosiddetta legge Cirinnà) la quale, nel regolamentare esclusivamente le unioni civili tra persone dello stesso sesso, ha "seppellito" definitivamente ogni possibile interpretazione estensiva della nozione di coniuge: l'aver lasciato immutata la disciplina penalistica delle convivenze di fatto, intervenendo invece con disposizioni di adeguamento relative alle unioni civili - ad esempio, modificando l'articolo 307, comma 4, del Cp in altro senso - starebbe a significare proprio che il legislatore del 2016 non ha inteso realizzare alcuna parificazione dei conviventi ai coniugati.
L'assetto, peraltro, non sarebbe neppure in contrasto con il principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione), in quanto esistono nell'ordinamento ragioni costituzionali che giustificano un differente trattamento normativo tra i due casi, trovando il rapporto coniugale tutela diretta nell'articolo 29 della Carta fondamentale mentre il rapporto di fatto fruisce di una tutela apprestata dall'articolo 2 della Costituzione ai diritti inviolabili dell'uomo nelle formazioni sociali, con la conseguenza che ogni intervento diretto a rendere una identità di disciplina rientra nella sfera di discrezionalità del legislatore (vedi Corte costituzionale n. 121/2004, n. 8/1996 e n. 140 del 2009; più risalenti vedi altresì n. 124/1980, n. 39/1981 e n. 352/1989).

Le conseguenze (anche) in malam partem
L'esclusione dell'equiparazione sul piano interpretativo del convivente al coniuge, in vista dell'applicabilità della causa di non punibilità ai sensi dell'articolo 384 del Cp, secondo questo filone veniva motivata evidenziando anche le conseguenze in malam parte m di una tale operazione, conseguenze rinvenibili in tutti quei casi in cui il vincolo familiare rileva per la configurabilità di taluni reati, come ad esempio quelli previsti dagli articoli 570, 577, comma 2, n. l, 605, comma 1, n. l, del Cp.

L'avvallo della tesi (minoritaria) estensiva
All'opposto il più di recente indirizzo di legittimità – minoritario ma oggi definitivamente consacrato dal Collegio allargato di legittimità – si è mostrato favorevole all'estensione della causa di non punibilità anche al convivente more uxorio (vedi già Cassazione, sezione VI penale, n. 22398/2004, Ced 229676, che affermò il principio dell'applicabilità dell'articolo 384 Cp al convivente senza un particolare approfondimento, prospettando una possibile applicazione analogica della causa di non punibilità; più approfonditamente v. sezione II penale, n. 34147/2015, Ced 264630; da ultimo vedi sezione VI, n. 11476/2018, Ced 275206).
Questo divisamento confuta l'attualità dell'opinione espressa dal giudice delle leggi in ordine alla concezione di famiglia a cui fare riferimento richiamando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che valorizza la famiglia in senso dinamico, coma una formazione sociale perenne in divenire, e non come un istituto statico ed immutabile, essendo irrilevante che il rapporto familiare sia sanzionato dall'accordo matrimoniale.
In quest'ottica, viene propugnata un'interpretazione in bonam partem che consente la parificazione, sul piano penale, della convivenza more uxorio alla famiglia fondata sul matrimonio, argomentandosi che l'equiparazione ai coniugi dei soli componenti di un'unione civile, prevista dal Dlgs n. 6/2017, non esclude l'estensione della causa di non punibilità ai conviventi more uxorio, trattandosi di soluzione già consentita dal preesistente quadro normativo, oltre che dalla nozione di famiglia desumibile dall'articolo 8, paragrafo 1, della CEDU (comprensiva sia delle relazioni giuridicamente istituzionalizzate - famiglia legittima - sia sia delle relazioni fondate sul dato biologico - famiglia naturale - sia, infine, di quelle che costituiscono "famiglia" in senso sociale, alla condizione che sussista l'effettività di stretti e comprovati legami affettivi: Corte EDU, 13 giugno 1979, Marckx c. Belgio; Corte EDU, 26/05/1994, Keegan c. Irlanda; Id., 5 gennaio 2010, Jaremowicz c. Polonia; Corte EDU, 27/04/2010, Moretti e Benedetti c. Italia; Id. 24 giugno 2010, Schalk and Kopf c. Austria; da ultimo, Corte EDU, 21 luglio 2015, Oliari ed altri c. Italia).

