Il CommentoSocietà

La tutela preventiva del credito e gli adeguati assetti di cui all’art. 2086, secondo comma, c.c.

L’invocabilità dei rimedi sinallagmatici a fronte della violazione dello specifico obbligo che ha l’imprenditore di istituire adeguati assetti, ai sensi dell’art. 2086, secondo comma, c.c.

di Alessandro Palma*

Nell’attuale contesto normativo, in cui il legame fiduciario tra creditore e debitore è fortemente incrinato, tra l’altro, da nuove disposizioni di legge, il tema della tutela preventiva del credito è destinato ad assumere sempre maggiore rilevanza. In questa prospettiva preventiva e quando si tratta di tutelare il credito nei confronti dell’imprenditore-debitore, può assumere interesse l’indagine circa la invocabilità dei rimedi sinallagmatici a fronte della violazione dello specifico (dovere, che nel rapporto contrattuale diventa) obbligo che ha l’imprenditore di istituire adeguati assetti, ai sensi dell’art. 2086, secondo comma, c.c..

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In un contesto normativo, come il nostro, nel quale è irrilevante la “imputabilità” all’imprenditore-debitore della crisi della sua impresa, nel senso che il debitore può ricorrere agli strumenti di regolazione a prescindere dalla propria “colpa” (sul punto si veda, diffusamente, D. Galletti, Epifania della crisi del credito, Pacini Giuridica, Pisa, 2025, in particolare pagg. 167 e ss.); e, per di più, al creditore si richiede, in forza di nuovi oneri, di doveri e di obblighi sanciti dai principi di cui all’art. 4 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (in seguito, “CCII”), di collaborare al successo del suo debitore che sia anche imprenditore, fino a dover transitare dal diritto di recuperare il proprio credito all’aspettativa di accontentarsi di una qualche utilità (sull’argomento, è interessante la monografia di T. Tomasi, Buona fede del creditore, tab edizioni, Roma, 2022, pagg. 203 e ss.); in questo contesto, la fiducia costituente il legame, nel rapporto obbligatorio, tra l’imprenditore-debitore e il creditore è sin dall’inizio passibile di essere compromessa e, quindi - una volta che il mercato avrà metabolizzato questo dato -, necessiterà sempre più, per essere accordata, di essere consolidata già nel momento in cui le parti decidono di negoziare per far sorgere l’obbligazione.

La sensibilità giuridica verso questo tema ha già condotto alcuni autorevoli studiosi a occuparsi della tutela preventiva del credito e ciò con particolare riferimento: da una parte, all’applicabilità di una azione inibitoria generale nell’ambito dei rapporti obbligatori, tutta da costruire, che potrebbe condurre sia alla emanazione di ordini di cessazione di una condotta commissiva pregiudicante, sia a una inibitoria di contenuto positivo, con imposizione di comportamenti di fare e di tenere determinate condotte che possano, anch’esse, evitare pregiudizi al credito; dall’altra parte, all’azionabilità in giudizio, mediante rimedi quali l’azione di esatto adempimento, l’esecuzione in forma specifica e le misure di coercizione indiretta, di obblighi integrativi e strumentali alla realizzazione della pretesa creditoria (si veda A. Albanese, La tutela preventiva del credito: dall’azione inibitoria all’adempimento coattivo degli obblighi integrativi e strumentali, Europa e Diritto Privato, 2018, 2, pagg. 367 e ss., ove si rinvengono alcuni esempi, oltre ai riferimenti dottrinari in materia di inibitoria).

L’avvertita esigenza di tutelare preventivamente il credito si risolve nell’interrogativo se il creditore possa agire, attuando i rimedi previsti dalla legge, per prevenire un futuro inadempimento del debitore in un momento in cui la prestazione non sia ancora esigibile. L’interrogativo che si pone non dovrebbe riguardare i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale che, pur potendo essere invocati anche prima dell’inadempimento, sono stati configurati dal Legislatore a prescindere dallo stesso inadempimento e, comunque, non sono immediatamente funzionali a far conseguire la prestazione al creditore, né tantomeno a determinare lo scioglimento del rapporto.

