Esame avvocati: il problema c'è e va affrontato per ridare speranze ai praticanti
Sarebbe importante acquisire contezza del problema e se fosse risolto, si potrebbe concludere che persino il Covid-19 può avere qualche risvolto positivo
Anche gli aspiranti avvocati stanno soffrendo le conseguenze del Covid-19. Il rinvio a data da destinarsi della sessione degli esami di abilitazione programmata per metà dicembre ha accresciuto il livello di ansia di migliaia di praticanti.
Anzitutto il decreto del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che ha disposto il differimento delle prove scritte (Dm 10 novembre 2020 pubblicato in "Gazzetta Ufficiale" n. 88/2020) è stato anticipato irritualmente il 5 novembre da un annuncio su Facebook. E ciò pochi giorni prima della data di scadenza per la presentazione delle domande di partecipazione (11 novembre). E questo ha già creato un primo dilemma e cioè se presentare o meno la domanda in mancanza del decreto pubblicato solo alla vigilia della scadenza. L'annuncio informale, non necessario ma forse opportuno per ragioni comunicative, e il decreto di rinvio avrebbero dovuto essere emanati in pari data e con congruo anticipo rispetto alla scadenza.
Quanto ai contenuti, il decreto non indica le nuove date delle prove scritte che verranno comunicate nella Gazzetta Ufficiale del 18 dicembre. Stabilisce almeno che le domande di partecipazione potranno essere inviate entro il 12 febbraio 2021. Così si evita di penalizzare i praticanti che maturano i requisiti nei prossimi mesi, anche se ciò renderà più affollata la prossima sessione d'esame con conseguente allungamento dei tempi.
Quanto alle modalità di svolgimento delle prove volte a garantire il rispetto delle norme per prevenire i contagi, il decreto rinvia a un successivo decreto che sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 marzo 2021. Non sono chiari i criteri con i quali è stata fissata questa data e le previsioni sugli sviluppi della pandemia sembrano oggi azzardate. Del resto difficilmente il 18 dicembre si potrà annunciare date credibili, a meno che esse non siano differite almeno dopo l'estate 2021.
In ogni caso, assumendo che le prove si potranno svolgere tra maggio e giugno, i praticanti resteranno nel limbo per un lungo lasso di tempo che può essere stimato, nella migliore delle ipotesi, in un anno. Che fare in attesa delle prove? Continuare solo a studiare o riprendere l'attività presso gli studi legali?
Nel frattempo, vanno avanti con difficoltà le prove orali della sessione degli esami in corso. Alcune commissioni, con componenti contagiati dal Covid-19, hanno rinviato le sedute, che ora si svolgono in presenza del solo presidente della commissione o sottocommissione e del segretario, mentre gli altri membri sono collegati in remoto. Chi ha sperimentato le riunioni "virtuali", testate già in primavera e reintrodotte nelle settimane scorse per le udienze o per le lezioni ed esami universitari, sa bene quanto difficoltose siano le interazioni.
Nel suo annuncio su Facebook il ministro della Giustizia si dice dispiaciuto per i "tanti aspiranti avvocati che si apprestano ad affrontare questa importante tappa delle loro vita professionale". Giustifica la decisione anche richiamando la sospensione e il rinvio dei concorsi pubblici e degli esami di abilitazione delle professioni operato a livello nazionale dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 novembre scorso.
In verità, come accade sempre nelle situazioni eccezionali, qualche categoria (come quella degli aspiranti medici) è stata favorita perché si è consentita in piena crisi sanitaria l'iscrizione all'albo professionale sulla base del semplice conseguimento della laurea.
Superata l'emergenza da Covid-19, sperabilmente entro il 2021, s i porrà la questione se e come ripristinare il calendario seguito negli anni passati che prevede appunto le prove scritte a dicembre. Se questa fosse l'opzione, vi è il rischio che l'anno prossimo gli aspiranti avvocati che non hanno potuto sostenere in tempo la prova orale siano costretti a sostenere nuovamente le prove scritte.
In questo caso, allo stress dei candidati si sommerebbe un aggravio di lavoro delle commissioni d'esame, visto che dovrebbero sobbarcarsi, in molti casi inutilmente, dell'onere della correzione degli elaborati.
In alternativa, si potrebbero confermare anche a regime le tempistiche prefigurate nel decreto del ministro della Giustizia. E forse può essere la soluzione più sensata, perché riprenderebbe subito il ritmo annuale fisiologico.
Una riflessione conclusiva più generale. Le situazioni straordinarie possono essere un'occasione per apportare qualche innovazione di sistema. A proposito dell'esame di abilitazione forense, e in generale, del tirocinio successivo alla laurea, una domanda da porre è se il sistema attuale, oggi disciplinato dalla legge n. 247/2012 ma sostanzialmente praticato da decenni, richieda un ripensamento radicale.
Oggi, infatti, nonostante la miriade di aggiustamenti normativi, quello dell'aspirante avvocato è un percorso a ostacoli.
Infatti, già da quando il corso di laurea in giurisprudenza è stato portato (senza necessità effettiva) a cinque anni, i laureati si affacciano sul mondo del lavoro con un anno di ritardo e in un'età media nella quale in altri ordinamenti (specialmente in quelli anglosassoni) il professionista ha acquisito già un bagaglio di esperienza significativo. Infatti, tra tirocinio obbligatorio (in varie modalità) e tempo medio per l'espletamento dell'esame di abilitazione, passano almeno tre anni.
Ancora, non vi è alcuna garanzia che la correzione delle prove scritte e lo svolgimento di quelle orali avvengano con criteri omogenei a livello nazionale.
La commissione centrale presso il ministero della Giustizia, che ha il compito di coordinare il lavoro delle commissioni territoriali, riesce a dare indicazioni molto generali. Neppure il meccanismo della correzione delle prove scritte da commissioni insediate in sedi diverse da quella dove il candidato l'ha sostenuta, che garantisce una maggior serietà, risolve il problema.
Le stesse tempistiche medie, dovute all'onerosità degli adempimenti, che costituisce un disincentivo (specie per la componente universitaria) ad accettare di far parte delle commissioni, sono inaccettabili.
Se siamo ben lontani dal "migliore dei mondi possibili", forse sarebbe il caso di mettere in cantiere una riforma generale che renda meno aleatori i tempi complessivi della formazione degli aspiranti avvocati e garantisca una maggior omogeneità nelle valutazioni in sede di esame.
Il ministero della Giustizia potrebbe costituire una commissione di studio per operare un confronto anche con altri paesi ed elaborare qualche proposta.
Per esempio, ci si potrebbe chiedere se il periodo di tirocinio possa essere ridotto (in passato era di un anno), considerato che i ferri del mestiere si acquisiscono progressivamente con la pratica, mentre le attitudini emergono quasi subito. Ci si potrebbe interrogare altresì se le prove scritte così come sono oggi configurate possano essere sostituite con un'unica prova con quesiti a risposta multipla e a correzione automatica o, almeno, a risposte brevi. È nota l'obiezione che così si favorisce l'apprendimento mnemonico. Ma ciò non è affatto scontato e per rendersene conto basterebbe prendere qualche esempio di prova del bar exam negli Stati Uniti.
Ma più che indicare soluzioni, che potrebbero essere varie, sarebbe importante acquisire contezza del problema. Se questo fosse risolto, si potrebbe concludere che persino il Covid-19 può avere qualche risvolto positivo.
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di Vincenzo Lusa e Matteo Borrini*