Penale

Sì al divieto di abbreviato per reati puniti con l’ergastolo

E la Corte costituzionale blocca l’ingresso della «madre gestazionale» nel giudizio sulla maternità surrogata

di Giovanni Negri

Non esiste un profilo di illegittimità costituzionale nelle norme che impediscono l’accesso al rito abbreviato per gli imputati di reati punibili con l’ergastolo. Questa la conclusione della Corte costituzionale con la sentenza 260/2020 depositata ieri e scritta da Francesco Viganò. La Consulta ha così giudicato infondate le questioni sollevate dalla Corte d’Assise di Napoli e dal tribunale di Piacenza in 2 processi per omicidi maturati nell’ambito familiare.

Scelta non irragionevole

Per la Corte, non è irragionevole la scelta alla base della legge 33/19, approvata dall’allora maggioranza Lega/M5S, di ancorare il divieto di accedere al rito abbreviato alla pena prevista per il reato. Un aggancio di questo tenore si riscontra peraltro in numerosi istituti di diritto penale, sia sostanziale sia processuale, dalla prescrizione alla tenuità del fatto, dalle misure cautelari alle intercettazioni. E tanto più va esclusa l’irragionevolezza nel caso esaminato, se solo si tiene presente che i reati per i quali è stabilita la preclusione sono quelli più gravi sanzionati dal nostro ordinamento.

In questa prospettiva allora non può essere contestata neppure la decisione di procedere comunque a un processo pubblico davanti a giudici sia togati sia popolari. Si tratta di una scelta discrezionale del legislatore che non ha margini di arbitrio, neppure nel caso l’imputato abbia già reso una piena confessione sui fatti.

Diritto di difesa garantito

Non esiste poi una violazione del diritto di difesa, perché, nel giudizio della Corte, l’accesso ai riti alternativi costituisce parte integrante del diritto assicurato dall’articolo 24 della Costituzione «soltanto quando il legislatore abbia previsto la loro esperibilità in presenza di certe condizioni». Dalla norma costituzionale non si può fare derivare il diritto di qualsiasi imputato ad accedere a tutti i riti alternativi previsti dal nostro ordinamento penale.

Da respingere poi anche la questione fondata sul mancato rispetto della presunzione di non colpevolezza, visto che il divieto al rito abbreviato sarebbe conseguenza di una valutazione fatta dal solo Pm. La sentenza tuttavia ricorda come l’imputazione formulata dall’accusa è oggetto di una prima valutazione del Gip ed è poi possibile un recupero in dibattimento della riduzione di pena conseguente all’accesso all’abbreviato se non è provato il fatto come contestato dal Pm.

Durata più lunga ma non irragionevole

No anche alla possibile violazione del principio di ragionevole durata del processo, pure segnalato anche dal Csm. La Corte costituzionale , pur riconoscendo un allungamento dei tempi di svolgimento dei giudizi, non lo bolla come irragionevole, ricordando che la valutazione sulla ragionevolezza non può non tenere conto della necessità di bilanciamento tra i (molti) interessi coinvolti .

Stop alla “madre gestazionale”

Ieri poi la Corte costituzionale ha anche chiarito che, nel giudizio di legittimità sul caso del bimbo figlio di due papà non potrà partecipare anche la donna che lo ha partorito. La Corte ha dichiarato inammissibile la richiesta della “madre gestazionale” di intervenire a sostegno delle questioni sollevate dalla Cassazione sulle norme che impediscono di trascrivere in Italia, nell’atto anagrafico di un bambino nato all’estero con una pratica di maternità surrogata, il nome del papà non biologico. Nessun effetto giuridico infatti verrebbe a prodursi a carico della donna, che invece chiedeva venisse riconosciuta l’assenza di obblighi nei confronti del bambino, nell’ambito del giudizio in discussione.

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