In questa prospettiva preventiva e quando si tratta di tutelare il credito nei confronti dell’imprenditore-debitore, può assumere interesse l’indagine circa la invocabilità dei rimedi sinallagmatici (in particolare, della risoluzione, della eccezione di inadempimento e della c.d. eccezione di pericolo) a fronte della violazione dello specifico (dovere, che nel rapporto contrattuale diventa) obbligo di protezione che ha l’imprenditore di istituire adeguati assetti, ai sensi dell’art. 2086, secondo comma, c.c.. Obbligo di protezione che può sicuramente definirsi integrativo e strumentale all’esecuzione della prestazione caratteristica che deduce in obbligazione l’imprenditore (si rinvia, sul punto, a Gli “adeguati assetti” di cui all’articolo 2086 c.c. e il contratto, in questa Rivista del 20 ottobre 2023) e che, indubbiamente, integra il contenuto del contratto stipulato dallo stesso ai sensi dell’art. 1374 c.c. (“Integrazione del contratto”), secondo cui “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”.

Si postula, così, l’allargamento del perimetro della obbligazione contrattuale dell’imprenditore, al punto che chi contratta con lo stesso possa e, nei limiti di cui si dirà, debba fare affidamento sulla istituzione di un adeguato assetto che sia idonea a gestire preventivamente tanto il rischio della crisi e della perdita della continuità aziendale, quanto gli altri rischi di impresa che possono mettere a repentaglio il ricevimento della esatta prestazione dovuta dal medesimo imprenditore.

Per focalizzare questo punto concettuale, che costituisce presupposto fondamentale del discorso che si sta per fare, si potrebbe ritenere suggestivamente integrata la norma dell’art. 1337 c.c. che, dunque, potrebbe essere riletta, in una prospettiva sistematica, così: “(l)e parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto devono comportarsi secondo buona fede. Se una delle due parti è un imprenditore, l’altra parte può fare affidamento che la sua impresa sia dotata, per tutto il tempo di efficacia del contratto, di adeguati assetti (se imprenditore collettivo) o di misure idonee (se imprenditore individuale) anche per rilevare e affrontare tempestivamente la crisi” (l’integrazione proposta è in grassetto).

Rinviandosi a L’imprenditore e i suoi rapporti contrattuali: alcuni effetti del dovere di istituire adeguati assetti (in questa Rivista del 26 marzo 2024) per i primi spunti su questa specifica indagine, inaugurata - a quanto risulta - da chi scrive con l’intervento Gli “adeguati assetti” e l’inadempimento delle obbligazioni, sempre in questa Rivista del 13 ottobre 2022, seguono alcune riflessioni anche sollecitate da uno dei più autorevoli Maestri del diritto civile che si sta interessando al tema oggetto della stessa indagine e che, sicuramente, saprà trattare l’argomento ex professo da par suo.

Nel frattempo, si potrebbe convenire che una siffatta indagine abbia senso se si tratta di contratti (a prestazioni corrispettive) a esecuzione differita (ad esempio, l’appalto per la costruzione di un immobile) o di durata e a esecuzione continuata (ad esempio, la somministrazione di gas o di energia elettrica) o periodica (ad esempio, la locazione di un immobile a uso commerciale in relazione al pagamento del canone da parte del conduttore/imprenditore); contratti, tutti, con riferimento ai quali la prestazione principale dell’imprenditore debba attuarsi, almeno parzialmente, non immediatamente e, quindi, dopo un certo periodo dalla conclusione del contratto.

DOMANDA DI CARATTERE GENERALE: il contraente che tratta per concludere il contratto con un imprenditore che diventerà poi, a contratto concluso, suo debitore, può fare legittimo affidamento, e in che senso, sulla istituzione di adeguati assetti della sua controparte contrattuale?