Il dictum: famiglia di fatto feat. famiglia tradizionale
La sentenza in commento individua anzitutto i tratti comuni tra la famiglia di fatto e la famiglia "legittima" – identificati nella condivisione di un percorso di vita comune, basato sull'affectio, sulla stabilità, sulla convivenza e sulla responsabilità della cura ed educazione dei figli – bene chiarisce come le due situazioni «non differiscono soltanto in ragione del dato estrinseco della sanzione formale del vincolo, poiché, fermi in ogni caso i diritti e i doveri che ne derivano verso i figli e i terzi, nella dimensione della convivenza di fatto si tende a riconoscere spazio alla soggettività individuale, mentre in quella del rapporto di coniugio si attribuisce maggior rilievo alle esigenze obiettive della famiglia come tale, intesa cioè come stabile comunità di persone legate da vincoli di solidarietà, di fedeltà e di condivisione su base paritaria».
Il giudice nomofilattico ravvisa un significativo avanzamento nelle possibilità di tutela della molteplicità e varietà delle relazioni di tipo familiare non tanto nella giurisprudenza convenzionale (e in riferimento all'articolo 8, paragrafo 1, della CEDU) quanto nella più recente previsione normativa dell'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta di Nizza), divenuta giuridicamente vincolante (ex articolo 6, paragrafo l, TUE) a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona: in base ad esso, il "diritto di sposarsi" viene riconosciuto, tra le libertà fondamentali tutelate dal capo secondo, in modo disgiunto rispetto al "diritto di fondare una famiglia", così realizzando una significativa apertura nei confronti delle famiglie di fatto, in quanto la meritevolezza degli interessi perseguiti attraverso la scelta, del tutto legittima, di convivere senza matrimonio viene riconosciuta e tutelata anche al di fuori della presenza di vincoli formali nei rapporti familiari. In definitiva, al tradizionale favor per il matrimonio, si è sostituita la pari dignità di ogni forma di convivenza alla quale una legislazione nazionale decida di dare la sua regolamentazione.

La legge Cirinnà: nessun impedimento interpretativo
Quanto al fatto che con la legge del 2016 il legislatore nulla abbia previsto per le convivenze, per il Collegio allargato non può certo significare un'implicita contrarietà alla possibilità di riconoscere una serie di diritti in favore delle convivenze more uxorio, né tanto meno all'estensibilità della scusante di cui all'articolo 384 del Cp al convivente: il legislatore, semplicemente, si è occupato di disciplinare le situazioni riguardanti le unioni tra persone dello stesso sesso, avendo ben presente il percorso legislativo e giurisprudenziale che ha condotto verso una tendenziale equiparazione tra la convivenza coniugale e quella more uxorio, ferme restando le differenze di base delle due situazioni.
Escluso, dunque, che la legge Cirinnà sulle unioni civili, con le successive, conseguenti integrazioni inserite nel codice penale, possano avere l'effetto di "impedire" un'interpretazione estensiva dell'articolo 384 del Cp alle coppie di fatto e ricostruito il quadro normativo complessivo (così come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale ed europea, nonché dalla giurisprudenza di legittimità), il Supremo Collegio esclude il carattere eccezionale della norma contenuta nell'articolo 384, comma 1, del Cp, dato per scontato (sia pure con approcci diversi) dai due orientamenti contrapposti.
Superate quelle posizioni giurisprudenziali che attribuiscono alla disposizione in questione natura di causa di non punibilità in senso stretto (cioè di norme eccezionali, ricomprese nel divieto di cui all'articolo 14 delle preleggi) e riconosciuta all'esimente in parola della natura di scusante a struttura soggettiva (quindi che investe direttamente la colpevolezza), il Collegio esteso "apre" infine all'applicazione analogica in bonam partem dell'articolo 384 del Cp, predicandone l'applicabilità anche alle coppie di fatto.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©