RISPOSTA: senz’altro questo contraente potrà contare sul costante adempimento, da parte dell’imprenditore-debitore, di questo obbligo, nel senso che avrà un interesse giuridicamente qualificato a che siano istituiti e mantenuti nel tempo - come si è già scritto e fino alla realizzazione del risultato contrattualmente programmato - adeguati assetti idonei a gestire preventivamente il rischio della crisi e della perdita della continuità aziendale (in tal senso si esprime testualmente la norma dell’art. 2086, secondo comma, c.c.), così come gli altri rischi di impresa che possano mettere a repentaglio il ricevimento della esatta prestazione dovuta dal medesimo imprenditore-debitore (la rilevanza dell’organizzazione dell’impresa del debitore emergerà dall’esame della singola fattispecie e sarà strettamente dipendente dal risultato che i contraenti hanno programmato di far realizzare al creditore: mi si consenta il rinvio a La responsabilità contrattuale dell’imprenditore, dopo l’interpolazione del secondo comma dell’art. 2086 c.c., in questa Rivista del 22 marzo 2024).

ESEMPIO: nell’ipotesi di un contratto di appalto, il committente potrà fare affidamento sul fatto che, al momento della conclusione del predetto contratto, l’appaltatore sia dotato di adeguati assetti e così, anzitutto, che lo stesso appaltatore abbia assunto l’obbligazione principale “in modo prudente e proporzionato (può essere proprio questo il primo portato pratico, in una relazione contrattuale, dell’applicazione dell’obbligo di istituire adeguati assetti e ciò, peraltro, giusta la regola di cui al primo comma dell’art. 4 CCII come formulato nella bozza del 17 febbraio 2018, secondo cui il “debitore deve assumere le obbligazioni in modo prudente e proporzionato alle proprie capacità patrimoniali”; regola espunta dalla legge entrata in vigore, ma che si potrebbe ritenere presente implicitamente nell’ordinamento, così come peraltro già sostenuto in dottrina. In tal senso, O. Cagnasso, Assunzione di obbligazioni e riforme delle procedure concorsuali, Giur. Comm., 2020, pagg. 452 e ss.; si veda pure, dello stesso Autore, Sostenibilità finanziaria e assunzione delle obbligazioni, Rivista Corporate Governance, 2022, 1, pagg. 27 e ss.).

AVVERTENZA: queste considerazioni pongono subito l’interprete di fronte a un duplice scenario e, stando all’ipotizzato appalto di un immobile da costruire:

1) l’appaltatore mette a parte il committente di quali siano i suoi assetti, oppure lo stesso committente svolge una due diligence, perché magari si tratta di un contraente particolarmente forte, come può essere una società di real estate che deve dare corso a una importante operazione di sviluppo immobiliare di una intera area urbana. In questo caso, il contraente-creditore dell’imprenditore difficilmente si potrà lamentare della inadeguatezza degli assetti, tenuto conto del principio di autoresponsabilità e del divieto di venire contra factum proprium. Quanto precede, ovviamente, nel caso in cui l’inadeguatezza degli assetti non sopravvenga;

2) l’appaltatore non condivide con il committente le informazioni inerenti ai suoi assetti, oppure lo stesso committente non svolge alcuna due diligence, perché non è dotato degli strumenti e/o delle risorse necessari, o perché non è intenzionato a farlo, ovvero ancora perché lo stesso appaltatore non glielo consente, ad esempio per tutelare la riservatezza di determinati processi aziendali o del know-how. In questo caso, si aprono altri due sottoscenari:

2a) si può ritenere che il creditore, che ha indiscutibilmente un potere di controllo sull’imprenditore (sul punto, si veda ancora Galletti, op cit., pagg. 34 e ss.), ha anche l’onere di accertarsi dell’adeguatezza degli assetti (forse questo potrà valere per i creditori qualificati) e, pertanto, sarà quantomeno “corresponsabile” se e in quanto non abbia chiesto conto di questa (in)adeguatezza originaria. Quindi, potrà lamentarsi, come nel caso sub 1), soprattutto di una inadeguatezza sopravvenuta;

2b) oppure si ritiene, come chi scrive, che la situazione è governata dall’affidamento del terzo contraente nell’adeguatezza degli assetti istituiti dall’imprenditore e, in questo caso, avrebbero rilevanza, oltre a una inadeguatezza sopravvenuta, anche profili di inadeguatezza originari (perlomeno quelli che non erano riconoscibili con l’ordinaria diligenza).

Sicché, proseguendo con l’esempio dell’appalto, il committente dovrebbe poter fare affidamento sia sull’adeguatezza degli assetti originari dell’impresa facente capo al suo debitore, quali esistenti al momento della conclusione del contratto, sia sul carattere perdurante, nel corso di tutta l’esecuzione del medesimo contratto, dell’adeguatezza degli stessi assetti. 

Su questi presupposti, si apre un interessante scenario con riferimento ai rimedi sinallagmatici, partendo dall’assunto che siano attivabili anche in relazione agli obblighi integrativi e strumentali (cfr. Cass., 16 gennaio 1997, n. 387, Cass., 13 novembre 2000, n. 14685 e Cass., 29 maggio 2006, n. 12801) e, tra questi, a quelli di protezione, quale è quello di istituire e mantenere adeguati assetti (mi si consenta ancora il rinvio a La responsabilità contrattuale dell’imprenditore, dopo l’interpolazione del secondo comma dell’art. 2086 c.c., cit.).

1) ART. 1460 C.C. Eccezione di inadempimento.

DOMANDA: la controparte dell’imprenditore-debitore può sospendere l’esecuzione della sua prestazione se si rende manifesta o sopravviene l’inadeguatezza degli assetti? Nel porre questo interrogativo si dà per dimostrato che sia rilevante l’inadeguatezza già sussistente al momento della conclusione del contratto, ma non ancora manifesta (sul punto, Cass., 24 febbraio 1999, n. 1574, sia pure con riferimento al diverso rimedio previsto dall’art. 1461 c.c., ha ritenuto rilevante, ai fini della sospensione dell’esecuzione della prestazione, la circostanza che il contraente eccipiente fosse venuto a conoscenza del dissesto, già sussistente al momento della stipulazione del contratto, in un momento successivo alla stessa stipulazione).

RISPOSTA: sarà positiva se si accede a una accezione della corrispettività, per così dire, “imperfetta, che lega prestazioni sì “interdipendenti”, ma non immediatamente e intuitivamente corrispettive” (in tal senso si veda A. M. Benedetti, Le autodifese contrattuali, Il Codice Civile Commentario, Milano, 2021, pagg. 29 e ss., secondo cui esiste una “galassia di prestazioni che ruotano attorno a quelle principali ma che non per questo rivestono un ruolo minore o secondario nell’ottica del pieno compimento del senso economico del contratto, o, se si vuole, del pieno e più completo conseguimento degli interessi creditori posti alla base delle obbligazioni contrattuali”). In questa prospettiva, l’inadempimento rilevante ex art. 1460 c.c. - che, è risaputo, si ritiene non debba avere i connotati della “gravità” necessari per la risoluzione del contratto - sarebbe anche quello avente a oggetto obblighi integrativi e strumentali rispetto alla prestazione principale, purché strettamente funzionali alla realizzazione del risultato programmato con il contratto.

Al riguardo, è stato efficacemente osservato in dottrina, partendo dalla distinzione tra la nozione di corrispettività - rilevante quale presupposto generale per l’applicabilità del rimedio ex art. 1460 c.c. - e il “vincolo di interdipendenza” - rilevante per giustificare in concreto la sospensione dell’esecuzione della prestazione, una volta che sia chiarito che si sta ragionando con riferimento a un contratto sinallagmatico - che, “da un contratto a prestazioni corrispettive, oltre agli effetti destinati a soddisfare gli interessi che caratterizzano quel determinato tipo di contratto, ne derivano altri, voluti dalle parti o disposti dalla legge come naturalia negotii, che, per essere strumentali o accessori rispetto ai precedenti, appaiono anch’essi preordinati, sia pure soltanto indirettamente, alla realizzazione dei risultati utili reciproci. L’intima connessione funzionale esistente fra tutti questi effetti contrattuali direttamente o strumentalmente volti al soddisfacimento degli interessi delle parti, non può non trovare riscontro sul piano normativo in relazione all’applicazione dei rimedi sinallagmatici” (così, testualmente, F. Realmonte, Eccezione di inadempimento, Enc. dir., XIV, Milano, 1965, pagg. 222 e ss.). Anche in giurisprudenza si riscontrano casi in cui, ai fini dell’applicabilità dell’art. 1460 c.c., si dà rilevanza al “vincolo di interdipendenza” tra le obbligazioni, piuttosto che alla corrispettività (si vedano, ad esempio, Cass., 1° marzo 1976, n. 672 e, più di recente, Cass., 17 marzo 2006, n. 5938).

Su questi presupposti, potrà avvalersi del rimedio il creditore dell’imprenditore-debitore tenuto ad adempiere simultaneamente (secondo quanto prevede espressamente la norma), così come il creditore dello stesso imprenditore-debitore tenuto ad adempiere per secondo (sulla base di una lettura estensiva della norma, ritenuta senz’altro preferibile: si vedano in dottrina Benedetti, op. cit., pag. 40 e Realmonte, op. cit., pagg. 228 - 229). Si tratterà, allora, di verificare se possa utilizzare il rimedio in esame anche il creditore dell’imprenditore-debitore tenuto ad adempiere per primo e ciò sulla scorta della giurisprudenza che si è già espressa sul punto (sia pure con riferimento ai soli casi in cui la controparte dichiari di non voler adempiere oppure con la propria condotta renda certo o altamente probabile l’inadempimento, si vedano: Cass., 14 marzo 2003, n. 3787 e Cass., 28 novembre 1984, n. 6196, che hanno ritenuto, in una simile ipotesi, di applicare l’art. 1460 c.c., mentre Cass., 19 aprile 1996, n. 3713, più appropriatamente, ha ritenuto di applicare, in queste ipotesi, l’art. 1461 c.c.; nonché, in dottrina, Benedetti, op. cit., pagg. 40 - 41). Tutto ciò fermo restando il doppio ruolo della buona fede come fondamento e limite dell’eccezione (a riguardo, si veda ancora Benedetti, op. cit., pagg. 49 e ss.).

ESEMPIO: nel caso in cui sia stata commissionata, a un’impresa del settore, la realizzazione di un software gestionale personalizzato, il committente potrebbe sospendere il pagamento degli acconti convenuti se si avvede, in corso di rapporto e prima che la prestazione di controparte diventi esigibile, che i referenti della commessa vengono continuamente cambiati, che gli stessi non si presentano agli appuntamenti periodici presso la sede della committente e non rispondono o rispondono evasivamente alle e-mail di richieste di chiarimento sull’avanzamento dei lavori, divenendo irrintracciabili al telefono. A sua volta, l’imprenditore, se vorrà fondatamente opporsi all’eccezione di controparte, dovrebbe, anzitutto, dare prova che la commessa è in lavorazione secondo cronoprogramma e ciò al di là della veridicità delle circostanze contestate dal committente: questo eviterebbe allo stesso imprenditore di dover dare conto dell’adeguatezza dell’assetto della propria impresa rispetto alla realizzazione della commessa presa in carico; sforzo che, altrimenti, sarebbe tenuto a fare (non solo e non necessariamente) contestando le circostanze allegate dalla controparte.

2) ART. 1461 C.C. Mutamento nelle condizioni patrimoniali dei contraenti.

DOMANDA: si può applicare l’eccezione di pericolo, che consente al contraente di sospendere l’esecuzione della prestazione se le condizioni patrimoniali dell’altra parte si sono deteriorate nel frattempo, fatta salva la prestazione di una idonea garanzia?

RISPOSTA: pure questo rimedio sarà probabilmente invocabile, anche e soprattutto da parte del creditore dell’imprenditore-debitore tenuto ad adempiere per primo (si veda la giurisprudenza menzionata supra), perché, se è vero che secondo l’interpretazione consolidata della norma, rileva un peggioramento che non sia imputabile, ciò non significa che anche un peggioramento imputabile non abbia rilevanza, come sarebbe la violazione dell’obbligo di mantenere un adeguato assetto (in questo senso pare esprimersi anche Benedetti, op. cit., pag. 102, secondo cui “[n]on è necessario [ma non è neppure escluso] che il peggioramento sia imputabile al debitore, purché sia reale ed accertato in modo lecito e corretto dal creditore”). Quindi, se si valorizza la ratio della norma di cui all’art. 1461 c.c., le “condizioni patrimoniali” costituenti il presupposto dell’applicabilità della norma in esame potrebbero essere configurate anche dalle circostanze finanziarie, funzionali e in senso lato “organizzative”, che mettono in pericolo il conseguimento della prestazione dovuta dall’imprenditore e il rimedio sospensivo di cui all’art. 1461 c.c. dovrebbe poter essere applicabile anche nel caso di violazione dell’obbligo integrativo e strumentale di istituire adeguati assetti (in tal senso, prima dell’entrata in vigore dell’art. 2086, secondo comma, c.c. e a prescindere, quindi, dal dovere/obbligo in questione, si erano già espressi: V. Roppo, Il contratto, Milano, 2001, pag. 990, secondo cui “le “condizioni patrimoniali” andrebbero allora intese non nel consueto senso restrittivo di condizioni finanziarie, ma nel più ampio senso atto a comprendere tutte le condizioni (funzionali, organizzative ecc.) del debitore capaci d’incidere sulla prestazione dovuta”; nonché Benedetti, op. cit., pag. 102, il quale precisa che il “peggioramento può investire non solo le condizioni economiche o patrimoniali in senso stretto, ma anche quelle organizzative e funzionali nella misura in cui rappresentino fattori necessari od importanti ai fini dell’adempimento delle prestazioni dovute all’altra parte (a mero titolo d’esempio: i beni strumentali all’esercizio dell’impresa, i beni ricompresi nell’azienda, i collaboratori di cui si avvale il debitore ecc.: significative alterazioni in pejus di questi elementi possono, sotto una rigorosa valutazione alla luce del principio di proporzionalità, giustificare un ricorso all’eccezione sospensiva)”).

Analogamente a quanto si è già scritto in relazione all’art. 1460 c.c., con riferimento all’applicazione della sospensione di cui a questo rimedio si può sostenere - tanto più in ragione della previsione contenuta nell’art. 71 della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili (secondo cui: “1. Una parte può differire l’adempimento dei suoi obblighi ove sia manifesto, dopo la conclusione del contratto, che l’altra parte non adempirà ad una parte essenziale dei suoi obblighi a causa: a ) di una grave insufficienza della capacità di adempimento di detta parte o della sua solvibilità; o b ) del modo con cui si prepara a dare esecuzione o esegue il contratto”) - che sia rilevante la circostanza che manifesta la vera condizione patrimoniale dell’imprenditore anche preesistente alla conclusione del contratto, purché non conosciuta o non riconoscibile (le argomentazioni a sostegno di questa tesi sono diffusamente svolte da F. Addis, Le eccezioni dilatorie, in V. Roppo, Trattato del contratto. Rimedi – 2, Milano, 2022, pagg. 734 e ss.). Mutatis mutandis: nel nostro caso dovrebbe essere accordabile una tutela sospensiva al contraente che incolpevolmente ignorava il dissesto patrimoniale o organizzativo dell’imprenditore già esistente, ma non ancora manifesto. In questo caso, si dovrebbe avere riguardo, però, alla specifica controeccezione paralizzante costituita dall’aver prestato idonea garanzia.

ESEMPIO: si pensi al caso del promittente acquirente di un immobile in corso di costruzione che non sia protetto dal meccanismo della fideiussione ex art. 2, D. Lgs. n. 122/2005: dovrebbe essere possibile sospendere l’esecuzione della propria prestazione da parte del contraente che, ad esempio, sia vincolato a pagare acconti e che si accorga di una crisi organizzativa (che a sua volta potrebbe celare anche una crisi economico-finanziaria) dell’imprenditore, obbligato a rendere una prestazione continuativa o anche solo complessa; crisi rivelata, ad esempio, dall’assenza per lunghi periodi di lavoratori in cantiere e da altre circostanze che confermano, comunque, un fermo prolungato dei lavori. In questo caso, i confini di operatività dell’eccezione di pericolo e dell’eccezione di inadempimento rischiano di confondersi, ma entrambi i rimedi, con le cautele del caso, dovrebbero poter essere utilizzabili; ovviamente, sarà sempre necessaria una rigorosa valutazione alla luce del principio di proporzionalità, in applicazione della clausola generale di buona fede che, indubbiamente, vale anche con riferimento all’art. 1461 c.c..

3) ARTT. 1453 E SS. C.C. Risoluzione per inadempimento.

DOMANDA: da ultimo, la violazione del dovere di istituire adeguati assetti può condurre alla risoluzione per inadempimento?

RISPOSTA: partiamo dal presupposto che l’inadempimento “anticipato (rispetto alla scadenza del termine di esigibilità della prestazione) non è ignoto alla nostra giurisprudenza, che lo ha mutuato dal common law, in particolare dall’istituto dell’anticipatory breach. Si vedano, ad esempio, Cass., 21 dicembre 2012, n. 23823 e Cass., 22 maggio 2015, n. 10546, con la puntualizzazione che entrambe le pronunce non hanno riguardato l’attività di impresa. Segnatamente, la Corte di Cassazione si è espressa nel senso che l’inadempimento contrattuale può essere fatto valere in maniera anticipata quando, secondo buona fede, la parte che si assume essere inadempiente si comporta in maniera da rendere antieconomica o impossibile la prosecuzione del rapporto.

Ora, nel caso che ci occupa, saremmo al di là degli obblighi generali di buona fede che ha utilizzato la Corte di Cassazione per statuire l’anticipatory breach; qui, sussisterebbe la violazione del preciso obbligo - integrativo, strumentale e oramai espressamente previsto dalla legge - di istituire e mantenere gli adeguati assetti, che sono sì una clausola generale, ma, per quanto generale, tipizzata (per darle contenuto l’interprete, e prim’ancora l’imprenditore che deve istituire e mantenere gli adeguati assetti, si deve approvvigionare a quella particolare tecnica che è la scienza aziendalistica: si veda, in tal senso, già V. Buonocore, Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto, del codice civile, Giur. comm., 2006, 1, pagg. 5 e ss.).

Se l’inadempimento dell’obbligazione integrativa e strumentale di istituire e mantenere adeguati assetti sarà così grave da impattare (non tanto secondo il criterio del “più probabile che non”, ma), secondo il criterio dell’alta probabilità, sull’adempimento futuro dell’obbligazione caratteristica, dovrebbe essere rilevante, ai fini risolutori, anche questo inadempimento. Una volta che si dovessero ritenere autonomamente azionabili gli obblighi di protezione (si veda supra), anche con il ricorso ai rimedi sinallagmatici di cui agli artt. 1453 e ss. c.c., non ci dovrebbero essere ostacoli ad aderire a questa soluzione.

ESEMPIO: di seguito si fa riferimento a un caso tratto dalla cronaca giudiziaria recente e di cui chi scrive ha avuto esperienza diretta. Almeno fino all’autunno/inverno del 2021, poco prima che scoppiasse il conflitto tra Russia e Ucraina, in Italia la filiera della somministrazione del gas naturale era caratterizzata dalla presenza di un gran numero di shippers di varie dimensioni. Si trattava di soggetti che, avendo accesso alle infrastrutture di trasporto nazionali/internazionali del gas (gasdotti), si ponevano come intermediari tra i produttori o i venditori di gas naturale all’ingrosso e gli acquirenti di dimensioni più contenute, che, a loro volta, rivendevano lo stesso gas naturale ad altri acquirenti di dimensioni ancora minori, piuttosto che ai clienti finali. La caratteristica principale di questo mercato, assimilabile a quello delle “vendite a catena”, era costituita dalla circostanza che i contratti tra gli shippers e gli acquirenti di dimensioni più contenute erano stipulati in anticipo, di norma l’anno precedente, rispetto al periodo in cui la fornitura avrebbe dovuto essere effettivamente prestata; periodo, quest’ultimo, coincidente con i mesi da ottobre di un determinato anno all’aprile dell’anno seguente (c.d. stagione termica). Tali contratti prevedevano dettagliatamente le quantità di gas da fornire, i criteri per la determinazione del prezzo, i termini di pagamento, le eventuali garanzie. Per contro, nei rapporti con i produttori e i fornitori all’ingrosso, non era infrequente che gli shippers aspettassero fino all’ultimo, quasi al principio della stagione termica, per approvvigionarsi del gas, confidando di pagare il prezzo più basso possibile per l’acquisto e, così, lucrare nei rapporti con i soggetti somministrati, con i quali il prezzo era già stato fissato in precedenza.

Come è poi effettivamente accaduto nel secondo semestre del 2021, uno di questi shipper, durante l’estate, poco prima dell’inizio della stagione termica, si è accorto improvvisamente che il prezzo del gas ha iniziato a salire e ha temuto di rimanere “scoperto”, non essendosi ancora approvvigionato e rischiando di pagare un prezzo di acquisto superiore a quello di rivendita.

A questo punto, lo shipper si è rivolto ai suoi somministrati per rivedere elementi già contrattualizzati e, in particolare, ha chiesto di rinegoziare in diminuzione i quantitativi di gas da fornire, di applicare un diverso parametro di determinazione del prezzo, più vantaggioso per lo stesso shipper, di ridefinire i termini di pagamento (ad esempio, passando al pagamento anticipato delle forniture periodiche) e, nel frattempo, ha pure ceduto “in massa” i propri crediti: il tutto per tentare di salvarsi da una situazione di crisi (organizzativa, economica e finanziaria) che non è stato in grado di intercettare tempestivamente.

Da ultimo, mentre i somministrati si stavano adoperando per andare incontro alle esigenze dello shipper (ad esempio, attivandosi presso i clienti finali per rivedere in diminuzione i quantitativi di gas da fornire, oppure presso le banche per ottenere linee di credito e così fare fronte alla richiesta di pagamento anticipato), avendo interesse a non rimanere privo della fornitura durante l’inverno (allorché trovare un altro intermediario sarebbe stato pressoché impossibile), lo stesso shipper ha smesso di interloquire con i medesimi somministrati, rendendosi irreperibile da un giorno all’altro.

Si trattava di comportamenti che mettevano a repentaglio la futura prestazione della fornitura di gas, rivelatori delle seguenti circostanze: a) che lo shipper non si era approvvigionato per tempo del gas che, però, si era obbligato a fornire ai suoi somministrati; b) che lo stesso shipper non era stato in grado di avvedersi dell’aumento dei prezzi applicati dai produttori e dai fornitori all’ingrosso, divenuti insostenibili; c) che, ancora, lo shipper non si era cautelato, ad esempio stipulando assicurazioni o contratti di swap per neutralizzare il rischio di aumenti anomali dei medesimi prezzi: e tutto questo per inadeguatezza degli assetti della sua impresa, che, si badi bene, era un’impresa che svolgeva attività di carattere fortemente speculativo.

In una simile situazione, il somministrato, previa diffida ad adempiere, oppure mediante una domanda giudiziale diretta di risoluzione ex art. 1453 c.c., ben avrebbe potuto risolvere il contratto di somministrazione prima che la prestazione dovutagli diventasse esigibile (e prima che la situazione si aggravasse e divenisse impossibile reperire una fornitura alternativa, magari durante l’inverno). Con il senno di poi, sarebbe stata senz’altro una scelta corretta, dal momento che lo shipper, per quanto è a conoscenza di chi scrive, lungi dall’essersi attivato per conservare i contratti stipulati, ha preteso di sciogliersene lasciando i somministrati privi di fornitura nel corso dell’inverno.

Ovviamente, il somministrato non avrebbe potuto risolvere il contratto di fornitura, a prescindere dal valore della commessa, nel caso in cui il somministrante non si fosse dotato, in ipotesi e ad esempio, del Modello 231 e ciò dal momento che, ai fini risolutori, avrebbe dovuto configurarsi - lo si ripete - una stretta funzionalità della lamentata carenza dell’adeguato assetto rispetto alla specifica prestazione caratteristica che lo stesso somministrato si attendeva di ricevere.

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*Alessandro Palma, Founder di Studio Legale Palma, Socio Centro Studi Borgogna